Racconti

Bracconaggio: nuova legge per contrastare i predoni del Po

Di Silvio Voltazza pubblicato il 17/04/17

Una minaccia che viene da Est

 

Se la pesca sportiva non rappresenta più una vera minaccia per l'ittiofauna, vista l'usanza molto diffusa di rilasciare vivo il pescato, come la presenza di divieti nei periodi di frega, che dovrebbe consentire ai pesci il naturale svolgimento del loro ciclo riproduttivo, il bracconaggio ittico in Italia ha sempre più le sembianze di un vero e proprio disastro ambientale, ma da dove ha origine questo fenomeno così disastroso per gli ecosistemi idrici, e per l'ittiofauna in essi presente? La minaccia proviene principalmente da Est, in parte dall'Ungheria (a partire dagli anni 2000), ma in modo più massiccio dalla Romania, nel dettaglio dal delta del fiume Danubio, il più grande fiume europeo, che termina la sua corsa andando a sfociare nel Mar Nero. Qui si trova la città di Tulcea, che ospita una minoranza etnica di origine russa, i Lipoveni, che fino a poco tempo fa erano i padroni incontrastati del delta del Danubio. Tradizionalmente un popolo di pescatori, essi però sono stati costretti a cambiare la loro zona di attività, dopo che il governo romeno, coadiuvato dall'autorità competente per la tutela del parco del delta del Danubio, ha messo in atto provvedimenti volti a limitare l'azione disastrosa dei Lipoveni, che avevano trasformato un'attività tradizionale in un business da milioni di euro, finendo per devastare un'area che ospita un ecosistema dall'incredibile biodiversità (sono tutt'ora presenti più di 3000 speie animali), non a caso dichiarata patrimonio dell'Unesco. Costretti dunque ad abbandonare la loro zona di pesca prediletta, i Lipoveni hanno cercato una zona con caratteristiche ambientali simili, trovandone una in Italia perfettamente corrispondente all'identikit: parliamo del delta del Po, il cui insieme di rami fluviali ospita un'ingente quantità di specie ittiche pregiate, una vera manna per i bracconieri rumeni che, a partire dal 2012, hanno spostato il centro della loro attività proprio tra le province di Ferrara e Rovigo. Da qui hanno continuato la loro deplorevole attività, con metodi al limite del grottesco che, come è facile immaginare, non tengono minimamente conto dell'impatto ambientale, finendo per impoverire l'ittiofauna del delta del grande fiume, in modo quasi irreversibile. Bisogna peraltro constatare che, se fino a qualche tempo fa la loro attività era nota “solo” in quest'area, esistono prove che essa si stia estendendo anche nel centro-sud Italia. Essi hanno nel tempo costituito delle vere e proprie bande, costituite dalle famiglie dei pescatori, con mogli che arrivano anche in piena notte a pagare in contanti le sanzioni amministrative per evitare il sequestro delle attrezzature (che tra l'altro può avvenire solo in flagranza di reato), e con avvocati senza scrupolo (spesso gli stessi per numerose di queste bande, attivi soprattutto tra le 2,00 e le 5,00 di notte, che prestano loro assistenza. La quantità di pesce “rubata” dal delta è impressionante: alla luce dei dati raccolti dalle forze dell'ordine, in seguito a numerose incursioni, si stima che in una notte essi possano prelevare da alcuni quintali fino a, in casi eccezionali, addirittura qualche tonnellata di pescato. Inoltre, è da sottolineare un'indole indubbiamente aggressiva e tendente al violento di questi soggetti, che più di una volta si sono resi protagonisti di atti intimidatori o ritorsioni ai danni dei pescatori, rei di aver liberato il loro pescato, catturato illegalmente, o semplicemente di aver occupato luoghi di pesca che ormai considerano come di loro esclusiva proprietà. Sono numerose le testimonianze che riferiscono di avvenuti furti di motori e di imbarcazioni a danno di privati, così come di atti intimidatori e vandalici contro chi si è opposto nel tempo alla barbarie perpetrata da questi personaggi. Gli inviati di “Servizio pubblico”, famosa trasmissione in onda su la7 e condotta da Michele Santoro, è riuscita ad intercettare uno di questi predoni, chen ha dichiarato, con la massima tranquillità: “Guadagniamo 4 o 5mila euro al mese. Spendiamo tutto in Italia. Penso sia una buona cosa per lo Stato italiano, penso che non sia poi così malvagio”. Un'ulteriore conferma, in altre parole, della tranquillità con cui operano questi individui, per i quali una semplice sanzione amministrativa non rappresenta certo un problema, vista la facilità con cui riescono a pagare in contanti anche somme di qualche migliaio di euro, spesso a distanza di poche ore, la multa comminatagli, derivante dalla loro attività illecita che gli porta nelle tasche di ciascuna di queste bande circa 20.000 euro a settimana.

