Itinerari Estero

COMMEDIA BALTICA . Parte IV - IL PARADISO

Di Samuele MAffei pubblicato il 23/01/17

IL PARADISO

La finestra semi aperta della mia stanza lasciava penetrare un freddo secco e pungente accompagnato da un profumo di bosco d’alta montagna.  Strizzai gli occhi e cercai di aprirli lentamente. Un banco di nebbia che avvolgeva la casa lasciava presupporre che il sole avrebbe fatto da protagonista per l’intera giornata e che quindi il vento sarebbe stato tanto forte da spazzar via tutte le nuvole che avevano coperto il cielo stellato la sera precedente. Un profumo di caffè proveniva dalla sala centrale, dove il buon Antonio era indaffarato a preparar la colazione per tutta la combriccola. D’un tratto le sveglie di tutti i telefoni suonarono quasi simultaneamente dando vita ad una melodia buffamente orchestrale. Uomini simili a zombie iniziarono a scendere dai letti e a prendere posto in tavola. Questa volta al centro c’era una graziosa torta al cioccolato preparata da Marina che pur essendo fredda sembrava emanare calore. Sparì in un batter d’occhio, poi sparimmo anche noi presi dalla foga di salire a bordo. Già dalla vista delle onde che urtavano sulle barche capimmo che la navigazione non sarebbe stata affatto facile. Ed infatti così fu. Il tempo previsto da percorrere venne raddoppiato , data la prudenza impiegata da chi aveva il comando delle imbarcazioni. Cambiammo equipaggi per affrontare l’ultima giorno di pesca con partners  diversi.   Decisi di dedicare l’ultima sfida con il baltico in compagnia di Simone,  che con la sua esperienza sarebbe stato sicuramente di buon aiuto in quella “caccia al tesoro” che sollecitava la nostra quotidiana perseveranza. Le onde superavano le previsioni e le previsioni fatte dalla prospettiva del lodge e ci costrinsero ad indossare la cerata sopra il giubbotto salvagente (d’obbligo ) per  evitare di arrivare in pesca fradici.  In lontananza, tra i rimasugli di nebbia, iniziava a profilarsi la linea di confine russo-finlandese che era marcato da paletti giallo fluo che si ergevano dal fondale baltico. Ovviamente era vietato oltrepassare la barriera, ma sapevo di poterlo fare con la mente e iniziai a pensare a quanto fosse buffo e curioso che a pochi metri dalla prua della mia barca ci fosse una sorta di muro immaginario che divideva culture, politiche e storie diverse. Ma in quel momento non potevo rimanere a ragionare sulle differenze storico-politiche tra i due paesi ,  anche se sarebbe stato bello ed interessante, ma dovevo piuttosto preoccuparmi di strappare la vittoria definitiva nelle poche ore che ci separavano dalla deposizione definitiva degli armamenti.

Il fiordo russo era immenso, e una gran parte anche inesplorato, ed era quindi difficile scegliere di affrontare una zona definita e definibile in base al tempo a disposizione. Decidemmo di svolgere la nostra azione di pesca nella zona più esterna della baia, per evitare di incorrere in ulteriori odissee nel navigare  verso la  parte diametralmente opposta.  Spartiti gli hot spot da “pettinare” tra le due imbarcazioni iniziò definitivamente  la quinta giornata di pesca. Il vento continuava a soffiare imperterrito ostacolando ogni tentativo di drift che rimaneva vano nonostante l’ausilio dell’ elettrico di prua. Con Simone decidemmo di utilizzare l’ancora per fermarci a ridosso delle zone di interesse e per effettuare i lanci a dovere senza dover controllare la barca in balia delle onde. Il “cambio di strategia si rivelò subito efficace.  Le catture iniziarono a susseguire in ambedue gli equipaggi, a manifestazione del fatto che la scelta del fiordo, avvenuta “per esclusione”, iniziava a dare i suoi frutti facendo tornare vivo il sorriso e la gioia per cui eravamo partiti. La giornata venne presa più alla leggera dato che a mezzogiorno avevamo portato a guadino almeno 10 pesci per uno. Decidemmo quindi di fare il classico pic-nic ancorandoci al centro dell’ansa , che nei giorni precedenti si era trasformato spesso in un vero e proprio consiglio democratico per scegliere le modalità di sviluppo della sessione. Questa volta il resoconto degli esiti tra le due imbarcazioni dirottò il nostro pranzo verso una strada molto più euforica dove rinacque quel pizzico di sorriso che era e doveva essere il motivo di quella vacanza. Non mancarono i racconti eroici del buon Francesco che dalla sua neonata esperienza nell’ambito riuscì a tirar fuori la sublime similitudine tra lo spinnerbite (o spinnerbaio) e un membro dei cugini di campagna con un amo conficcato in testa. Ma non si limitò a questo e sfoderò dalla sua Nikon una bella foto che lo ritraeva con un metrone rilasciato poc’anzi. Un’atmosfera di felicità ci pervase l’anima e ci raccolse in un abbraccio di gruppo che simboleggiava una vittoria o meglio un buon andamento della battaglia contro le difficili, ma prestigiose acque finlandesi.

Nel pomeriggio il vento si placò di botto e le nuvole colorarono di grigio lo sfondo blu del cielo sereno precedente.  La continua voglia di esplorare posti nuovi ci spinse a tentare la traversata verso la parte NO della baia, dove nel Navionix veniva rappresentata un’isola del tutto inesplorata data la totale assenza di WayPoint nella suddetta zona. La navigazione avrebbe divorato un’ora (tra andata e ritorno) dalle due ore che ci dividevano dal “triplice fischio”, ma parte di una  giornata così proficua poteva anche essere investita in tal senso.

