Racconti

Benvenuto, Mr. Bean!

Di Gabriele Giani pubblicato il 17/04/10

A Typical English, Wet Fishing Day

Prologo
Durante le trascorse vacanze Pasquali mi sono recato con la mia compagna in Inghilterra. Lì vive e lavora una delle due figlie di Francesca che si chiama Eleonora e fa la farmacista. Abita in un appartamento alla periferia di Maidstone, cittadina di circa 75000 abitanti situata nella contea del  Kent, 50 chilometri a sud-est di Londra. La zona è molto verde e si capisce bene il motivo per il quale gli inglesi hanno definito la contea “ Garden of England “. La cittadina è attraversata dal Fiume Medway che finisce dopo qualche decina di km nell’estuario del Tamigi. Risaliranno i mitici salmoni fino a qui ? Dal colore dell’acqua non si direbbe, ma alcuni esperti di queste zone garantiscono la presenza di abbondanti carpe, cavedani e qualche grosso luccio.
L’organizzazione dell’agognato periodo di ferie era cominciato nel periodo natalizio, quando si erano stabilite date, prenotazioni del volo e particolari del soggiorno. Dovendo viaggiare solo con il bagaglio a mano di una decina di kilogrammi era escluso che potessi portarmi l’attrezzatura da pesca. Dunque…..il trolley pesa almeno 2kg e mezzo, 2 colombe pasquali fanno 1 kg, il parmigiano-reggiano altrettanto, 2 pantaloni, 2 maglioni, 2 camicie, etc. No, non posso farcela, non è cosa. Non importa, ci saranno altre occasioni. Sigh! E invece no. Eleonora mi dice che il marito di una sua collega, un certo Jason, mi può portare a pescare. All’inizio non capisco che tipo di pesca pratica. Le informazioni sono confuse. Non essendo esperte di tecniche piscatorie mi parlano di ami, esche, etc. Ma chi se ne frega! L’importante  è passare una bella giornata sul fiume od in riva ad un lago con l’armamentario giusto ed una compagnia simpatica. Bella giornata ? dipende dai punti di vista. Non senz’altro da quello meteorologico. Ne vedremo delle belle, anzi…..
Insisto timidamente per saperne di più. Si sa, con le donne bisogna andarci con i piedi di piombo. E così scopro che,  durante uno dei barbecue settimanali che praticano in quelle lande nordiche, Jason pronuncia la fatidica parola: flyfishing ovvero, più latinamente, pesca con la mosca. Il cuore mi si apre. Penso che Ele mi stia facendo un grosso regalo, un’attenzione nei miei confronti che apprezzo moltissimo. Non devo portarmi dietro nulla. L’attrezzatura me la presta lui. In un impeto di morbosa curiosità riesco ad avere la sua e-mail e gli scrivo per avere più delucidazioni. Mi presento come il prossimo futuro compagno di pesca. Quasi indemoniato. Chissà che idea si farà di me. Un po’ strambo, un po’ mattacchione.  Mi svela la meta della nostra giornata e dice che ci sono informazioni più precise nel sito: Lakedown Trout Fishery – East Sussex. Mi fiondo sul sito e scarico itinerario, regolamento, caratteristiche dei laghi. Sembra molto bello. Vedremo nella realtà, ma promette molto bene e mi pregusto già l’avventura. Prima di partire mi informo per vedere se riesco a portare qualche mosca artificiale come dono a questo sconosciuto benefattore. Ma non c’è niente da fare. Gli ami sono proibiti sui voli di linea. Potrei aggredire il pilota durante la tratta Bologna-Londra con un amo da temoli del 22. Mi riservo di ricambiare in una futura occasione. E così viene il giorno della partenza. Arriviamo all’aeroporto all’ultimo momento. C’era il solito imbottigliamento nel traffico della tangenziale. Prendiamo l’aereo per un pelo anche se non sapevo che gli aerei fossero pelosi. La fila per i controlli è immensa, ma fortunatamente Francesca ha fatto il check in on-line e l’imbarco prioritario. Santa donna. Arriviamo che è notte. Ele e Victor, il suo compagno spagnolo e farmacista pure lui, ci vengono a prendere con l’auto e ci portano a destinazione. Qui, insomma, siamo una combriccola di compagni.
