Tecniche

I segreti di una grande pescata seconda parte

Di Massimo Zelli pubblicato il 28/06/14

parte due di due, prima parte http://www.pescareonline.it/blog/p/i_segreti_di_una_grande_pescata_73_kg_gennaio.htm

Un buon innesco

Il principe degli inneschi in questo tipo di pesca è un buon fiocco di bigattini molto pesante su un’amo di dimensioni medie: quello che vedete in foto è il più redditizio di oggi, doppio bianco più doppio rosso. Un innesco pesante è un aiuto che in questo caso non può essere ignorato: la breme  gradisce diversi inneschi ma da priorità ad alcuni a seconda dei posti: vermetti di letame o d’acqua, mais, fiocchetto di botticelli etc... Volendo usare un esca come il bigattino “comune” e non potendo contare su chissà quale attrattiva dobbiamo giocare molto sul volume e sul peso. La grandezza ovviamente richiamerà l’attenzione mentre la pesantezza servirà a mascherare il peso di un amo non troppo grosso ma nemmeno uno spillino.

Un'altra possibilità sempre usando inneschi comunque voluminosi è l’uso del bigattino morto. Le caratteristiche del morto sono essenzialmente due: la possibilità di usarlo in pastura in quantità più che doppie rispetto al vivo  (perchè non apre la pastura muovendosi) e la morbidezza. Non mi soffermo molto sull’odore che rispetto al vivo è comunque migliore poichè mai il morto produrrà ammoniaca, vorrei quindi focalizzare la vostra attenzione sulla consistenza. Questa è molto più soffice e consente al pesce di cibarsi molto meno dispendiosamente: la breme gradisce in maniera particolare quest’esca.

Il bigattino: ingrediente fondamentale

Per i vecchi sarà una musica abbastanza nota ma forse per i nuovi appassionati va specificato: se volete avere la speranza di qualche cavedano oppure semplicemente volete dare un “riscontro” in pastura al vostro innesco le strade percorribili sono due: il bigattino incollato o l’ottimo e comodissimo bigattino morto. Tralasciando la fase dell’uccisione della povera larva (requiem eterna... Sigh!) ed il suo uso che tratteremo in un articolo dedicato, vorrei fare un ripasso con voi dei passaggi con cui facciamo un buon incollato.

1)  il bigattino pulito va disposto su un mescolatore largo insieme al ghiaino pulito: sottolineo il pulito non perchè vado a pesca in camicia e cravatta ma semplicemente perchè buona parte degli insuccessi nell’incollaggio sono dovuti a larve sporche e ghiaino troppo polveroso. Come molti di voi compero il ghiaino nei consorzi per edilizia: questo tipo di inerte va lavato ed asciugato per un uso il più possibile agevole.La quantità di colla da usare in caso contrario, cioè con uno dei due o entrambe gli “ingredienti” sporchi, sarebbe elevatissima per avere un risultato passabile, l’incollato inoltre, non sarebbe ben lavorabile.

2)      Con una mano ben umida rimescolate ghiaia e bigattino tutto quanto insieme, non eccedete con l’acqua. La mano che mescola deve essere bagnata, l’altra mano asciutta: con questa dovete saggiare l’umidità di ghiaia e bigattino mentre fate quest’operazione. Controllate sempre l’uniformità di umidificazione e se non ne siete convinti continuate a mescolare.

3)      Una volta umidificato tutto diamo una bella spolverata di destrina e velocemente facciamo saltare il bigattino per far disporre la colla in tutto il volume della mescola ghiaia-larve.

4)      In questo momento la colla è ben diffusa ma non abbastanza: per uniformare il composto bisogna , con le mani asciutte, mescolare ancora. Dobbiamo fare in modo che ogni parte del nostro composto si ben “sporca” di colla. Solo in questa maniera riusciremo ad ottenere un una lavorabilità eccellente che ci permetterà di calibrare con la stretta della mano la durezza della palla ed i suoi tempi di apertura.

5)      Il bigattino comincerà “a tirare”  e sarebbe già pronto per il lancio: se ne fate ½  Kg alla volta potreste fermarvi a questa fase. Il  tempo breve in cui si esaurirà il bigattino non darà modo all’incollato di “cedere” seccandosi oppure sciogliendosi per l’umidità.