La meravigliosa assenza di vento venne immediatamente compensata da una pioggia debole e fitta che rendeva il viaggio veramente irritante.  Dall’orizzonte verso  il quale eravamo diretti, spuntò da un grosso banco di nebbia un motoscafo che veniva a gran velocità nella nostra direzione, rompendo la stabilità della superficie acquatica con delle onde altissime che si materializzavano ai lati del natante. Dopo aver attraccato in modo molto brusco al fianco della nostra piranha, l’equipaggio dei funzionari di controllo ci richiese gentilmente la licenza, che ci era stata rilasciata, come ogni mattina, da Marina. Il ceck durò poco, dopodiché riuscimmo a ripartire verso la destinazione che iniziava ad essere parzialmente avvistabile.

Caratterizzata in prevalenza da canneti l’isola che avevamo scelto come spot di pesca pomeridiano era adornata con una casetta diroccata al centro che le conferiva un’aria mistica ancor più enfatizzata dalle nuvole basse che la circondavano. La profondità dell’acqua aumentava di botto man mano che ci avvicinavamo alla sponda, formando un vero e proprio scalino che portava ad una variazione di profondità da 2 a 4 mt. L’eco ritraeva branchi di foraggio e grossi archi nei dintorni. Con Simone decidemmo di approcciare in due modi diversi per  sfruttare ambedue le situazioni (canneto e drop) che lo spot offriva, usando quindi lo spinnerbite a ridosso del canneto ed un piccolo shad da sbacchettare sullo scalino. Concentrato nel tipico Sali-scendi della pesca in verticale fui distratto da un tumulto in acqua che sopraffece sul silenzio fino ad allora dominante. Il brusco rumore venne continuato dalle imprecazioni  del mio compagno che cercò, a tratti, di spiegarmi la vicenda con la voce tremante. Un luccio che definiva enorme aveva tentato di attaccare il suo spinner, proprio nel momento in cui era incagliato tra le canne, non riuscendo quindi a portare a compimento lo strike. I lanci successivi effettuati su quello stesso punto, con la stessa esca e nella speranza di un rewiew risultarono tutti vani. Dopo che l’agitazione di Simone si esaurì e con lei anche la speranza nei suoi lanci mirati ad un  secondo attacco, non restava che provare l’ultima chance in un cambio repentino di esca che avrebbe potuto far risorgere la vena predatoria dell’esocide. Bisognava quindi scegliere un’esca che si collocasse per funzione diametralmente opposta a quella precedente. Un Jerk realistico  avrebbe sicuramente potuto interpretare il foraggio, facendo cadere la preda  nel dolo.  Simone lanciò nello stesso punto dove 5 minuti prima si era sollevata un’enorme massa d’acqua. Una scena analoga a quella si ripropose, questa volta seguita da esultanza e momenti di dura tensione. Era un pesce meraviglioso che si dimenava mettendo in seria discussione l’attrezzatura  del mio compagno di bordo.  Allungai le mani il più possibile per far entrare l’enorme testa del predone e una volta in rete un urlo di gioia all’unisono venne divorato dall’immensità del mare che avevamo alle spalle. Ci abbracciammo come una squadra dopo un goal decisivo, perché quello era un goal decisivo ottenuto da una squadra che non aveva peccato di perseveranza. Ed era veramente incredibile quanto ancora una volta la pesca sapeva regalarmi delle emozioni così forti, provocate non tanto dalla contentezza della cattura quanto  dal senso di solidarietà e di amicizia che incorniciano momenti come questi.

Il sorriso di Simone in posa con la cattura  sotto il flash della Nikon colorava l’atmosfera circostante e la profumava di trionfo. Era l’emblema e il compenso per la faticosa ricerca dei giorni precedenti.

L’atmosfera trasudava gioia viva. Era quello il movente della nostra spedizione, ed era quello il vero indicatore del raggiungimento del paradiso terrestre.. Rilasciammo quella meravigliosa fattrice con la cura più ricercata, accarezzandola come un calciatore fa con il suo trofeo, fino a quando con due scodate scomparve nel verde olivastro delle acque del baltico. 

L’altro equipaggio nel durante era impegnato a salpare un pesce altrettanto grande che sarebbe diventato un'altra importante medaglia sia per le dimensioni, sia per le modalità con cui era stato catturato. Era infatti caduto in una dei tanti ciuffi di piume lanciati da Antonio con perseveranza e molto spesso anche senza alcuna condizione favorevole. La fettuccia toccava i 120 cm e noi avevamo definitivamente toccato la bandierina d’arrivo nel paradiso.

La notte calò d’un tratto e il triplice fischio era stato effettuato ponendo fine a quella sessione che aveva avuto molto da insegnarci. La Finlandia ci aveva messo a dura prova facendoci passare per i gironi infernali dell’insoddisfazione scavalcati tramite il senso della ricerca con cui approdammo nella terra pre- liberatoria del purgatorio, dove venimmo sempre più stimolati nella pretensione di ottenere risultati nella morsa del tempo che pian piano si stringeva, ma che non ci impedì l’uscita paradisiaca da quel meraviglioso labirinto di emozioni.

Questa è la pesca che amo, un mix di nervosismo e rilassatezza, una continua dialettica tra l’essere appagati e il pretendere risultati migliori.

Il suono che segnalava l’atterraggio mi svegliò di colpo. Questa volta richiusi gli occhi finché il dolce ma fastidioso atterraggio ci catapultò nuovamente nella quotidianità.

Samuele MAFFEI


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