 

 

 

Danni alla salute umana

 

 

 

Le specie maggiormente ricercate da questi predoni sono principalmente carpe e siluri, pesci che spesso raggiungono dimensioni e pesi record (fino a circa 25 kg nel caso delle carpe e fino ad oltre 40/50 kg nel caso del siluro), che ovviamente consentono loro di trarre maggior profitto dalla vendita del pescato. La vendita dei pesci catturati dai bracconieri non riguarda solo il mercato dell'Europa dell'Est, ma anche il nostro Come constatato dalla F.I.P.S.A.S. (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee) Molte sono le segnalazioni di presenza di questa specie sui mercati del pesce di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, senza che vengano fatti i controlli adeguati sulla salute e sulla qualità di ciò che viene venduto. Nel caso poi del pesce siluro, un predatore al vertice della catena alimentare, la situazione risulta particolarmente grave: come spiegato, la magnificazione è un processo che aumenta esponenzialmente la concentrazione di sostanze tossiche all'interno degli esseri viventi, man mano che si procede dall'alto al basso della piramide alimentare. Ebbene, uno studio ha analizzato 54 campioni di muscolo provenienti dalle carni di questo pesce predatore, stabilendo che in 5 casi erano presenti concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) superiori l limite massimo, che, secondo il regolamento 1881/2006, è di 2 ppb (μg/kg). Queste sostanze, presenti in larga misura in catrami bitumi, peci e carboni, derivano in parte da attività antropiche quali combustioni di materiale di vario tipo, ed alcuni loro composti sono stati classsificati come cancerogeni Ebbene in questi casi, la concentrazione registrata è stata di 3, 4.1, 12.8, 7.8 e 8.2 ppb, con concentrazioni elevate anche di Naftalene, Fenantrene, Antracene e Crisene. Se ciò non bastasse, uno studio del reparto di chimica degli alimenti di Bologna, ha rilevato nelle carni degli esemplari di pesce siluro analizzati conentrazioni di metalli pesanti superiori al valore massimo stabilito dall'UE (0,005 mg/kg): in particolare, nelle carni analizzate, la concentrazione di mercurio era addirittura di 0,255 mg per chilogrammo. Una quantità dunque pari a 50 volte quella massima consentita. La consumazione delle carni del pesce siluro viene praticata solitamente da consumatori dell'Europa dell'Est, ma non conoscendo nel dettaglio la rete di vendita esistente, non è possibile fare stime sulla quantità di pesce effettivamente consumata: ciò che è certo è che il consumo di questo pesce continua, e rappresenta un problema da prendere in considerazione.

 

 

 

Il danno all'indotto della pesca sportiva

 

 

 

Da sempre l'obbiettivo di qualsiasi pescatore è uno solo: pescare il pesce più grosso, in altre parole la ricerca del record. In questo senso il delta del Po ha sempre rappresentato una meta dal fascino particolare per moltissimi appassionati, vista la presenza di potenziali prede dalle dimensioni e dal peso da capogiro (su tutte esemplari di carpa e siluro), e la quantità di acqua e di ambienti diversi tra loro, al cui interno ricercare, armati di passione e di pazienza, il pesce della vita. Con l'evoluzione dei materiali, e la massiccia pubblicità prodotta dalle varie case produttrici, la pesca si è evoluta sempre di più, creando strumenti sempre più raffinati ed efficienti. È doveroso però ricordare che oltre alla crescita della tecnologia sportiva, e quindi anche degli appassionati, risulta evidente un altro tipo di crescita, quella dell'indotto economico legato appunto all'attività pescatoria. Un indotto non indifferente, dato che si parla di circa 3 miliardi di euro annui come indotto globale, derivato da 1.500.000 licenze di pesca rilasciate, ma che rischia di essere fortemente compromesso, qualora in una delle zone predilette dai pescatori, già abbandonata da alcuni in seguito a ripetute aggressioni ed intimidazioni, non rimanesse più nulla da pescare.