Il giorno dopo lo passiamo con una coppia di Inglesi, Janice e Chris, perché i due farmacisti sono di corvè e devono distribuire pillole alla popolazione. E’ il primo di Aprile e scopriamo che anche qui c’è l’usanza di fare degli scherzi. Infatti lo chiamano fools day, giorno degli idioti e siccome non capiamo metà delle battute che ci fanno sorridiamo sempre, appunto come degli imbecilli. Ci scorrazzano per la costa nord del Kent, tra rovine e bancarelle del pesce o mercatini dell’usato dove si trovano spesso vecchie attrezzature da pesca. Il vento è teso ed il freddo pungente, anche se c’è un insolito sole e poche nuvole che passano veloci. Ci infiliamo in un fish restaurant, un pub dove servono pesce e frutti di mare ovviamente accompagnati da diverse varietà di birra. Confido nella freschezza del prodotto, anche perché non sopporterei l’idea di passare  i prossimi giorni seduto sulla tazza di un gabinetto. Me ne intendo abbastanza dell’argomento, in quanto faccio ispezione degli alimenti, per valutare positivamente quello che ci viene presentato nel piatto e quindi ci gustiamo il pranzetto. Nel pomeriggio ci dedichiamo alla cura dei cavalli: due pony e due immensi cavalli irlandesi che mi scorazzano a destra e a sinistra del pascolo come se fossi un fuscello in balia della tempesta. E li sto solo tenendo per la cavezza. Non oso pensare cosa possa essere cavalcarli. Ma comunque non ho confidenza con questi quadrupedi e mi limito a raccogliere della merda nei sacchi, per metterla davanti alla casa, a disposizione  di quelli che vengono a prenderla per concimare i fiori del proprio giardino. Così usa da queste parti e le usanze, si sa, vanno rispettate. Prima di salutarci e dopo avere guardato il meteo per il giorno dopo, quello fatidico intendo da dedicare all’attività a me più congeniale, J & C mi forniscono di un paio di stivali termici di qualche numero superiore al mio ed una giacca color giallo fluo canarino, ma senz’altro calda ed a prova di diluvio universale. Vado a dormire anche se so che dormirò poco, perché già mi frulla in testa l’aspettativa per il giorno dopo.
Azione
L’appuntamento è per le 8 davanti alla casa di Ele e Victor. Non c’è problema. Sono sveglio da un bel po’. Sto nel letto per non disturbare, ma mi sembra di avere sotto dei carboni accesi. Alle 7 e un quarto non ne posso più. Mi lavo a mò di gatto garrupato e poi vado in cucina e mi faccio un caffè serio con la moka. Francesca mi segue per augurarmi buona fortuna, mai buona pesca che porta estremamente sfiga ed è bandito nel linguaggio degli adepti. Ele ha detto che Jason è puntuale ed infatti alle 8.00 spaccate si presenta davanti a casa. E’ lui. Proprio come me lo immaginavo. Un cappello di cuoio tipo australiano sopra una faccia simpatica. Due baffetti scuri  e due occhietti furbi alla Oliver Hardy. Anche se non l’ho mai incontrato mi sento subito a mio agio. Mi presenta Sally, sua moglie, che lo accompagna a volte nelle sue battute. Santa pazienza. Ma è fornita di tutto il necessario. Libri, uncinetto, etc. Quando si apre il baule della macchina per riporre le cose che mi hanno prestato rimango un attimo perplesso. Le canne sono messe alla rinfusa in mezzo a vestiti, stivali, guadini. Ahh. Quante attrezzature ho visto sbriciolarsi sotto gli stivali, nelle portiere delle macchine, sotto i sedili. Ormai noi pescatori con la mosca abbiamo l’ossessione del tubo. Nel senso che questo oggetto è l’unico modo per preservare la preziosa attrezzatura integra. Un’altra cosa che noto è il tremendo odore di rancido che si sente in auto. Poi, di fianco a me, noto la presenza di un capo di abbigliamento molto frequente in questo paese: il barbour. E’ senz’altro stra-impermeabile, ma quel grasso di balena o altro che gli danno non lo rende socialmente attraente. Quasi come un’insalata di aglio