Racconti

Divieti di Pesca, una storia antica

Di Roberto Barbaresi pubblicato il 19/03/17

Il moderno pescasportivo, nello svolgimento della sua attività, deve districarsi tra divieti di ogni tipo che sono stati perlopiù sviluppati avvalendosi di studi scientifici. Nella legislazione che disciplina la pesca troviamo, ad esempio, il periodo di divieto per una determinata specie durante la fase riproduttiva, piuttosto che la misura minima di cattura tarata sull’età di maturità sessuale per permettere ai pesci di riprodursi almeno una volta prima di essere catturati, ovvero trattenuti dal pescatore per uso alimentare, oppure troviamo il divieto assoluto di pesca in quei luoghi meritevoli di protezione integrale. Esistono altri tipi di divieti che, a differenza di quelli a tutela delle specie ittiche e dei loro ambienti, discriminano i pescatori. Mi riferisco ad alcuni Diritti Esclusivi di Pesca ai quali sono soggetti interi corpi idrici o porzioni di essi, retaggio di antichi arbitrariati a privilegio di pochi. In certi luoghi, un tempo, potevano esercitare la pesca e procurarsi prelibato pesce fresco solo i regnanti, i “padroni” e i loro altolocati amici, oppure solo i possidenti dei terreni adiacenti, i residenti di un determinato borgo e cosi via. A proposito degli arcaici divieti di pesca, sono emblematici certi editti promulgati dal tardo medioevo riguardanti alcuni corsi d’acqua dell’Appennino Umbro-Marchigiano, popolati da gustose Trote, Gamberi e Scazzoni, peraltro reiterati nel tempo per la probabile difficoltà di farli rispettare dalla popolazione nonostante la severità delle pene inflitte. E’ facile dedurre che la plebe, oppressa da fame e coercizioni, trovasse nella fauna selvatica e quindi anche nei pesci una fondamentale integrazione alle scarse razioni di cibo a loro disposizione, escogitando mille astuzie per procurarsela.

Nel XIV secolo gli Statuti di Visso, antico borgo attraversato dal fiume Nera, già contenevano norme che regolamentavano la pesca e tutelavano il fiume: “...giacchè nel Comune vengono frequentemente persone di alto affare per pescare le trote, che sono molto apprezzate in quanto è raro trovarle altrove, mentre da noi abbondano e sono facilmente reperibili (quae gratissimae sunt, et maxime quia ab aliis de raro providentur et nobilis de facili copia esse potest), nessuno, ad eccezione dei proprietari di fondi confinanti col fiume e dei mugnai, può pescare con nasse (martavellis) e reti dal 1° novembre al 31 dicembre; è sempre proibito deviare fiumi e torrenti o gettare in essi sostanze dannose ai pesci ...” (citato in Cecchi, 1966) Dai Monti Sibillini al Montefeltro, in piena epoca rinascimentale, è particolarmente significativo constatare come i regnanti si riservassero con fermezza l’esclusività della pesca. Francesco Maria II Della Rovere, ultimo Duca di Urbino che regnò dal 1574 al 1631, qui ritratto da Federico Barocci, aveva eletto le zone dei monti Catria e Nerone sue riserve personali di caccia e pesca evidenziando anche pratiche di gestione faunistica, verosimilmente limitata a brevi trasferimenti. In un bando datato 10 giugno 1600 esso imponeva: “...essendo hora state messe le trotte in detti luochi, et desiderando che siano, come si deve, riguardate, si comanda espressamente e prohibisce, che non sia persona che ardisca pescare, ne far pescare con rete, ne con mano, ne in qual si voglia modo pigliare ne far pigliare capesciotti o trotte nella pesca...” (Caputo et al, 2003)

Con l’estinzione della casata Della Rovere, il Ducato di Urbino venne definitivamente assorbito nei confini dello Stato Pontificio. Tuttavia, anche le autorità ecclesiastiche amavano riservarsi le cose migliori, nel nostro caso i pesci, e continuarono a reprimere duramente chi ardisse pescare. E’ emblematico il caso del Certano, il torrente “che mai non s’intorbida, e subito nato genera trotte eccellentissime, uscendo da quella nobile e gran montagna detta volgarmente Monte Nerone”. Il bando emesso dal Vescovo di Cagli si distingue per la dovizia di particolari e soprattutto per la durezza delle sanzioni, delle quali si hanno conferme di applicazione dal rinvenimento di “suppliche” di grazia: “Al nome di Dio Amen. Fra Pacifico Trani Romano per la Dio grazia, e della Santa Sede Apostolica. Vedendo con esperienza l’abuso e l’annoisservanza delli editti pubblici fatti dalli nostri antecessori sopra la bandita della pesca delle trotte nel fosso del Certano posto nelli beni di questo vescovado. Perciò per cause a noi note e per l’occorrenze che possono nascere e per conformarci maggiormente con i giusti sentimenti dell’eminentissimo sig. Cardinale Legato, riferendo a detti editti delli nostri Antecessori e quelli rinnovando espressamente commandiamo, e prohibiamo, che nessuno per l’avvenire abbia ardire di pescare con reti, ami, ne paste, o altra sorte d’instrumenti atti per la pescaggione nel fosso chiamato il Certano ove notano pesci detti le trotte, posto nelli beni della nostra Abbazia di San Pietro di Massa perpetuamente unita alla Mensa Episcopale, incomminciando dal luogo ove scaturisce l’acqua di detto fosso sino all’entrare nel fiume di Bosso, sotto pena di scudi cinquanta d’oro, d’applicarsi la metà ai luoghi Pij a nostro arbitrio, un quarto all’Accusatore, che sarà tenuto secreto, et un quarto dall’essecutore che ne farà reale essecutione, et anco dello carcere per due mesi, e d’altre pene a nostro arbitrio. Volendo e dichiarando incorrere nella stessa pena quelli, che attualmente non fossero catturati purchè colti a questa cura per il detto di un teste, che dicano andati a pescare, ancorchè no havessero preso pesce alcuno. In fede. Dato in Cagli dal Palazzo episcopale lì 15 novembre 1650 (-) Felici Vicario Diocesano”  (G.Presciutti, M.Presciutti, G.Dromedari, 2014)

Dalla lettura di questi interessantissimi ritagli di storia si percepisce quanto fossero pregiati, addirittura elitari, alcuni pesci d’acqua dolce e i loro habitat, un tempo fonti di sostentamento primarie per le comunità montane, oggi beni di alto valore naturalistico, economico e sportivo. Si evince che l’uomo moderno può ritenere quasi un privilegio poter disporre di tali risorse, pur con tutte le autorizzazioni del caso, nonchè le accortezze e le restrizioni imposte da imprescindibili misure di conservazione. Se quelle trote e quei torrenti erano considerati così preziosi si può certamente affermare che... lo sono ancora!


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