Racconti

Cani in chiesa

Di sabino civita pubblicato il 22/02/16


Io non sono nato a Pavia, sono di Vigevano, ed è sul Ticino a Vigevano, nei fossi lomellini, sul Terdoppio che ho imparato a pescare. Erano i tempi dei milioni di savette in corrente, le tigri dai denti a sciabola erano lontane dall’estinguersi e l’asse terrestre aveva una differente inclinazione. Leggendo gli articoli di Mario Molinari imparai a pescare a ledgering, per un motivo semplice quanto per me umiliante: non sono mai stato capace di usare cristianamente canne più lunghe di quattro metri, e allora la fissa da otto marcava il confine tra i pescatori pippe e i bravi pescatori. Portatori di clava pesante si trovavano a meraviglia con simili canne costruite in pietra lavica e bronzo, io invece, prova vivente che il darwinismo non premia i più forti ma quelli che si adattano, aspettavo l’uscita dei papiri sui quali Super Mario, vestito di pelli di leopardo griffate Daiwa, pescava plesiosauri a ledgering nella placida Adda e scriveva come farlo (in cuneiforme accadico).
Passato il medio evo della vita, quello in cui la pubertà ti fa scoprire strani esseri della tua stessa specie, ma di sesso diverso, con il potere di farti perdere ogni interesse verso ogni cosa che non siano loro stesse, mi è capitato di riprendere saltuariamente a pescare; ma solo dopo aver piantato il mio tepee stabilmente, sposato Gatta Selvaggia durante la Luna Nuova e aver visto i frutti dei miei lombi aggirarsi per le praterie, che l’urgenza di riprendere correntemente a lanciare scatolette di plastica bucate e abitate da inspiegabilmente costose larve di insetti in un qualunque specchio d’acqua riprese il sopravvento.
Era ormai un nuovo millennio, e non ero più a Vigevano, ma a Pavia, e pure lì c’è il Ticino, ma anche un canale che arriva da Milano e attraversa tutta la città dritto come una freccia, compiendo un’unica curva degna di questo nome, non molto distante dal punto in cui va a buttarsi in fiume. È il Naviglio Pavese.

_Strani giorni_
Naturalmente la mia imbarazzante incapacità di usare lunghe fisse o bolognesi, tecniche in cui i pavesi erano e sono maestri, era ben lungi dall’essere lontana, anzi; ed era con sufficienza, se non con sospetto, che venivo guardato dagli altri pescatori quando mi recavo in negozio chiedendo qualcosa di particolarmente strano, come per esempio un feeder che non fosse il solito “marrone” da 100 grammi, unico pasturatore ammesso in quanto facente parte della nobile arte del “tirone alla pavese”, tecnica della quale, credetemi, non volete sapere nulla.
Ed in ogni caso il ledgering era allora considerato in quei luoghi una tecnicaccia da fiume, da corrente, praticata perlopiù con canne da bolentino telescopiche e dal vettino colorato, ritenuta a volte redditizia ma poco sportiva, se non addirittura roba da quasi-bracconieri. In Naviglio poche, pochissime persone avevano osato praticarlo secondo i britannici dettami, una manciata di carbonari che si passavano fotocopie di riviste anglosassoni e si riunivano in cantine buie, sempre timorosi di essere scoperti e messi in ceppi da borbonici armati di roubaisiennes. Uno di quei sediziosi rivoluzionari, il Bande (nome in codice di Claudio Baldiraghi, il migliore di tutti noi, condannato poi all’esilio in Francia per essere stato trovato in possesso di un certo numero di pasturatori Drennan) ebbe pietà dei miei diversi cappotti in Naviglio, e della mia incapacità nel capire perché invece non cappottavo quando la cosa capitava, e mi mise a parte, me straniero in terra straniera, di alcuni misteri orfici circa i modi e i luoghi e i tempi del canale, che i frequentatori del Naviglio si tramandano oralmente da generazioni. Ma il Bande era uno fine, uno che sapeva pescare con winkle pickers da 9 piedi e finale da 0,06 con amo del 22 alla Conca del Nido in pieno inverno, con l’acqua limpida come cristallo e cristalli di ghiaccio che otturavano i passanti del vettino. Per quanto illuminato dal ledgering, la sua scuola era quella agonistica dopo tutto, e se vuoi fregare un cavedano in Naviglio amo piccolo e filo fine sono l’arma migliore a disposizione. Per uno che pesca a roubaisienne. Io non pescavo a roubaisienne. Mai pescato a roubaisienne. Mi secca tenere in mano una fissa da sei metri, figuratevi un palo da quattordici e mezzo (la misura di tredici metri venne resa agonisticamente obbligatoria solo dopo la promulgazione dello Statuto Albertino). Tutto questo mi ha privato di numerose esperienze e capacità alieutiche, ma di contro mi ha reso impermeabile a numerose stupide convenzioni e inutili convinzioni che spesso sono proprie di un certo modo di praticare la pesca agonistica. Ogni scelta è una rinuncia, dopotutto.