 

 

 

Tecniche ed attrezzature

 

 

 

I metodi usati dai bracconieri, come detto, poco hanno a che fare con la pesca comunemente detta: non più canne e mulinelli, ma strumenti di morte e devastazione, che lasciano ben poco dietro di sé al loro passaggio. Le loro procedure sono ormai note alle forze dell'ordine ed ai frequentatori abituali della zone del delta del Po: è dunque possibilire stilare una lista delle tecniche e delle attrezzature con cui sono soliti operare:

 

 

 

  • Le reti a tramaglio – Si tratta di reti lunghissime, di forma rettangolare, composta da tre livelli di maglie di diametri diversi, spesso pressochè invisibili ad occhio nudo, poiché rimangono appena sotto il pelo dell'acqua. Queste reti regolarmente violano la lunghezza massima regolamentare (25 metri), arrivando a lunghezze esagerate, talvolta qualche chilometro. Inoltre, la loro disposizione sbarra completamente il corso di fiumi e canali, non lasciando scampo ai pesci in movimento, che inevitabilmente finiscono per rimanere intrappolati;

  • L'elettrostorditore- Anche in questo caso, il concetto è molto semplice: il congegno è strutturato in maniera molto basilare, e si compone di una batteria per automobili, collegata ad un amplificatore artigianale d'intensità. L'elettricità, a seconda dei casi, può venire condotta o dai cavi, o da un retino metallico con manico isolante, solitamente di gomma. Una volta immerso in acqua il conduttore il gioco è fatto, e le scariche vengono liberate violentemente, con conseguenze ovviamente devastanti per ogni organismo presente nei dintorni: solitamente l'elettrostorditore viene usato insieme alle reti a tramaglio, in modo da spingere i pesci spaventati verso di esse, senza lasciare loro via di fuga. I suoi effetti, però non hanno bisogno di strumenti complementari per risultare letali: i pesci più vicini alle potenti scosse emanate, infatti, subiscono gravi lesioni, come ustioni sia interne che esterne, esplosione degli occhi, rigonfiamento dell'epidermide e, spesso, anche morte immediata.

  • Veleni e fertilizzanti agricoli – Parliamo soprattutto di fertilizzanti azotati e veleni usati in agricoltura, che vengono usati dai bracconieri nella loro attività di mattanza ai danni dell'ittiofauna. Ciò che viene sfruttato, in questo caso, è il loro effetto di creare carenza di ossigeno, o comunque di irritare i pesci, che, disturbati, sono stimolati a spostarsi, finendo inevitabilmente nella trappola mortale, rappresentata dalle reti a tramaglio. Questa tecnica risulta particolarmente dannosa ed invasiva, poiché inquina sia le acque che i pesci, che come visto in precedenza, vedono accumularsi queste sostanze inquinanti all'interno dei propri organi, con la loro concentrazione che sale scalando la piramide alimentare, secondo il processo della magnificazione. Ciò risulta particolarmente dannoso oltre che per l'ittiofauna stessa, colpita direttamente, anche per la salute umana, dato che alcune specie finiscono regolarmente sui banchi dei mercati del pesce.


 

 