6)      Se invece avete intenzioni bellicose e non volete “scollare” gli occhi dal galleggiante prima di aver finito un Kg di incollato c’è ancora qualche passo da seguire per arrivare ad un risultato ottimale. Prima che il bigattino “tiri” per via dell’incollaggio con destrina umidificate leggermente di nuovo la mano destra e date una uniforme ripassata all’incollato.

7)      Questo perderà di consistenza ma non preoccupatevi: è necessario. A questo punto tirate fuori l’arabica ed eseguite la stessa operazione che ho descritto riguardante la destrina.

8)      Quando avrete finito in poche parole il bigattino sarà sporco di entrambe le colle: avrà un “anima” di destrina ed una “camicia” di arabica. L’arabica aiuterà a controllare l’umidità dell’incollato mentre la destrina fornirà maggiore coesione.

Questo è soltanto un metodo di incollaggio, uno dei tanti. Uso questo sistema per le acque profonde dove il quantitativo di ghiaia è elevato. Di certo non è questo il tipo di incollato da fare per pescare i cavedani in  lago sulla caduta. Un paio di trucchetti che possono rivelarsi utili: come potete osservare nella “pallina” in foto è l’uso di bigattino colorato. Ne bastano un etto su 3 Kg ben mischiati per dare qualche nota di colore, sulla breme non è mai negativo l’uso del “rosso”.  In seconda battuta ma non visibile in foto è la conservazione dell’incollato: quando avrete raggiunto una consistenza ed una uniformità ideale togliete l’incollato da mescolatore e versatelo in un’altro mescolatore con il fondo appena cosparso di fecola di patata. Sarà molto difficile in questo modo che si attacchi al fondo di plastica e questo con tutti i vantaggi che ne derivano.

La lenza: spallinate fitte

Ci sono posti dove un pallettone con 8-10 pallini sotto e un finale del 16, con tanto di dragaggio in terra della lenza, può fare dei miracoli ma non è il caso di oggi. La corrente va per circa 3 grammi: l’utilizzo di una scalata corta e molto fitta di circa 40 cm è un espediente che consente di accorpare un certo numero di caratteristiche di cui abbiamo bisogno pescando breme. Una lenza fine e corta ha un baricentro basso e consente al filo tra la deriva ed il primo pallino del bulk di restare abbastanza “a piombo”, sembra un aspetto trascurabile ma dovendo trattenere molto, avere la possibilità di ridurre l’inclinazione della lenza ci da la possibilità di essere più precisi e più diretti nel controllo e nella ferrata.

Pescando in trattenuta con questo tipo di lenza il terminale deve sopravanzare la piombatura restando disteso in avanti e toccando il fondo con il solo amo o poco più. In questa maniera quando il pesce raccoglierà da terra la nostra esca portandola al di sopra del livello del primo piombino noi vedremo una starata piuttosto evidente. Se invece il finale avesse un appoggio troppo generoso ci accorgeremmo in ritardo della mangiata poichè il pesce impiegherebbe più tempo a mettere in tensione la lenza prima di sollevare il boccone sopra al livello dei pallini (che è l’unico e vero motivo perchè noi vediamo una starata a meno di non appoggiarci in terra con  i piombi su qualche dosso del fondale). La taratura deve essere perfetta in questo caso anche se un paio di pallini in più del dovuto per affondare meglio in galleggiante in trattenuta di certo non fanno dei danni.

La stessa lenza aprendo la piombatura verso l’alto può essere usata per pescare dragando in terra. Questa tecnica è molto redditizia perchè maschera l’esca ed il finale in maniera perfetta. Il pesce mangia con maggiore convinzione tant’è che spesso lo allamiamo sul palato. Non è una buona cosa perchè le labbra  dure e carnose di queste breme sono molto più resistenti del loro palato.