_Mi raccomando, senza il pasturatore!_
La mia prima esperienza di ledgering in Naviglio, tuttavia, fu proprio nel regno degli agonisti, ovvero il tratto no-kill che inizia a Certosa di Pavia, dove vengono svolte la maggioranza delle competizioni che coinvolgono la Provincia. Roba seria, con tanto di cartelli in cui persino ai Garisti Puri non è concesso di usare un feeder. E c’era tanto di cartello ad indicarlo. Così, io che non supero il limite di velocità e mi fermo alle strisce pedonali, il pasturatore non l’ho mai usato. Mai, proprio mai, giurin giuretta, possino cecamme. Davvero, perché non mi credete?!? Anche perché, visto che quel tratto costeggia una strada ad alta percorrenza, qualcuno potrebbe vedervi, e se è un Agonista Vero, potrebbe telefonare alla locale sede della Federazione, affinché mandino qualcuno a controllarvi la licenza e se avete un pasturatore attaccato alla lenza. Giuro, è successo. Naturalmente, multa.
Quindi, piombino (da cinque a dieci grammi, nella maggior parte dei casi è sufficiente) e sfiondate di bigattini. Poco male, perché a grande scorno dei più, i pesci si prendono come e a volte più che con le tecniche da galleggiante.

I miei inizi sul Naviglio Pavese, in ogni caso, furono così, senza pasturatore, e con gli insegnamenti “pesca fine e leggero”. Col tempo ho imparato che non serve quasi mai, per quanto limpida e bassa possa essere l’acqua, che quelle regole valgono per altre tecniche, poiché la presentazione è differente, la possibilità di poter cambiare zona di pesca anche – pur restando seduti nello stesso posto – e non c’è un palo di 13 metri ad agitarsi proprio sopra l’esca che proponiamo ai pesci. Quando non si prende a ledgering è semplicemente perché, per gli oscuri motivi noti solo ai pesci, altre tecniche, quel giorno rendono di più e il nostro vicino, che peschi a roubaisienne o a bolognese, ci farà neri indipendentemente da tutto. E grazie a Dio che è così.
Tradotto in freddi dati: finale dello 0,14, lungo tra i 40 e i 60 centimetri, e amo del 18 sono ora il mio setup iniziale di qualunque sessione sul Naviglio, parlando di pesca a block-end o a cage, o open end feeder, quando non pesco nella No-Kill di Certosa, ovviamente. Non che i flat method o pellet feeder non funzionino, tutt’altro, sia usando micropellets che bigattini incollati, e questo su tutto il canale, o almeno in tutti i tratti in cui ho pescato.
Una piccola nota blandamente e superficialmente polemica. Quel cartello, col divieto di pesca col pasturatore a Certosa di Pavia, c’è ancora oggi. È, come ho detto, un tratto no-kill, sotto l’egida della FIPSAS provinciale, che giustamente mette i regolamenti che gli pare, sui suoi campi gara. Il che stride però un poco col crescente proliferare delle competizioni a feeder che, negli ultimi anni, la Federazione lodevolmente e proficuamente promuove in ogni angolo della Penisola. Detto così, en passant.

