Tecniche

Il volo del Calabrone parte 2

Di Massimo Zelli pubblicato il 25/07/11

http://www.pescareonline.it/blog/p/il_volo_del_calabrone_parte_uno_di_due.htm

Tecnica rude... non rudimentale.

Sin dal primo istante la corrente piuttosto violenta sotto i nostri piedi ci suggerisce un approccio rude, non sembra decisamente il posto per  fini spallinate e  fili dell’otto. Galleggianti da dieci e quindici grammi, lenze in bobina del 22 e pallettoni forati non sono un esagerazione cosiccome non è esagerato usare spaccati dal numero 4 a scendere per costruire le lenze. In acque così turbinose l’esigenza numero uno è stare in pesca, il resto viene dopo. “I guanti bianchi questa volta li lasciamo a casa”.

 

Costruisco una lenza a pallettone con scalata rovescia, Sergio opta per un approccio più pesante con una lenza a pallini  equidistanti molto grossi. Le lenze sono diverse tra loro cosiccome lo è la mano che le usa, tuttavia il fin che vogliamo realizzare è lo stesso: radere il fondo lentamente.

 

La lenza usata da me è una 8 grammi lunga circa 50 cm con un finale da 25 cm. E’ costruita con un pallettone che tara completamente la portata del galleggiante, più 10 pallini del numero 4 posizionati con scalata rovescia. Il galleggiante è sovrapiombato e questo ci obbliga ad una trattenuta continuata, dobbiamo sondare in modo da riuscire a posizionare il pallettone tra 30 e 10 cm dal fondo, in questo modo trattenendo la lenza lievemente la coda di pallini resterà dietro il galleggiante strisciando sul fondo senza influnzare molto la taratura. La minima tocca produce un affondata netta. Trattenendo più forte il basso baricentro della scalata si sposta in avanti facendo procedere l’amo prima del resto della lenza. In questo modo e con questo tipo di lenza si può arrivare a bloccare la passata senza sollevare l’amo dal fondo. Ci sono, in particolare quando l’acqua rallenta un po’, momenti in cui solo trattenendo la lenza bloccata immediatamente a valle della pastura si riesce a ferrare qualche pesce. La lenza usata da sergio è più pesante, è sempre una lenza corta sui 50 cm con un finale da 30 cm,  è tarata in maniera precisa ed ha una scalata di pallini posti tutti alla stessa distanza uno dall’altro. Si usa sfruttandone la naturale inerzia e quindi facendola fluire in corrente poggiando in terra solo il primo pallino o qualcuno in più.

Questo va fatto trattenendo poco o non trattenendo affatto facendola fluire con il galleggiante a rovescio.  Il peso della lenza più elevato, da molta più inerzia allo spostamento, dragare un po’ il fondo con parte dei pallini non fa altro che aumentare la lentezza con cui la lenza discende in corrente.

 

 Sono due modi diversi di pescare gli stessi pesci, fondamentalmente entrambi si basano sul fatto che l’esca deve essere sul fondo, lentissima o quasi ferma, il primo metodo  è un po’ più impegnativo, richiede un controllo continuo ed un braccio allenato, non è detto che sia sempre più efficacie, lo è in determinate condizioni che vanno capite solo pescando e passando da una lenza all’altra nella stessa sessione più volte. Il secondo metodo è la più classica passata quindi è molto più intuitivo e comodo ma, dobbiamo sempre ricordarci che questa lenza lavora bene solo quando abbiamo trovato un equilbrio perfetto tra “appoggio” e peso in lenza.

 

Finali “corazzati”

 

Lo scotto da pagare per chi va in Drava la prima volta è partire attrezzato di tutto punto per pescare a passata... chi non pesca in Po di solito è sprovvisto di: fili in bobina del 22, finali dal 16 al 20, galleggianti oltre dieci grammi e canne proporzionate.

Come descritto sopra l’approccio tecnico è rude ma non approssimativo, l’utilizzo di finali tanto grossi è giustificato dal fatto che la pesca a bolognese o a roubasienne ha tutte le caratteristiche del ledgering in corrente come dinamica, pertanto a fronte di una pasturazione precisa e di una lenza sufficentemente statica è perfettamente inutile adoperare finali sottili.

 

 Oltre ad essere inutile rischiamo d’andare a casa con il nodo in gola. Giusto per parlare di un pesce a caso: la breme in Drava è quanto di più lontano si possa immaginare comparata alla breme catturata in Italia ad eccezione di pochi fiumi. In primo luogo si tratta della varietà “Brown” più grossa e giallognola , tende al marrone quando invecchia, ha una struttura più massiccia ed è molto larga sulla schiena.

 

Si tratta di pesci che dove la corrente è forte vengono selezionati nella taglia, solo esemplari a cavallo dei due Kg riescono a risalire in certi spot e parliamo di taglia minima.

