Tecniche

Il volo del calabrone, parte uno di due

Di Massimo Zelli pubblicato il 07/07/11

articolo tratto da I segreti dei Pescatori  numero di aprile 2010

Frog, 1 ottobre 2009 ore 23:00, il volo del calabrone.

 La televisione diffonde nella stanza note di musica classica, sto ascoltando Nikolai Rimsky-Korsakov con il volo del calabrone. La melodia accompagna la penna che  scorre fluida, fa tutto da sola, non debbo sforzarmi a cercare nessun termine. La giornata di oggi mi passa davanti in un replay continuo soffermandosi sulle fasi più intense, come i riassunti post partita su sky. L’unica difficoltà che potrei avere, nel mettere su carta le emozioni del mio primo giorno di Drava, è l’estrema stanchezza di una giornata che ha messo alla frusta canne mulinelli ma soprattutto braccia e schiena. Ques’ultima ora di una giornata intensa, prima che Morfeo decida che per oggi basta, voglio spenderla nel raccontarvi “il volo del calabrone”.
 

A valle della diga di Feistritz una nebbia fine avvolge ogni cosa. I primi spiragli di luce, con un sole autunnale ma ancora caldo, tolgono le coperte al  fiume che è si stà svegliando.

 

Incrocio lo sguardo di Sergio, è concentrato. Stà già preparando la lenza mentre io sono perso nella contemplazione di uno scorcio  di panorama che mai avrei pensato di incontrare alla volta di inforcare una bolognese. La foresta di conifere fitta che strapiomba nel fiume è un immagine che manca decisamente nel mio immaginario legato alla pesca al colpo. La mia guida d’eccezione con il fare da orso che lo contraddistingue quando entra in frenesia da pesca, commenta senza distogliere lo sguardo dai pallini: << Fà quest’effetto a tutti la prima volta >>.  Il successivo commento: << Ti muovi! Non siamo qui per guardare!!!>> mi riporta in fretta alla pastura che sto preparando: l’odore di sottobosco adesso si confonde a quello di canapa e formaggio. Sono quasi pronto. Le mani corrono veloci: le lenze da costruire sono semplici e non prendono tanto tempo, si tratta fondamentalmente di linee con pallettone o torpille. L’acqua di ottobre ha già temperature che ben poco hanno a che vedere con le nostre e mentre bagno la pastura mi sorge il dubbio che i pesci non gradiscano. Ma è una mia paura che nulla ha a che vedere con quanto ha di speciale da offrire questo fiume. I tonfi secchi  e pesanti della pastura appesantita con abbondante terra rompono il silenzio della mattina. La nebbia è ancora bassa ma riusciamo a trovare un linea di passata ne troppo lontana ne vicina dove il gallegiante è sufficentemente visibile. E adesso... “chi ha più polvere, spara”.

 

Servono circa 4 passate per capire qual’è l’andazzo della giornata: sono alla prima sigaretta e mentre la sto assaporando godendo della calma che precede una battaglia imminente, il gallegiante rallenta fin quasi a fermarsi. D’istinto ferro: prima che la quasi consapevolezza di aver agganciato il fondo m’abbandoni uno strattone secco mi dice che c’è qualcuno dall’altra parte, anche molto arrabbiato. Non faccio in tempo a rendermi conto di chi ho di  fronte che subito molla la presa per lasciare che la lenza torni mestamente inanimata. Succede la stessa cosa a Sergio. I minuti scorrono impietosi: nel caos generale di 4 pesci enormi agganciati e persi abbiamo anche dimenticato di pasturare  ed ora il pesce non risponde. Siamo ancora a cappotto dopo mezz’ora. Se mi aspettavo una passeggiata di salute tra funghi abeti e pesci che saltano da soli nel guadino è ora di spegnere l’immaginazione ed accendere il cervello. Mi trovo su uno dei fiumi più belli d’europa per la pesca al colpo, prenderlo sottogamba è il primo degli errori da non fare: è un fiume non un laghetto zeppo di carpe affamate. Un prosecco di riflessione, arrivato prematuramente, ci rimette di buon umore e ci aiuta a riordinare le idee: i pesci sono arrivati in pastura e se ne sono andati, ritentare facendo di nuovo il fondo per poi alimnetare con costanza e continuità è l’unica cosa da fare per uscirne vivi.

 

Bisogna stare meno appoggiati per avere una ferrata più efficacie, anche se non abbiamo ancora capito di che pesci si tratta. Ripartiamo con la calma e la concentrazione che serve e mentre seguo l’astina  che procede nella sua passata lineare e perfetta a filo del fondale il galleggiante sparisce violentemente.  Mentre scrivo, quella strana melodia frenetica e al tempo ipnotica,  riecheggia nelle mia testa: è il suono che segue la ferrata, quando il filo viene teso nell’acqua corrente sotto le bordate di un grosso pesce ed il nylon è teso allo spasimo... E’ un suono del tutto particolare, quel ritmico passare dall’acuto di una fuga,al limite della rottura sul finale, per tornare al suono basso della tensione che cala, quando il pesce asseconda la fuga verso di noi: sembra l’assolo di violino ne “il volo del calabrone”. Il pesce che segna l’inizio delle ostilità  è finalmente in rete...

 

Differenze e paralleli con i nostri fiumi

 L’attrattiva che la riserva sulla Drava esercita sul passatista italiano non è casuale. Questa prescinde dall’ospitalità genuina e schietta che la famiglia Gargantini mette a disposizione e che comunque rappresenta un punto di merito della mia recente vacanza austriaca, la vera calamita, che ci mette in movimento verso questo splendito scorcio di natura vera ed integra, è rappresentata: dalla possibilità di esercitare le proprie tecniche preferite in un fiume di eccezionale bellezza paesaggistica. Alieuticamente parlando: ritrovare la tecnica, i pesci e le dinamiche che abbiamo nei nostri fiumi ci fa sentire “a casa”. Personalmente ne è valsa la pena perchè se esiste un parallelismo tecnico specie con il nazionalissimo  “grande Fiume” è anche vero che senza nulla togliere al Po la qualità delle acque austriache e la bellezza dei pesci danno decisamente un altro sapore alla giornata. Per il passatista consumato, differenze e paralleli tra la bellissima Drava ed i fiumi di casa nostra, fanno scaturire esperienze e ragionamenti che accrescono il bagaglio tecnico, mentre per chi è agli inizi è l’occasione di confrontarsi con un fiume che se affrontato con l’umiltà di ascoltare qualche consiglio sa non essere avaro di soddisfazioni. Le due caratteristiche che distinguono questo tratto del corso della Drava da uno qualsiasi dei nostri fiumi italiani sono: il fondo parecchio sconnesso e sassoso ed una grossa sensibilità del livello al lavoro della diga a monte.

 

Sembra di assistere ad una sorta di marea che porta il fronte della sponda avanti e dietro per tutta la giornata. Si tratta di due evidenze da tenere in debita considerazione al momento di impostare la pescata. Viaggiare leggeri come attrezzatura è parecchio importante, per durare un’intera giornata di pesca. Saremo costretti ad avanzare ed indietreggiare per assecondare  il livello che cambia (anche con una certa velocità) : una borsa porta attrezzatura, una pedana ed una sacca portacanne sono nulla di più di quel che noi abbiamo realmente bisogno. Tutto ciò che portiamo in più è un peso inutile.

fra 15 giorni la seconda parte di questo articolo

Il volo del calabrone... musica!


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