Racconti

Clack

Di Massimo Zelli pubblicato il 10/02/10

Dal terrazzo in cima al palazzo vecchio, all'incrocio tra Lungotevere de' Cenci e Via Aurelia, la vista era un quadro pittorico di raro realismo e bellezza. La maestà del fiume, che scorreva davanti a me sotto Ponte Garibaldi, andando ad avvolgere in un abbraccio secolare l'Isola tiberina, era come una lacrima sulla faccia stanca di una Roma settembrina di fine anni '90. Avevo un appuntamento di grande importanza, una questione di lavoro, tutta quell'acqua però, con il suo magnetismo smisurato nei miei confronti, aveva ormai catalizzato la mia attenzione. La decisione era presa: una volta svolto l'incarico avrei con piacere dedicato la mia attenzione al "biondo tevere". Magari, sarei potuto andare poco lontano: nella zona di Grottarossa c'erano dei grossi cavedani ed il fiume aveva una passata di una bellezza eccezionale.

Per l'appuntamento era ancora presto ed io potevo comodamente prepararmi, il ministro sarebbe stato disponibile tra un'ora. Il "clack" della cerniera in acciaio lucido della 24 ore era un deja vù che vivevo ogni volta che vi mettevo mano: non riuscivo a non pensare al "clack" del mulinello ogni qual volta la facevo scattare. Era come una porta comunicante con un mondo parallelo, che mi catapultava in un attimo sul fiume: rivedevo di continuo e senza per altro averne noia, l'attimo successivo alla ferrata, quando il dito medio della destra ferma il filo sulla bobina e la mano sinistra chiude l'archetto per iniziare il recupero. Quel primo "clack" della giornata è come il primo goal di una partita, è fondamentale per credere nelle proprie capacità e convinzioni e ci permette di affrontare, con rinnovata fiducia, l'evolversi di un giorno di pesca con tutti i cambiamenti che questo può avere.

E' la fine di una delle più avvincenti partite a scacchi che la natura sa concedere. Si, la fine, perché ciò che viene non ha nemmeno un decimo della complessità di quello che c'è prima.

Per noi pescatori quel "clack" è la linea immaginaria che separa le acque incerte del dubbio e del tentativo da quelle calme e trasparenti della certezza. Significa aver fatto bene quelle poche cose che andavano fatte quel giorno: la passata è corretta, lineare, il segnalatore fende l'acqua e tiene con precisione la linea senza avvicinarsi ne allontanarsi da noi. Quando concediamo filo, la passata non ha sussulti, ne interruzioni, ne rallentamenti, ogni richiamo è puramente volontario. La canna è alta e la lenza sotto il galleggiante è pressoché stesa in verticale; il primo pallino lambisce il fondale perso nel dubbio amletico di toccarlo o non toccarlo: quando si è soli a pesca anche un pallino può avere una anima.

L'affondata arriva proprio sul richiamo ed il braccio reagisce di riflesso, come toccato da uno spillo. Sappiamo tutti che non è un riflesso ma ci ostiniamo a chiamarlo così perché ci hanno insegnato così. La ferrata è un fatto volontario bello e buono, richiede una mente sgombra e concentrata: possiamo dircele certe cose, siamo tra pescatori dopotutto, chi di noi la prima mangiata della giornata non la cicca clamorosamente perché sta pensando ad altro mentre guarda assorto da chissà quali pensieri l'antennina ...


Il velluto rosso della ventiquattro ore sul tavolo a fianco a me, vuoto del suo contenuto ha un'espressione interrogativa, accanto alla bottiglia di Lagavulin che porto nelle occasioni particolari. Sembra volermi chiedere a chi sto riservando cotanta raffinatezza. In verità un buon whisky serve soltanto a mettermi a mio agio quando il lavoro è importante e merita la massima perfezione possibile.

Il gusto rotondo del torbato è la cornice perfetta sul panorama di una giornata perfetta per lavorare, o per meglio dire, perfetta per non lavorare. Il cielo è terso e l'aria è secca, la temperatura, attorno ai 20 gradi, è quella che ci fa apprezzare la malinconia di un estate che va via, la visibilità è più di 800 yards e c'è una limpidezza dell'aria che raramente si trova nella Roma di questi anni.

 

Posso apprezzare ogni dettaglio di questa perla di storia che è Roma anche stando ad osservare da lontano, anzi, da lontanissimo. Vedo nitidamente il frenetico lavorio di un ambulante che apre a raggiera le sue chincaglierie a circa 730 yards da me, così come, distinguo molto bene che la coppia di turisti che si avvicina a lui è giapponese: potranno anche loro portare a casa pezzetto della città eterna, o forse, solo qualche fregatura.


Quel clack non ho idea se sia o meno avvertibile sotto il pelo dell'acqua, d'altronde, la finezza dell'udito del cavedano è proverbiale: è incredibile come sparisce, quando lo stai osservando su un canale dall'acqua bassa e metti inavvertitamente male un piede. Giurerei che quel "clack" si sente bene, ma forse, è solo una convinzione personale, una di quelle illusioni che a volte vogliamo darci per un po' di sano autocompiacimento.

Chissà che significato gli hanno dato i cavedani, di certo ne hanno sentiti molti di quei clack.

Non più di vent'anni fà, quando mio zio mi raccontava della prelibatezza dei cavedani del Treia fatti alla brace, il clack era l'inizio della partita con la morte per il pesce. Credo che, per quanto furbi e consapevoli, i cavedani di oggi associno ancora quel clack alla paura atavica che possano rimetterci le penne, anzi, le pinne per meglio dire.

Ed in fondo anche il catch e release, che quasi tutti praticano oggi, per quanto "ecocompatibile" e moralmente corretto, delle volte sembra come il sacramento della confessione: una sorta di banale espiazione all'acqua di rose, una buona azione per mettersi a posto la coscienza da fatti ben più rilevanti, ne conosco fin troppi...

Il cavedano adesso giace stremato nel guadino, lo tengo cautamente in acqua riossigenandolo, la sua bellezza in mezzo quelle maglie è pari solo alla sua purezza ed alla sua innocenza, lo ammiro ancora un po' prima di restituirlo al fiume...

La presenza del ministro, che esce dal palazzo di giustizia alla mia destra salutando con un certa baldanza ed allegria, mi richiama nel mondo reale: sono affacciato dal terrazzo al settimo piano di quel palazzo all'incrocio con l'Aurelia.

Il ministro è coperto dalla scorta ed in mezzo la folla non riesco ancora a vederlo bene, poi ad un certo punto prima che lui salga in macchina si trova distintamente su "una chiazza di pulito".

 

Tra me e lui ora non c'è nessuno, soltanto aria, lo vedo benissimo.

Il clack dell'otturatore mauser che si chiude è netto e rassicurante, è il "clack" che rompe gli indugi.

Ora conosco il motivo per cui, quando a 278 yards da me il ministro si accascia in terra come una bambola di pezza, gli sorrido attraverso la lente dell'obiettivo.

QUOTE

E' un racconto e parte dal presupposto che un pescatore può essere una persona che fa qualsiasi lavoro e che quando si è a pescare non è lo stato sociale o il lavoro che ci distingue da altri...ma solo il fatto di essere pescatori.

 


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