 

Posto che questi pesci aiutati dalla corrente e dal pietrame sul fondo possono mettere benissimo in crisi un finale del 16, usare finali del 12 o del 14 non consente di portare a guadino che il 10% dei pesci agganciati perchè il dilungarsi dei tempi di recupero aumenta in modo esponenziale di minuto in minuto le chance di una slamatura.

 

Nella prima giornata ho collezionato circa 15 pesci persi tra slamati e rotti e tutto questo pescando con del 22 in bobbina e un finale del 0,185, stessa musica per il mio compare  (mi sono scappati anche un paio di barbi sottostimati  che hanno fatto “tesoro” di un finale consumato e non sostituito....mea culpa!!!).

 

La pietraia sul fondo fa perdere il filo all’amo con un certa velocità ad ogni incaglio, ed ogni 6-8 catture importanti sarebbe il caso di cambiare amo e finale. Le chance di incontrare il pesce della vita in un posto come questo non sono poi così remote, andare a perderlo perchè abbiamo risparmiato un amo o non avevamo voglia di rifare il finale  non ha prezzo ... per comprare un camion di Valium e calmarsi c’è Mastercard.

 

In tre giorni di drava ho fatto fuori due bustine da 15 di Tubertini 229 del numero 12, un amo robusto e molto affilato, adatto a contenere 8-15 bigattini. Dopo circa 7-8 pesci “di quelli seri” si  notava subito che il bigattino tendeva a scoppiare denunciando una punta non più perfetta.

 

 Si tratta di ami che adopero pescare all’inglese con il verme, e generalmente reggono in tutta traquillità le 50-60 catture prima di dare segni di perdita del filo, eppure qui in Drava in parte per il tipo di fondo che non è il soffice fango di un canale, in parte per i pesci, amo e finale non durano molto.

 

La soluzione definitiva sarebbe usare un gancio in stile Gamakatsu LS 3614 F del numero 10, l’innesco però su tali ferri non è ottimale con il bigattino, occorre un po’ di pratica per ottenere un buon risultato.      

 

Canne: robuste e progressive

 

Si è speso un fiume di inchiostro per affogare nel mare dell’indecisione....la canna resta per tutti una questione molto personale, tanto più personale quanto più il pescatore invecchiando e facendo esperienza matura proprie convinzioni.

 

Su questo credo non ci siamo dubbi, detto ciò le scelte che uno può compiere per affrontare fiumi del genere con prede di questo tipo sono grossolanamente riducibili ad un paio di tipologie di attrezzatura, con tutti gli intermedi possibili ed ottimali...

La lunghezza della canna sebbene i fondali non siano poi elevatissimi (si parla di 2,5-3 metri è sempre bene che sia sui 7 metri piuttosto che 6. I vantaggi sono evidenti da subito: i pesi in lenza, la forza della corrente e non ultimo le fughe dei pesci vengono meglio dominati con un attrezzo che abbia una certa leva e quindi un controllo più preciso. Ho diversi amici che adoperano la 8 metri per aumentare ancora il vantaggio tecnico in queste condizioni, io preferisco relegare la 8 metri agli ambiti che veramente la richiedono ossia la pesca a grande distanza su fondali elevati, per tutte le altre situazioni una 7 metri va egregiamente.

 

Io ho deciso di utilizzare la mia oramai stracollaudata AW V 70 di daiwa, un attrezzo bilanciato leggero di grande affidabilità e molto potente, una canna tuttavia di impostazione classica con un ottima rapidità di cima ma anche molto flessibile. La scelta m’ha permesso di  godermi il 90% delle catture potendo contare su una buona progressione della curva e su una grossa affidabilità, tuttavia ci sono state diverse sitauzioni in cui per circoscrivere il combattimento ho dovuto “tirare un po’ il collo alla canna” . Da un punto di vista strutturale l’attrezzo sopporta bene queste esagerazioni in termini di diametro dei finali e tensioni, tuttavia le chance di cattura aumentano usando attrezzi con azioni più marcate. Sergio ha utilizzato un prototipo che è stato sviluppato da me sulla falsa riga di una canna progressiva come quella usata da me ma con una conicità più accentuata e con degli spessori di parete più sostenuti. E’ inutile dire che di pesce ne ha perso molto meno, laddove la mia canna finiva di flettere e dovevo sfruttare tutta la potenza residua nel fusto, la sua poteva flettere ancora e restituire alla preda una reazione viva ed energica che la fiaccava in un minor tempo. Per contro su prede al di sotto del paio di Kg con una canna molto potente come quella il combattimento non iniziava nemmeno: il pesce si trovava nel guadino senza nemmeno accorgersi dell’accaduto.

 

Quale sia la scelta ottimale per voi è questione di gusto come ho detto, bisogna vedere cosa cercate dalla canna e “quanto grossi volete prenderli” fattostà che qualunque scelta voi facciate dovrete cercare un attrezzo di grande qualità ed affidabilità poichè la Drava è un banco di prova dove i “tester” scherzano poco.

 


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