e cipolle a colazione. Ma torniamo al dunque. Come le previsioni meteo avevano annunciato, piove. Ma non diluvia e questo per adesso mi consola. Partiamo con una scassata Citroen per raggiungere la meta. Ci vuole circa un’ora per arrivarci. Il paesaggio è bucolico. Prati verdi a perdita d’occhio, pascoli abitati da diversi greggi di pecore o vacche, giardini fioriti che annunciano l’approssimarsi della primavera. La conversazione è molto amichevole. Si parla di questo o quest’altro, tanto per conoscerci. Ovviamente molti argomenti riguardano il settore ittico. Jason ha una buona conoscenza delle problematiche biologiche e così, in men che non si dica, arriviamo a destinazione. Giusto negli ultimi Kilometri il nostro autista si impapina e infila una strada sterrata sbagliata. E’ un po’ che non viene qui. Ma con effetti speciali li meraviglio con il foglio stampato dell’itinerario che avevo scaricato  da internet. Mi ero portato tutto. Anche l’ultimo numero del mensile inglese FlyFishing & FlyTying, con le mosche da usare questo mese, che ho trovato in edicola a Maidstone. Mi sento un mostro di efficienza, ma fuori piove e tutto questo rischia di non servire a niente. Da poco lontano riconosco la sagoma dei laghi perché li avevo visti nel sito. Finalmente arriviamo al parcheggio. Ci abbigliamo per la tenzone. Il mio socio vestito di tutto punto. Io metto la tuta del pigiama di Victor sotto i blue jeans, 2 pile, non quelle ricaricabili, sopra una camicia da boscaiolo, giacca color canarino, cuffia di lana e guanti imbottiti. Sembro l’omino della michelin ma sono attrezzato per il combattimento. Mentre ci incamminiamo verso la casa del custode, Jason mi fa scegliere una delle due canne che ha portato. Prendo la più leggera perché da qualche mese ho una lesione ai tendini dei muscoli della spalla destra ed ho paura di sforzarli troppo. Mi fornisce anche un rocchetto di filo del 22 per farmi il terminale di nylon, altro che finali progressivi conici o a nodi ai quali siamo abituati per fare delle pose delicate . Del resto in acque ferme e pescando non a galla, la posa è meno importante. Senz’altro lo stile ne risente ed i lanci sono più scomposti. Vorrà dire che sembrerò un orso che scaccia le api dal tronco degli alberi per fregargli il miele. Mi viene anche data una scatolina dove metto una decina di streamers possibilmente piombati che scelgo dal guazzabuglio di mosche del mio socio. Infine il guadino e il necessario priest, traduzione letterale: prete, ovvero l’annoccatore per sopprimere e quindi dare l’estrema unzione al malcapitato pesce. Arriviamo alla casa di legno del custode che è di fianco al primo lago. La vista di questo, del lago intendo, è terrificante. L’acqua è di un colore marrone cioccolata sporca torbidolenta, se si dice così ma comunque si capisce il senso disgustoso del termine, con qualche sfumatura di nericcio ed il vento increspa l’elemento liquido con raffiche continue. Sono già pronto per alzare i tacchi e tornarmene indietro. Jason e Sally entrano nella casa. Il custode ci saluta cordialmente con un sorriso sulle labbra. Io mi sforzo di ricambiare ma dentro ho la tempesta che mi turbina peggio che fuori. Ma l’ambiente è confortevole, il camino acceso, il mio amico tranquillo scambia battute sul tempo, sui pesci, sulla stagione. Sembra tutto normale, se non si preoccupa lui vorrà dire che in qualche modo funziona lo stesso. Mi convinco che in ogni modo è un’esperienza nuova, vedo bei posti, magari col sole sarebbero stupendi, conosco gente diversa, imparo meglio l’inglese. Insomma, dovrò pure farmene una ragione. Guardo il registro con le catture dei giorni precedenti. Disastro. Mi giro dall’altra parte. Boh! Ma se sono venuto qui per combattere, ciò s’ha da fare. Do’ uno sguardo significativo a Jason che si sta perdendo troppo in chiacchere