I dati raccolti dall'Università di Ferrara possono fornirci un'idea dell'entità del danno ambientale arrecato dai bracconieri: in base ai campionamenti effettutati, nelle zone afflitte dal fenomeno del bracconaggio la fauna ittica ha subito cali stimati dal 30% al 50%. Come detto si tratta di semplici stime, che oltretutto riguardano la sola provincia di Ferrara: il danno procurato all'intero delta del Po è difficile da ipotizzare.Questo fenomeno, che da anni distrugge l'ecosistema del delta del Po, si sta diffondendo un po' ovunque, soprattutto nelle acque interne del Nordest, che vedono distrutta la propria ricchezza ambientale e biologica; da tempo i pescatori si sono coalizzati in vari gruppi di volontari, che nottetempo visitano le rive che ospitano l'attività di questi “predoni dell'Est”. Ciò che manca, e ciò che in molti vanno chiedendo a gran voce ormai da anni, è però un corpo armato che contrasti l'attività di questi usurpatori ambientali, senza il quale risulta impossibile pensare di eliminare questa minaccia. Se si pensa che per la provincia di Ferrara siano solo sei uomini a monitorare la situazione, risulta evidente come i bracconieri abbiano vita facile, e possano dunque continuare il loro massacro. Un contributo importante in questo senso arriva dalle guardie volontari, spesso pescatori e profondi conoscitori della zona in cui operano i bracconieri, che vengono dotati di piani poteri sanzionatori nei confronti di questi devastatori, dato che nell'ambito delle competenze loro riconosciute sono risultano pubblici ufficiali ed agenti di polizia giudiziari, con tutti i poteri che ne conseguono. Essi sono coordinati nelle loro mansioni dalla polizia provinciale, che coordina tutti i corpi di viglilanza (perlopiù costituiti da volontari) dedicati al controllo delle attività alieutiche; all'interno dei corpi di vigilanza, poi, gli agenti sono a loro volta coordinati da un membro interno, che si interfaccia con la polizia provinciale e coordina l'attività di tutti gli agenti. Come illustrato da Paolo Baldan, pescatore ed ex guardia volontaria, attività che ha svolto per due anni “all'interno del corpo non esistono, come per le forze dell'ordine, gerarchie e/o gradi, e le uscite per le varie attività di controllo e vigilanza vengono sempre inserite programmate preventivamente, al fine di avere di una maggiore efficienza, e vengono poi specificate le zone da controllare, così come gli agenti incaricati. Eventuali segnalazioni ed emergenze, che partono solo ed unicamente dalla polizia provinciale, vengono poi trasmesse alla zona di pattuglia più vicina alla zona di interesse, che può quindi intervenire”. Un ruolo, quello di guardia volontaria, che Baldan ha ricoperto a lungo con impegno e dedizione, e che spesso lo portava ad intervenire in situazioni molto meno gravi della pesca di frodo intensiva, come pescatori senza licenza o con tecniche e/o materiali non consentiti. È in questi casi che, secondo Baldan, la guardia pesca può diventare più che un mero vigilante e sanzionatore, un punto di vista che però lo ha portato spesso a diverbi con altri suoi colleghi: infatti, egli confessa che “il mio ruolo era quello di intervenire ad illecito avvenuto. In altre parole, io non potevo andare da una persona, che magari stava pescando senza licenza o con tecniche o materiali non consentiti, o che stava commettendo altri illeciti, informandolo o sensibilizzandolo circa il motivo dell'esistenza di certe norme o leggi. Qualche volta l'ho fatto, e anzi in quei casi venivo ripreso dai miei colleghi più “anziani”, i quali mi dicevano che non aveva senso perdere tempo ad arrabbiarmi o a dare spiegazioni, e che il mio compito era solo quello di viglilante e sanzionatore. Questo mi ha portato ad avere discussioni a volte anche accese con altri membri del corpo di vigilanza. Secondo me va ripensato il ruolo di guardia pesca: spesso vengono commessi illeciti per ignoranza e disinformazione, e in quel caso bisogna informare le persone, spiegandogli dove hanno sbagliato. In questo modo una persona può apprendere e orreggere certi comportament, e vedere le guardie non con antipatia, ma come un corpo utile e che informa, non solo come quelli che mettono le multe”.

 

La nuova legge anti bracconaggio

 

