Racconti

La banda della cascatella

Di Marco de Biase pubblicato il 15/01/11

 

Pescanet Gran Riserva, in collaborazione con Pescareonline, presenta: La banda della cascatella.

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Buona lettura.

La vita è forse un film. Quando si pensa al passato le tinte tendono sempre al monocromatico, raramente al seppia. I ricordi appaiono sfocati, con un lieve disturbo sulla pellicola della mente.

Il profumo dell'erba. Lo scrosciare delle acque.

L'uomo comune vive la precarietà dei sentimenti. I valori che spesso siamo soliti inseguire hanno un contenuto effimero. Vivere senza uno scopo, giorno per giorno, porta ad una vacuità che invade il nostro animo, strappandoci il sentimento delle cose.

Avverto una sensazione. Sono vivo.

Si, sono vivo. Un colpo all'anima brucia dentro con un ardore inaspettato.

Quando cammino per strada, con l'ipod nelle orecchie, noto gli sguardi della gente che sono solito incrociare al mattino. Sembrano spenti, come se quelle carcasse che muovono passi non abbiano all'interno una fisionomia invisibile chiamata "personalità". Mentre mi accingo a percorrere i trecento metri che mi dividono dalla stazione, ho una visione. Un tuffo nel passato. Un salto nel vuoto dei ricordi che mi portano vivere per un istante quelle che erano le nostre spensieratezze di giovani ventenni irresponsabili, quando non sapevamo neppure cosa significava la dedizione per il lavoro, l'impegno mensile per guadagnarti una fetta di pane, la fatica per veder salire le cifre del conto a fine mese. Eravamo universitari. Eravamo ragazzi deresponsabilizzati, che amavano trascorrere il loro tempo libero a pesca, incuranti di ciò che la vita ci avrebbe riservato dopo la laurea. Quegli anni sono trascorsi troppo velocemente per me. Ritrovarmi ora con questo pezzo di carta ed alcune competenze acquisite su una scrivania non ha lo stesso prezzo di tanti duelli con carpe e carassi nel nostro fiume, nel Mio Fiume.

Lui è sempre lì. Quando voglio posso passare a trovarlo, magari per due chiacchiere in una malincolinica solitudine, è sempre lì ad accogliermi. Lui ha conosciuto tanti miei amici ed anche le persone più care come Nonno, papà, mamma ed anche una donna con cui ho condiviso diverse emozioni naturalistiche. Con Stefania ero solito fissare un appuntamento, la domenica pomeriggio, per portarla al Ponte Romano. Erano i tempi di Marzo, quando le giornate si allungavano e si facevano più tiepide. Ne approfittavo per verificare l'avanzamento della primavera e capire se era arrivato il fatidico momento per calare le lenze nelle placide acque dell' Ofanto. Mentre scattavamo qualche fotografia ci incamminavamo nel bosco ripariale, alla ricerca di sentieri che attraversavano canneti e piante selvagge. Ogni volta era come la prima, lo stupore sorrideva sui nostri visi, permeando i nostri cuori di una felicità dimenticata nel tempo. Condividere questa passione con lei mi ricaricava, sentivo quasi che andare a pesca era una missione per documentare e condividere i sentimenti più profondi che solo la natura era capace di suscitare.

Il terriccio fra le dita. Il muco di un carassio.

Caspita. Si che sono vivo! Un abbaglio può essere normale. Due non sono una coincidenza!

Sono in treno, quello delle 8.59 che mi porta a Bari. Solita routine giornaliera, per un giovane ormai capace di scindere i suoi turni lavorativi da quella che dovrebbe chiamarsi "vita". Una parola composta da quattro lettere. Un termine sempre più desueto tra i miei coetanei, intenti a subirla la vita, più che a morderla. Per fortuna c'è la pesca, la mia più grande passione. Non dimentico però la musica. E' lei, la seconda arte, a guidare la mia mente nel viaggio. Nell'ultima carrozza c'è solo silenzio. Viaggiano con me quattro persone. Posso finalmente chiudere gli occhi. Prima, però, seleziono un brano che mi accompagnerà nel turbine dei ricordi: "Can't find my way home" degli Spin One Two.

Il sussulto del vettino. Una violenta sfrizionata.

Il treno si ferma. Il mondo si ferma. Tutto si ferma.

Mi ritrovo catapultato in una dimensione a tratti indecifrabile, sconosciuta. La mente mette a fuoco le immagini dalle tinte color seppia... sono lì, sul fiume. Eccola, la cascatella. E quelli sono i miei amici, i cari compagni di pesca. Ma in che anno siamo? Ma che giorno è? E' domenica. La prima domenica del marzo 2007, nell'agro di Canne della Battaglia. L'orologio segna le 7.30 del mattino, sicuramente Stefania starà dormendo nel suo caldo letto, avvolta dal caratteristico piumone a tre strati. Il verde circostante richiama il colore dei suoi occhi, il profumo dell'erba tinge il caratteristico sapore dei suoi capelli castani. Vorrei averla qui con me, per divertirci con qualche simpatico carassio mattutino. Decido di inviarle un sms di buongiorno, sperando di non svegliarla troppo presto.