con altri 2 pescatori che sono arrivati in quel momento. Esistono altri matti in zona. Sembra che a tutti non interessi poi molto la pesca o meglio non a quella frenetica a cui sono abituato a volte in Italia. Hanno ragione. Mi sembra un modo più consono di affrontare le cose. Thake it easy, prendi le cose con calma. Comunque paghiamo le 30 sterline a testa per la giornata, poco più di 30 euro con il cambio di oggi, e ci incamminiamo verso il primo lago. Carucci questi Inglesi. C’è da dire che il servizio è ottimo ed il posto incantevole. Sempre con il sole naturalmente. Sulla riva di ogni lago, ce ne sono 4, c’è la casetta di legno con il camino acceso, la stufa e la cucina con il necessario per fare il thè o il caffè ed il gabinetto sul retro. All’esterno la pensilina per proteggersi in caso di maltempo, e qui si sa cosa vuole dire, e la rastrelliera per appoggiare le canne da pesca. Tutto attorno, dove non c’è l’alberatura, il prato è rasato ovviamente all’inglese con aiuole di fiori sparse un po’ dovunque. Il primo lago non lo degno neanche di un lancio. Mi aveva troppo offeso quando sono arrivato. Nel secondo e nel terzo provo e riprovo a lanciare per un po’. Cambio posizione, vado in una zona più riparata, cambio mosca, scambio qualche parola con gli altri pescatori, impreco in turco anche se il turco non lo so. Perdo Jason, dimentico il guadino alla casa del custode. Tanto a che cavolo mi serve! E’ quasi mezzogiorno. Passo dal bagno della casa del terzo lago per i dovuti bisogni fisiologici. Trovare il coso in mezzo alla tuta, ai pantaloni ed alle mutande è un’impresa non da poco. E meno male che non indosso i waders ascellari perché di solito è ancora più complicato e bisogna cavarsi le bretelle e rivoltarsi come un guanto. Brrr. Con questo freddo non oso pensarci. Comunque smette di piovere e si apre qualche piccolo squarcio nel cielo da cui fa capolino un po’ di luce. Che culo. Mi avvio per cercare il quarto lago. Con somma sorpresa scopro che non è per niente torbido come gli altri. E’ per lo più alimentato da una risorgiva poco più a monte, anche se un po’ di acqua la prende dagli altri laghi, ma non tanto da sporcarlo tutto. La speranza riaffiora. Vado alla fine del lago dove l’acqua, tramite una griglia, si butta nel torrentino più a valle e quindi è bene ossigenata. E poi c’è qualche albero sulla riva, che per i pesci significa cibo in quanto, a volte, degli insetti cadono giù dai rami. Metto su uno streamer piombato molto luccicante. Ha dei riflessi color verde brillante, come le penne del pavone maschio e qualche filo giallo oro. Faccio dei lanci contro vento e lascio che questo mi tiri la coda di topo verso riva. Lascio affondare il tutto e quasi non recupero. La coda si ferma. Non potendo usare il segnalatore mi devo fidare solo del mio istinto. Può essere il fondo o ….. Eccola! Alla ferrata sento subito le testate. Il cuore mi va a mille. Giustamente non vuole saperne mezza, ma dopo qualche minuto vedo il riflesso della trota sotto il pelo dell’acqua. E’ discreta, direi quasi un chilo. Non ho il guadino. Tiro giù tutti i santi e le madonne dagli alberi più vicini anche se stanno facendo la hola. Poi mi dico beh, qual è il problema, tuttalpiù la perdo. Di solito vado a pescare in zone no-kill e libero tutti i pesci che prendo. Ma qui c’è un motivo di orgoglio. A parte che i pesci si devono tenere. In una giornata così, in queste condizioni, sarebbe un trionfo. L’avvicino a riva ormai stanca e la afferro con la mano sinistra che indossa il guanto di pile. Intanto mi piego per prenderla ed  immergo il ginocchio in un una fanghiglia mista a melma. Alè, uno dei due paia di pantaloni a disposizione è bigattato, dovrò cercare una lavatrice. La presa è salda e la salpo con sicurezza. La guardo estasiato e poi la sopprimo con l’annoccatore. Mi sento