La critica più spesso che è stata mossa al mondo della politica, da pescatori ma anche da animalisti, ittiologi e non solo, era quella della mancanza di una legge che prevedesse pene adeguate per chi pratica la pesca di frodo, che fino al 2016 prevedeva delle semplici sanzioni amministrative (da 1.000 a 6.000 euro), ritenute insufficienti, anche perchè venivano puntualmente non pagate e ignorate dai trasgressori. Per fare un esempio, e per la sola provincia di Ferrara,a fronte degli 80.000 euro comminati in sanzioni amministrative, solo 7.000 sono stati pagati. Finalmente, nel 2016, sono arrivati segnali importanti, con l'introduzione della nuova normativa anti bracconaggio, contenuta nell'art.40 della legge 28 Luglio 2016, n.154 - “Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale”, conosciuta ai più con il nome di Collegato agricolo, che è entrato in vigore nell'agosto 2016. DI questo si è discusso ampiamente a Gonzaga, in provincia di Mantova, all'evento Carpitaly 2017, una fiera che annualmente raduna appassionati di pesca da tutta Italia, e che oltre all'esposizione di prodotti legati alla pesca ricreativa, annualmente affronta temi legati alla tutela delle acque interne e dell'ittiofauna italiana. Il problema del bracconaggio rappresenta appunto uno dei temi più discussi, e quest'anno, alla conferenza “Bracconaggio 2.0: la legge”, si è fatto il punto sulla nuova normativa e su quanto essa preveda, alla presenza anche di alcuni esponenti della politica italiana. Dalle parole di Michele Valeriani, esponente del Movimento Gruppo Siluro, si intuisce una certa soddisfazione per il lavoro svolto da politici e dalle associazioni, F.I.P.S.A.S. in primis: “ Si è passati al nulla cosmico, con leggi ferme agli anni '60/70, ad avere finalmente una legge che permette alle forze dell'ordine di agire: per la prima volta una legge fatta per il mare è stata amèliata per la pesca sportiva in acque interne: come ben sappiamo in mare le leggi sono molto più incisive e molto più severe. Ciò ha permesso alle forze dell'ordine, rappresentate da carabinieri e guardie forestali di fare un grosso intervento nel lodigiano, per smantellare due covi di bracconieri. Ciò non sarebbe stato possibile senza il lavoro svolto in tanti anni, soprattutto con le conferenze come quella di oggi, dove grazie alla presenza di una rappresentanza politica, di qualsiasi colore o bandiera, si è riusciti ad apportare delle modifiche importanti al Collegato agricolo. Certo, si è dovuti arrivare ad una situazione catastrofica perchè i media riservassero al problema l'attenzione che meritava, ma il lato positivo è che ora se ne parla quasi ogni giorno. Ci sono ancora molte cose da correggere e sistemare, come il problema dello smaltimento del pesce: se le forze dell'ordine fermano un furgone con una tonnellata di pesce pescato illegamente, cosa ne faccio? Come lo smaltisco? Chi si accolla lo smaltimento? Se si chiama una ditta, essa vorrà sicuramente essere pagata subito. Di conseguenza si cercherà di arrivare ad avere un “fondo bracconaggio” da cui attingere per smaltire il pesce.” Cosa prevede dunque la nuova legge? Nell'art 40 del Collegato agricolo 2016, e nello specifico nel comma 2 dell'articolo, vengono elencate le modalità di pesca considerate illegali dalla legge italiana, che sono nell'ordine:

 

  • Lo stordimento, l'uccisione e la cattura di fauna ittica mediante materiale esplosivo di qualsiasi tipo;

  • L'utilizzo di elettrostorditori;

  • Lo sversamento in acqua di sostanze tossiche o anestetiche nell'acqua;

  • L'asciutta indotta, anche parziale dei corpi idrici;

  • L'utilizzo di reti, tecniche e materiali non configurabili come sistemi di pesca sportiva in base alle leggi esistenti in vigore;

  • L'utilizzo di attrezzi per la pesca professionaledove tale pesca non è consentita, o senza il relativo titolo abilitativo;

  • L'utilizzo di reti ed altri strumenti difformi, per lunghezza o dimensioni, da quanto previsto dalle norme vigenti.

 

Nel comma 2 si dichiara inoltre illegale la pesca, la detenzione, il trasporto ed il commercio di tutte le specie di cui sia vietata la cattura in qualsiasi stato di crescita; nel comma 3 vengono dichiarate i la raccolta, il trasporto ed il commercio di animali storditi o uccisi con una o più delle modalità sopra citate.