Sono le 8 e tutto va male. Neppure una tocca. Le nostre canne non avvertono minimi movimenti sott'acqua. Sarà il freddo? O forse questi ciprinidi sono partiti un po' in anticipo per le vacanze di Pasqua? Niente paura, la soluzione è una bella colazione anticipata! E chi se la scorda! Una tovaglia da stendere sul prato, una bottiglia di lambrusco comprata dal discount "spacca-prezzo", qualche buona fetta di pane, del provolone piccante e tante fette di salame calabrese a volontà. Caspita che colazione! Una bomba energetica dal gusto un po' campagnolo per quattro scalmanati della buon'ora. Una banda di pescatori dediti ad insane abitudini alimentari. Quattro teste calde pronte a darsi battaglia a suon di pesci gatto e carassi anemici di un fiume maltrattato da tanti ed apprezzato da pochi. Un fishing-team profondamente drogato di avventura, incurante delle distanze ed amante delle sfide.

Quelli eravamo noi. La banda della cascatella.

Ci era permesso sbagliare. Nessuno aveva da lamentarsi se facevamo cappotto. Ciò che contava era fare cagnara. Tra un morso ed un goccio di lambrusco arriva, finalmente, la prima abboccata. Canna in acqua! Un classico... Il mio collega effettua una ferrata assolutamente perfetta, con riflessi pronti e grande determinazione. Qualche istante di combattimento e vediamo spuntare dalle profondità dell' Ofanto un piccolo esemplare di micio verdastro, con i suoi simpatici baffoni. E' un gatto! Quanto adoro i gatti!

Non c'è tempo da perdere, il pesce si è risvegliato. Qualche passo più in là vi è la mia stazione orbitale composta da un panchettone costato quanto due treni gomme per la mia auto, una mastella con un buon chilo di pastura da fondo, di colore giallo, al pastoncino, mista a lombrichi di terra fatti all'alba, ed un supporto per le canne da feeder nella più pura tradizione inglese. La dottrina del feeder-fishing mi è stata trasmessa da due illustri pescatori: Mario Molinari e Sabino Civita. Sono appena tornato dalla seconda edizione del Fishing Show ed ho stretto la mano ad entrambi, scambiando anche pareri su quella che è una tecnica davvero affascinante. Ritrovarmi seduto su un panchetto lungo le rive di un fiume mi fa sentire un po' come loro, che hanno la fortuna di praticare il ledgering in spot decisamente più tecnici rispetto al mio. Però la capacità di adattamento del pescatore impone di sottrarsi alle consuetudini, imponendo uno stile di pesca valido per tutte le occasioni. Imposto la mia lenza seguendo la logica della semplicità. Qui il pesce non sa neppure cos'è la mano dell'uomo. In tanti anni pochissimi pescatori hanno frequentato il nostro spot, pertanto non c'è bisogno di andare sul sottile. Questo non significa, però, che il pesce sia stupido, anzi. Molte volte è lunatico, spesso preferisce la staticità dell'esca. Mi chiedo allora come migliorare la lenza per ingolosire le mie prede... Rifletto qualche secondo e trovo la soluzione. Cage feeder.

Il gusto del pastoncino. Il sapore del mais.

Apro gli occhi. Li richiudo. Questo è un sogno, non deve finire.

Parlavamo di cage feeder... si, il pasturatore a gabbietta. Una soluzione alla necessità di una chirurgica pasturazione in un punto del fiume dove la corrente si fa molto lenta e c'è bisogno di rilasciare una quantità costante di sfarinato misto a mais. Comprimo la pallozza, sistemo il feeder su un sistema anti-tangle bloccato da una girella e controllo il terminale, dello 0,12 di 50 centimentri. Credo che sia buona regola andare un po' sul rigido, ecco il perchè di uno spezzone così corto. Infine, innesco una coppia di bigattini.

Lancio.

Sono in posizione. La lenza è tesa. Incomincia l'attesa.

Sms. E' il buongiorno di Stefania e mi chiede in quale angolo recondito di mondo sia andato a pesca. Le rispondo che sono sul fiume Biferno a trote(ovviamente scherzando)... "Voi siete pazzi!" risponde. Ma in quell'istante, mentre sto replicando al suo messaggio, il vettino della mia tre pezzi ha un violento sussulto laterale. La ferrata coglie impreparato il pesce, ormai nelle grinfie della devastante tecnica del ledgering. Una leggera pompata a sinistra evita che vada ad intrufolarsi lungo il canneto, aumentando le possibilità di rottura della mia lenza. Sfinito arriva nel guadino. E' lui, il primo carassio. Lo bacio, quasi fosse un piccolo bimbo da accudire all'interno della nassa. Il mio cuore pulsa di felicità, finalmente il fiume è pronto a donarci il frutto del risveglio primaverile. E' scattata l'ora del ledgering, la nostra tecnica preferita.