per qualche frazione di secondo un assassino, ma poi mi passa. Così è la vita. Da qualche decina di metri arriva un altro pescatore. Mi sorride e poi mi dà la mano. Good catch, bella cattura, mi dice. Well done, ben fatto, aggiunge. E poi ritorna nella sua posizione. Mi sento lusingato. Ma guarda un po’ sti Inglesi. Riprendo l’attività più convinto che mai. Il vento non aiuta. Mi ingavagno un paio di volte con la mosca sugli alberi, ma riesco sempre a recuperarla. Sarebbe un peccato perderla, visto che ha dato un risultato e poi di quel tipo ho solo quella e le altre sembrano più smunte. Dopo una serie di lanci tesi e la mosca infilzata nella giacca, riesco ad arrivare giusto sotto un albero. La coda si ritende. Ferro e la seconda trota, fotocopia della prima, viene sotto riva. Non ho più il guanto, perché me lo sono tolto in quanto era fradicio e la mia mano gelata. Opto per il salpaggio alla brutta, confidando nella buona tenuta del filo del diametro 22. La trota è sulla riva, ma con uno strattone spezza il filo. Comunque ormai è in trappola. La sopprimo e la metto accanto all’altra. Un altro pescatore, da un'altra riva, viene quindi verso di me. Mi dà la mano e dice: Good fish, bel pesce,  Nice one. Ma quante parole usano questi per dire la stessa cosa! Se ne va salutandomi con la mano. Rimango perplesso. In Italia sarei già stato sommerso dalle lenze degli altri pescatori che tentano di ciularti il posto buono, qui ti salutano e vanno via. Robe da non crederci. Non vedo Jason all’orizzonte. Ma dove si sarà imbuca nato! Vorrei condividere con lui questo posto, questa avventura. Non ho il suo cellulare perché nella fretta mi sono dimenticato di chiederglielo. Chiamo Eleonora per dirle di avvisarlo e venire alla fine del quarto lago. Ma non arriva. Scoprirò poi che l’aveva spento per non essere disturbato con il lavoro e quindi ciccia. Mi rimetto a pescare. Il vento si fa più insistente e ricomincia a piovigginare. Sento che sono le ultime battute. Dopo qualche lancio sento il filo teso. Ferro e la terza trota è inlamata. Questa combatte più delle altre. Non riesco a schiodarla dal fondo. Mi impegna per diversi minuti. Il braccio mi fa male. Passo la canna nell’altra mano ma non riesco a giostrarla bene. Quando si avvicina a riva tenta di infilarsi sotto le radici degli alberi. La vedo dura. Ma improvvisamente vedo sbucare un terzo pescatore con il guadino che mi si mette di fianco e con calma sguadina la trota. Gli darei un bacio in fronte se non pensassi di essere frainteso. Solita stretta di mano, soliti convenevoli e una botta in testa al pesce che si rivelerà essere poco più di 2 Kg. Mica male. Intanto ha ripreso a piovere. Prima in modo moderato, ma poi con intensità sempre maggiore e con del ghiaccio in mezzo. Insomma un effetto granita per niente gradevole in questo periodo dell’anno. Insisto un po’, ma poi gliela do su. Ma chi me lo fa fare. Ho già tre bei pesci. Li infilo con le branchie in un ramo verde che tiene il peso e mi avvio verso la casa del custode. Arrivo dopo una bella camminata. Sono fradicio nel collo per la pioggia venuta di stravento e sudato. Meno male che indosso sotto la maglia sintetica da trekking. Mi cavo la giacca e vedo Jason e gli altri che ridono e scherzano attorno al lungo tavolo di legno. Si complimentano con me e cominciamo una lunga discussione sul mondo della pesca. Sembra di essere al club della mosca in Italia. Sally intanto fa uno sbrodoloso caffè inglese e mi riempie una tazza intera. E’ decisamente schifoso ma mi scalda le mani e le budella. Anche l’whisky che segue dopo le scalda. Sono a digiuno e per un momento la baracca gira. Mangiamo uno snack che è a disposizione sul tavolo. La gente lo prende e mette i soldi in una tazza. Rivedo la stessa scena in Italia mentre il custode gira l’occhio e la tazzina rimane