Racconti

Birdman

Di Massimo Zelli pubblicato il 08/05/15

«Come siamo finiti qui? Questo posto è orribile, puzza di palle sudate» ... Mi sento come Riggan Thompson ma non sto levitando in una stanza. Non sono di fronte ad una stretta finestra a respirare pensieri stantii di fallimento e rinascita. Sto semplicemente guardando nello specchio del cesso dell’autogrill. Cerco di svegliarmi per l’esattezza. Ho guidato per 130 Km con un solo occhio aperto.

Fumerei una sigaretta solo per darmi un tono,  ma ho quasi smesso. Non mi va adesso, forse più tardi lo farò.  E’ stupefacente sorprendermi a pensare ad una sigaretta come un fastidio da rimandare. Lo è ancor di più se penso che per un bel pezzo le mie giornate sono iniziate con la tazza del caffè, una sigaretta e di nuovo una tazza, quella del cesso per la precisione. Un bell’inizio di merda verrebbe da dire e non soltanto legando il significato al mero epilogo della sequenza.

Butto un’altra manata d’acqua fredda sulla faccia e torno a guardarmi negli occhi. S’accendono d’un tratto. Balenano di percezione. E’ il trasparire di uno stato d’animo senza esprimerlo del tutto.  E’ un odio lieve in altre parole, un fastidio fine.  << Adesso ti riconosco. Anche senza una sigaretta>>.

Dentro quegli occhi passano 5 anni che mi dividono dalla regolarità, dalle abitudini, dalle consuetudini, da quello che ci si aspettava che io diventassi. Passano la stanchezza di chi ci prova senza convinzione. Passa il mezzo sorriso sbruffone di chi “tanto va bene così”.  Passa la consapevolezza di chi sbaglia sapendo di sbagliare ma decide di farlo perchè agisce sotto una spinta finalmente vera, di pancia, reale, quasi un ideale. Siamo animali semplici, fragili e crudeli noi esseri umani ma senza sogni, senza ideali, senza una dominante superiore... siamo solo dei pezzi di merda che galleggiano nel mare dei bisogni primari, di quello che è supposto si faccia e si dica e dell’ovvietà comoda, sicura e rasserenante.

Ho trascorso 5 anni di solitudine più interiore che esteriore intervallati da tentativi abbastanza goffi di evitarla. Ho trascorso più tempo a pescare di quanto avessi osato immaginarne dopo aver finito l’università, mentre progettavo una famiglia, ed era tanto quel tempo che immaginavo. Credetemi, tanto per quei parametri.

E’ stato un tempo piccolo, un pezzo di vita creato ad hoc per dividere una fine e un inizio, una persona da un’altra persona. E’ stato un tempo piccolo che mi ha dato modo di capire meglio chi sono, cosa voglio e cosa cerco. E’ stato un modo per incontrare davvero me stesso. Avete presente quelli che descrivono come cammini spirituali ? Quelle attività in cui si va in comunità dai preti a farsi riempire la testa di cazzate sul significato dell’amore, della vita etc... come se un prete potesse trasmetterti  l’imbeccata divina sul senso della tua esistenza.  Ecco, non c’entra un cazzo con il mio cammino. Le “imbeccate divine” le ho cercate in riva al fiume, nella compagnia di un amico, sul fondo di qualche bicchiere, negli incontri di pugilato,  tra le coscie di qualche amica...

Ho avuto l’occasione di imparare che l’amore da adulti non è fatto di cazzate romantiche, di bigliettini, di sms, di anniversari. E’ fatto dell’essenza delle cose, del cercarsi a prescindere e non perchè non abbiamo alternative o nulla di meglio da fare. A proposito , l’amore, quello adulto, fa male a volte e non è gratis.

Ho avuto modo di capire che quando gli amici te li scegli oppure ti scelgono tuo malgrado, nascono rapporti che non c’entrano nulla con quelli dell’età scolastica. Le amicizie sono sentimenti profondi, cose salde, concrete, disinteressate.  Nascono legami talmente indissolubili da darti il coraggio di tenere in mano la pala il giorno che saluti l’ultima volta un amico.

E’ un camino più terreno che altro. E’ un cammino che ti porta vicino a cose poco tangibili come la morte, l’anima e la morale ma avviene solo cercando di vivere la vita secondo quello che realmente sentiamo di voler fare. Senza sovrastrutture , senza convenzioni.   Ci vuole fortuna e ... la fortuna aiuta gli audaci, perchè di coraggio ne serve molto. Ne serve per non sederti nel primo posto comodo che trovi pure se sei stanco morto del tuo viaggio. Ne serve per alzarti e andartene se quel posto se non fa per te. Ho incontrato persone che hanno mangiato robba veramente ai limiti del commestibile, pagando conti salati più del sale che avevano a tavola: non hanno avuto il coraggio di andar via. Perchè avevamo paura di risultare maleducati. Perchè è sconveniente farlo... perchè... serve coraggio anche per le piccole cose, anche metaforicamete, figuriamoci per cose più grandi, che impattano l’anima, il senso di colpa, il senso di completezza e di adeguatezza di una persona. Cercare me stesso e avere la fortuna incontrare me stesso non è stato ne bello, ne piacevole. E’ stato solo utile a capire. Quando ti trovi davanti te stesso hai paura perchè puoi confrontare quello che saresti potuto diventare con quello che sei . Bisogna fare attenzione a far domande. Si corre il rischio di avere delle risposte.

 

Lo specchio è sempre li che guarda, pare ancor più abbrutito e rugginoso dopo che questa accozzaglia sconclusionata di conclusioni m’è passata attraverso come una scarica elettrica. Bevo un sorso e sputo nel lavandino per pulirmi la gola. La primavera e le fottute allergie si fanno sentire. Risalgo in macchina, mancano pochi km di statale dopo l’uscita che è qui a 5 minuti. Cerco di ricordare come pescare. Il cielo non promette pioggia, è plumbeo, ci sarà parecchio vento suppongo. Sarò sui 37-40 metri  ma cerchero di stare più pesante che leggero. Serve precisione in questa pesca e qualche grammo in più mi permette un tiro più teso e un affondamento migliore della lenza.

E’ bello immaginare di pescare. Posso sentire la canna caricarsi e restituire come in un respiro, un soffio, il galleggiante all’aria laddove  nuota tanto bene quanto in acqua. La parabola tesa e precisa s’abbassa repentina quando calo in acqua la cima. Questo succede subito dopo che il nodo di fermo è passato tra gli anelli della canna con il suo ticchettio individuabilissimo. Ho dovuto abbandonare molte sicurezze per trovare quello che cercavo. Nella pesca all’inglese le sicurezze, piccole o grandi che siano,  fanno la differenza tra pescare a casaccio e stare in pesca sul pesce. E’ un po’ una contraddizione abbandonare le sicurezze e cercare l’eccellenza  in una tecnica che più di altre richiede un esecuzione perfetta di quelle poche cose che la compongono. Pescare  nello stesso punto è una di quelle cose immancabili.

Le palle di pastura precedentemente compresse volano in acqua cadendo in un quadrato di 4 metri di lato intorno al waggler. Formano un reticolo. Cerco sempre quando la corrente lo permette di pasturare un area ampia per potermi giocare più di una posizione di pesca quando il pesce mangia forte. In questo modo abbiamo l’occasione di far riposare un punto pescando su un altro dando continuità all’azione ma senza stressare il branco.

Il tappo sparisce e ... sono finalmente arrivato al lago.  Sergio è parcheggiato  fuori dal cancello. Sono leggermente in anticipo.


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