I miei compagni non sono da meno. Avverto gli schiamazzi a poca distanza. Sicuramente c'è qualcosa di grosso che bolle in pentola. Per un attimo lascio in pesca la canna e mi allontano. La mia pastura, lanciata a monte, sta scendendo verso valle, portando un po' di bollate anche nella loro zona. Stanno, infatti, praticando il ledgering senza l'ausilio del pasturatore, montando un piombo plastificato ed innescando il vermetto autoctono. Le prede sono di scarso valore sportivo, ma ciò non importa. Quello che realmente conta è la sensazione di amicizia che è presente nel nostro gruppo di amici riuniti a pesca, ancora una volta assieme. Uno dopo l'altro, cascano carassi e pesci gatto, di medie dimensioni, segno che il fiume è ancora in buona salute ed è disposto a concederci qualche sorpresa. Purtroppo la condizione dell'Ofanto non è delle migliori. Le acque sono ancora velate e qualche scarico fognario ancora impunito genera bollicine sulla superficie.

Movimenti sospetti. Una zuccata improvvisa.

Cosa sarà mai? Una carpa? Corre come un trenino. Si dimena a destra e sinistra, con un moto costante che suggerisce la fisionomia di una carpa. Ma in questo tratto di fiume le carpe sono piccole, non può essere... invece mi sbaglio. E' lei. Una piccola regina che non vuole proprio saperne di avvicinarsi alla mia postazione. Sfrutta magistralmente lo scorrere delle acque a proprio vantaggio, allontanandosi secondo il verso della corrente. Cerco allora di porre riparo a questa difficoltà stringendo la frizione e combattendo con l'anti-ritorno. Non mi chiedo se è giusto farlo, lo faccio e basta. Qualche giro di manovella e poi stop, per rilasciare un po' di filo. Un altro giro e poi ancora stop. Intravedo la sua sagoma. E' piccola, peserà meno del chilo però è una forza della natura. Pian piano entra nella testa di guadino a forma di cucchiaio e la slamo con molta cura, assicurandomi un cauto ingresso nella nassa.

La giornata è ormai a regime, il sole è alto e il tepore che avvertiamo su di noi è davvero piacevole. Mi fermo qualche istante per ammirare ciò che mi circonda catturando avidamente alcune immagini da immagazzinare nei meandri dei miei ricordi. Sono accanto ad un albero molto alto, dai rami bianchi (lo si vede in fotografia – lato destro – n.d.r.). Non ha molte foglie, i suoi rami sono un po' spogli. Scorgo un segno di vita, si tratta di un nido. In questa meravigliosa cornice d'amore giacciono alcuni uccellini, che a momenti emanano un dolce cinguettio che cerco di imitare con i gli amici della cascatella. Le piante e gli altri alberi che compongono il bosco ripariale trasmettono quel senso di tranquillità che ci appartiene. Un surreale silenzio, fermo in una dimensione del tempo che si dilata tra un'abboccata e l'altra. Nella nassa, infatti, cadono, come soldati di una battaglia, altri esemplari di carassio e pesce gatto, prede del basso Ofanto.

"Signore, signore. Si svegli. Biglietto, prego."

Magari i sogni fossero per sempre. Ma "per sempre non esiste", recita la conclusione di un famoso film.

Mentre esibisco il biglietto al controllore, sono ancora immerso nei pensieri di quella domenica mattina. Provo a chiudere nuovamente gli occhi ma non ottengo risultati.

Ciò che rimane dentro di me è la profonda sensazione di esser vivo, di aver morso nuovamente la vita con un flashback di tempi ormai dimenticati, sepolti in un angolo recondito del cuore. Le parole hanno un dono e cioè dare forma ai pensieri come se fossero dei bambini in balsa, come i nostri galleggianti all'inglese che abbiamo nella cassettina di pesca. Le parole emozionano, fanno sognare, rendono vitale anche ciò che è apparentemente senz'anima. E scrivere di pesca in una fredda notte d'inverno è proprio questo: donare la vita. Troppo spesso non ci accorgiamo di quanto una passione come la nostra possa migliorarci come persone, permettendoci un contatto con la natura che è sempre considerato di poco valore tra le nuove generazioni. La pesca è amicizia, divertimento, relax, crescita, sfida, impegno, gioia, soddisfazione...

Potrei continuare ad libitum.

Non ci resta che vivere, col sentimento delle cose.


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