_Cani in chiesa _
In realtà mi sono goduto le migliori pescate a feeder in Naviglio qualche anno dopo, e ancora adesso aspetto l’arrivo della bella stagione per andarci di sera. Tutta colpa di Paolo Bonizzoni, che mi ha mostrato come godersi il dopolavoro, dalla sette di sera in poi, pescando due-tre orette e anche più, con l’aiuto di una starlite (o starlight, come preferite). Certo, lui la mette sul galleggiante, io sul vettino, ma chissenefrega. Ed è proprio alla starlite e a Paolo che devo il titolo di questo pezzo. Vedete, lui ha una faida ancora in corso con quelle lucine chimiche, non importa dove le compri o di che marca siano, a lui capitano sempre quelle che durano poco, con una lucina flebile flebile, e la sua conclusione è sempre la seguente: “Sun furtünà me un can in gesa” (a un dipresso, dal lombardo veneto, si traduce come: sono fortunato come un cane in chiesa, ovvero qualcosa del tipo “capitano tutte a me” o se volete “ecchesfiga!”).
Certo, da giugno in poi le zanzare ti tormentano un po’, bisogna dotarsi di lampada frontale e delle suddette starlite, ma essere a pesca comodi comodi, macchina dietro il culo (si può dire culo? Ma sì, non è pubblicità), in pieno centro a pescare cavedani o gardon, scardole o carpe, con bigattini o mais contando sulla fida 11 piedi mentre sull’alzaia di fronte joggers giovinette e non, in pantaloncini di lycra e ballonzolanti canotte attillate si tengono in forma, ha un suo perché. E no, non si infrange nessuna legge. In provincia di Pavia la pesca notturna e lo jogging femminile sono concessi dal primo marzo sino alla fine di ottobre.

_Svuota, riempi e reimmetti_
L’anno scorso il Naviglio Pavese, come anche il Grande, è stato svuotato per lavori. Molte sponde erano in cattivo stato, poi c’era la voce (vera? falsa?) di una voglia di Expo che se lo rifacciamo navigabile, non è meglio? Fatto sta che tutto il pesce che c’era dentro è stato spostato, e portato chissà dove in Ticino. Una delle conche più lunghe, se non la più lunga e perciò più ricca di pesci (si chiamano conche quei tratti che vanno da sbarramento a sbarramento), quella che da Borgarello arriva fino in città, era la mia preferita, proprio quella delle mie notturne con la starlite. L’anno scorso, senz’acqua, era difficile farsi venire voglia di pescarci, ed una estate me la sono giocata. Ma quest’anno l’acqua c’è, e hanno reimmesso anche parecchio pesce. Non lo stesso, naturalmente; carpette anche piccolissime che sembrano miniature, pesci gatto nostrani e non, gardon, pesce bianco assortito proveniente da recuperi di asciutte. Nei tratti a valle, che non sono stati svuotati, sopravvive la vecchia popolazione di enormi cavedani, carpe anche di taglia, che continuano a popolare le conche della Provincia e l’ultima conca, quella del Confluente che vede le acque del Naviglio finalmente ritornare ad essere Ticino.

Ma c’è un tratto del Pavese, che però è nella provincia di Milano, da Casarile a Badile attraversando Binasco, che mi è molto caro. Credo qualcuno di voi lo conosca, stando alle 21598 visualizzazioni ad oggi di un piccolo video che ho fatto e che è ancora presente su YouTube. Lì l’acqua è più limpida, spesso la corrente più veloce, enormi cavedani, belle carpe, amur, persici, scardole e perfino tinche ci vivevano ed era bello pescarle. Era. Anche quel tratto, parecchio lungo, è stato svuotato per lavori ed è rimasto asciutto per parecchi mesi. L’acqua, qualche tempo fa, è tornata ma di pesci neppure l’ombra. Aspettiamo.


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