Racconti

A pesca nel cratere

Di Roberto Barbaresi pubblicato il 25/09/18

Settembre, ultime settimane prima del termine della stagione di pesca. Decidi di tornare nel maceratese e rientri amareggiato, avvilito, arrabbiato. Ti arrabbi perché percepisci, ancora adesso a due anni di distanza dal terremoto, la sofferenza di chi abita laggiù. Il torrente, si sa, isola da ciò che ti circonda, ma non appena riemergi ti accorgi della devastazione delle cose, e sopratutto delle anime, ed ecco che quella mattinata di svago diventa un momento di lacrime e imprecazioni.

E’ domenica, ti fermi nel bar del paese, trasferito nelle casette costruite attorno al centro sportivo per prendere un caffe, ciambelle e un barattolo di miele. Fuori c'è un manipolo di persone, uomini di mezza età, qualche persona anziana, più in la due mamme passeggiano con i bimbi. Tra loro ci sono anche pescatori, laddove dalle montagne sgorgano acque abbondanti, fredde, popolate da bellissime trote, ma adesso hanno ben altro a cui pensare. Con poche parole miste tra rabbia e rassegnazione ti spiegano che il centro storico è ancora zona rossa, transennato, in attesa di mettere in sicurezza edifici che certamente dovranno essere abbattuti e ricostruiti da zero. "A che serve?" - ti domandano - "A che serve fare i lavori due volte?"

Il periodo di deportazione sulla costa è terminato, ormai sono rientrati quasi tutti, ti raccontano che le ultime casette le hanno consegnate proprio nelle scorse settimane. Dovrebbero dirsi contenti di essere potuti tornare, dopo mesi di estenuanti viaggi avanti e indietro per continuare ad accudire i propri luoghi di origine, per continuare a lavorare. E invece sono tristi, sono tristi per il loro futuro incerto, non vedono una vera volontà di ricostruzione, solo qualcuno con pochi danni è riuscito a rientrare nelle proprie case. C’è chi si esprime in maniera davvero rassegnata, pensa che non si voglia proprio ricostruire, che ci siano disposizioni per spingere la popolazione ad abbandonare quelle meravigliose montagne. "Tutti sulla costa ci vogliono mandare, tutti in città!" -  inveiscono - "Quassù solo pastori e contadini!"

Pievebovigliana come Nocera Umbra. Venti anni dopo rivedi il triste destino dell’appennino umbro-marchigiano che quando è colpito da questi tragici eventi naturali deve aspettare molti, troppi anni, per risorgere dalle macerie. Durante il viaggio di ritorno ti interroghi con il compagno di pesca su come possa essere vero che un Paese evoluto come il nostro debba negarsi alla popolazione così a lungo. Ti domandi a cosa servano i tributi che in ogni momento della tua vita paghi allo Stato, a cosa serve la solidarietà di un popolo intero quando tanta gente già segnata da paura e privazioni rimane a soffrire per così tanto tempo. Purtroppo non riusciamo a darci delle risposte, soltanto ipotesi, soltanto imprecazioni. Rimane l’amarezza ma rimane anche la voglia di tornare in quei torrenti, tra quelle montagne, con il desiderio di rivedere i sorrisi e la spensieratezza di un tempo.


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