vuota o quasi. Fuori la pioggia è sempre più implacabile. Il cielo è scuro uniforme e non accenna a cambiamenti significativi. Il tempo passa ed i pescatori discutono. Io sono anche a posto. I pesci sono nel retino. Ho proprio bisogno di una doccia bollente. A metà pomeriggio smette il diluvio. Pregusto già il rientro ma il mio compare mi spiazza. Si rimette il suo pastrano e mi fa cenno di seguirlo. Oh, nooo. Probabilmente non è soddisfatto del risultato e quindi vuole riprovarci. Non posso biasimarlo, avrei fatto anch’io la stessa cosa. Rifacciamo tutto il percorso peschicchiando qui e là senza risultati. Decido allora di portarlo nel posto della mattina. Chissà, non si sa mai. Nonostante ci siano altri, nessuno lo ha occupato. Anzi, mi fanno cenno di accomodarmi come se avessi in qualche modo acquisito un diritto. Sono sempre più esterefatto. Pesco con Jason a pochi metri di distanza. Provo qualche lancio in avanti e poi vedo con la coda dell’occhio un movimento vicino a riva. Faccio due lanci rasenti la riva ed al secondo, sì. E’ strike! La trota si dibatte per qualche minuto e poi si lascia sguadinare con calma dal mio vicino. E’ cugina di quelle due sul kg di stamattina. Accendo un cigarillo come momento rilassatorio e mi gusto il paesaggio. Poi getto istintivamente il mozzicone per terra. Uno sguardo mi fulmina di traverso. Messaggio ricevuto. Prendo il mozzicone, lo avvolgo in un fazzolettino e me lo metto in tasca. Abbiamo decisamente da imparare da questi nordici. Anche se a volte sono un po’ ostici non si può dire che non hanno senso civico o buone regole di comportamento. Intanto riprende a piovere. La giornata volge al termine. Basta un cenno e capisco che è ora finalmente di ritornare. Lungo il percorso dò il pinnuto al mio compare. Del resto il permesso dà diritto a 3 pesci ed ogni extra costa 5 sterline. Non sono italiano per caso e la furbizia fa parte del nostro patrimonio genetico. Lo prende senza dire niente. Arrivati alla casa del custode si sono ramassati tutti. Sono un po’ intimidito ed un po’ fiero del risultato al tempo stesso. Con il giubbotto giallo sono oggetto di Joke amichevoli da parte degli avventori. Tutti vogliono comperarsi l’insolito abbigliamento. E’ quello che ha fatto la differenza nella tenzone. Mi sento proprio come Mr. Bean.  E’ il momento della compilazione del registro delle catture. John: 0; Paul: 0; Sam: 1; Jason: 0 più una serie di sigle che si riferiscono ad improperi impronunciabili; Gabriele: 4. Perché? mi chiedo. Più tardi in macchina, lungo la via del ritorno, mi viene gentilmente spiegato che se avessero scoperto la furbata, e lo avrebbero senz’altro fatto, non sarebbe più potuto tornare in quel posto. Ah! però, alla faccia dei furbi. La serata si conclude con un allegro convivio dove si raccontano le alterne vicende della giornata per me memorabile. Sfiletto tutte le trote con un coltello di fortuna, perché non ho a disposizione la mia attrezzatura professionale, che al conteggio finale pesano circa 10 libbre in tutto, circa 5 kg. Durante la cena il mio squisito accompagnatore predilige la parmigiana di melanzane ai filetti, chissà. Preferenze culinarie o stravaso di bile? Comunque non finisce qui. La prossima avventura in un futuro speriamo prossimo.
Si ringraziano i personaggi che hanno reso possibile questa strampalata, ennesima avventura.
PS: al mercato di Portobello a Londra ho trovato la canna che cercavo da tempo. Un gioiellino in bamboo refendù a sezione esagonale per la modica cifra di 20 sterline. Non potendo portarmela a casa in aereo mi verrà consegnata quest’estate da Ele e Victor, con i quali abbiamo appuntamento in agosto sui Pirenei dove passeremo le vacanze. Ed anche lì se ne vedranno delle belle. Di trote, naturalmente!
Hola
Gabriele


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