Nel caso che venga accertata la cattura di specie di cui sia vietata la cattura, come nel caso in cui il pesce catturato sia stato stordito con materiali illeciti, o causando l'asciutta totale o parziale di un corso d'acqua, e nel caso di violazione del comme 3, le forze dell'ordine potranno procedere all'arresto dei trasgressori, che potrà essere di una durata variabile dai due mesi ai due anni, commutabile in un'ammenda penale dai 2.000 ai 12.000 euro. Nei restanti casi di violazione del comma 2, sarà prevista invece una sanzione amministrativa da 1.000 a 6.000 euro. Invece, per quanto riguarda i casi accertati di violazione di tutti i punti del comma 2 e del comma 3, le forze dell'ordine saranno autorizzate a procedere all'immediata confisca del pescato, dei materiali e degli attrezzi utilizzati, nonché al sequestro dei natanti e dei mezzi di trasporto utilizzati per la conservazione del pescato di cui, se ancora in vita, ne verrà effettuata la reimmessione in acqua, accertata in apposito verbale. Per il futuro prossimo riguardante la lotta al bracconaggio, inoltre, la F.I.P.S.A.S. , in qualità di associazione di protezione ambientale, riconosciuta con decreto ministeriale, ritiene necessaria la costituzione di un Osservatorio Nazionale del Bracconaggio (ONB), ritenuto indispensabile per la prevenzione, il controllo e l'applicazione delle sanzioni: esso dovrebbe avere essenzialmente la funzione di strumento di consulenza, di misura organizzativa e di prevenzione nazionale, e dovrà fungere da riferimento per quanto concerne il controllo e la vigilanza nazionale. L'ONB dovrà essere costituito da due delegati designati del Ministero dell'Ambiente, due designati dalla F.I.P.A.S., un membro dell'Istituto Superiore per la Protezione dell'Ambiente e due rappresentanti del Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente. L'ipotetica e, forse, probabile costituzione dell'ONB dovrà passare per l'emanazione di un apposito Decreto del Ministero dell'Ambiente, attraverso la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra il Minisstro dell'Ambiente, il Comandante dell'Unità dei Carabinieri per la Tutla Forestale e Agroalimentare e il presidente della F.I.P.S.A.S. stessa. L'ONB, una volta costituito avrà i seguenti compiti:

 

  • Il coordinamento dei flussi informativi ;

  • La formazione di una rete nazionale informativa sul bracconaggio;

  • La creazione di un meccanismo di coordinamento nazionale tra le forze dell'ordine;

  • L'elaborazione di un piano d'azione nazionale per quanto riguarda le risorse da mettere in campo.

 

Il Capitano dei carabinieri Giovanni Gianvincenzo, presente alla conferenza “Bracconaggio 2.0”, ha espresso la sua soddisfazione per la nuova legge, affermando che “La legge è uno strumento di azione molto importante, ha cambiato l'approccio verso questa attività illecita che sta comportando un danno ambientale irreparabile, considerandola per la prima volta un reato. Si tratta di criminalità organizzata e finalmente è stata presentata un'informativa completa davanti alla procura. Negli ultimi mesi, grazie alla legge, è stato possibile sequestrare furgoni, barche, celle frigorifere e sono state sgominate due basi operative che sviluppavano attività illecite in Lombardia”. Presente anche l'on. Marco Carra, esponente parlamentare del PD, che ha dichiarato: “Credo che occorra dare un seguito al pragmatismo uscito questa mattina, all'interno di un'azione condivisa. Credo che la politica, di fronte alle divisioni del mondo della pesca, ci sguazza. Quando per il collegato agricoltura, di fronte ad un singolo tema, si presentano diciotto associazioni, e una dice l'esatto contrario dell'altra, il mondo politico si trova nella situazione di poter rimandare ad oltranza, non accontentando né gli uni né gli altri. In quest'ottica, l'invita a creare una lobby non va scartata, etichettando il termine come intrinsecaeìmente negativo: ci sono lobby che fanno del male, ma ci sono anche quelle che fanno del bene. Penso quindi che questo appello vada accolto, in modo tale che si possa fare del gioco di squadra, che non riguardi solo i pescatori ma che sia interistituzionale e interpartitico. La battaglia da intraprendere è quella per produrre altri cambiamenti normativi, per inasprire le sanzioni che, in questo momento, ancora non sono sufficienti per essere un deterrente”. La strada è ancora lunga dunque, ma il primo passo è stato fatto, e questo non può che far ben sperare per il futuro dell'ittiofauna italiana, così come per quello delle acque interne.


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