Poggaindo in terra parte della piombatura il galleggiante non verrà rallentato soltanto dall’inerzia del piombo ma anche dall’effetto squisitamente meccanico dell’attrito sul fondale. Le forze da bilanciare saranno 5 in questo caso: il galleggiamento, la spinta della corrente, il peso del piombo, l’attrito sul fondale e la trattenuta. La spinta di galleggiamento perde parte del peso che la bilancia perchè è poggiato in terra  ma questo viene compensato dalla forza d’attrito sul fondale che tende a far affondare il galleggiante. Per questa ragione pescando a dragare il fondo è buona norma lasciare la taratura un po’  più magra:  in questo modo se l’attrito dovesse essere molto forte il rallentamento sarebbe parecchio ma eviteremmo di far affondare di continuo la lenza. La quinta forza la trattenuta fa da equilbratore e quindi concede quando la lenza scorre in modo agevole e trattiene quando tende ad affondare.

La mangiata in questo caso si palesa come una starata lapalissiana o un affondata secca: questo perchè il pesce afferando l’esca modifica immediamente l’equilibrio piuttosto difficile di questa lenza. Una tecnica di pesca abbastanza difficile ma che crea la possibilità di un invito continuo mantenendo la vicinanza assoluta con il fondo: due condizioni che difficilmente possono essere verificate all’unisono con una lenza da passata (mentre a ledgering accade quasi sempre).

recupero rapido

Uno dei ricordi più belli che ho riguardanti la mia vacanza in Austria a ottobre 2009 riguarda proprio le riflessioni compiute con l’amico e collega Sergio Farina a riguardo della tecnica di recupero, riflessioni che riguardano breme di taglia eccezionale e che sono utili ad alzare le possibilità di cattura dopo lo strike. Sulla breme di grossa taglia il difficile non finisce con la ferrata:  l’apparato boccale delicato di questi pesci li mette in condizione di riuscire a sganciarsi in qualunque momento. Per questa ragione è sempre bene avere ami a filo robusto con una affilatura sempre ineccepibile: un amo dalla punta rovinata (ve ne accorgete dal bigattino che scoppia...) non è più in grado di penetrare con la stessa efficacia e riesce a fare presa solo superficialmente.   Quello che però va detto è che un amo buono non basta, è la tecnica di recupero la discriminante sul numero di catture. In quell’occasione avevamo notato come una tecnica “d’attacco”, che tende a concedere poco o nulla al pesce, fosse neccessaria per accorciare i tempi di recupero. La motivazione è che più tempo il pesce resta agganciato più la ferita dell’amo tende ad allargarsi ed... a lasciarci con un palmo di naso. Vediamo cosa succede in condizioni normali pescando a passata:  dopo la ferrata la canna va abbassata parallela all’acqua e con il filo angolato di 90 gradi con il fusto, bisogna sentire bene la forza del pesce e poi inziare un recupero, quando il nostro avversario è a circa una decina di metri da noi lo solleviamo dal fondo per portarlo a guadino e questo lo facciamo mettendo la canna in verticale.

La tecnica descritta non si discosta molto da quella che abbiamo elaborato sulle breme austriache tranne che per qualche particolare: dopo la ferrata la canna resta in posizione angolata rispetto al terreno, la frizione deve essere ben tarata ma con il dito medio blocchiamo la bobina in modo che non possa cedere filo. Giochiamo parte del combattimento bilanciando le risposte del pesce con entrambe le mani sulla canna. Il filo va concesso come misura estrema soltanto se sentiamo che qualcosa sta per cedere.

Operando in questo modo succede una cosa che molto tempo fa mi spiegò uno di quelli che considero i più grandi pescatori di canna fissa del veneto: Dino D’Arsiè.  Il pesce quando alziamo la canna viene sbilanciato dal suo assetto e non riesce più a fare forza come lui vuole: prima riusciamo a girargli in alto la testa e più possibilità abbiamo di portare a buon fine la lotta. Devo ammettere che non è stato facile digerire un simile insegnamento, soprattutto partendo come me con la convinzione che tirando “paralleli” al fondale si sfrutta meglio il triangolo di forze che si forma in fase di recupero tra noi ed il pesce.  Si tratta di due modi di recuperare diversi che sono adatti a pesci diversi:  i barbi e le carpe sono più facili da prendere con recuperi “bassi” (e la frizione deve poter andare...)  mentre  per cavedani e breme la tecnica più efficacie è quella descritta.


FacebookTwitterGoogle+Invia per email

Collabora


Ti potrebbero interessare anche: