Tecniche

La canna lunga: tecnica bolognese (parte uno di due)

Di Massimo Zelli pubblicato il 15/05/12

Nel ‘96 c’erano le lire, in televisione davano Nash Bridges e l’italia di Sacchi faceva una ben magra figura non qualificandosi ai quarti dell’europeo, sembra una vita fà, ma in fondo è ieri.

 

Nel ‘96 le trasferte in quattro a bordo di macchine, non piene, ma stracolme da esplodere, di foderi bacinelle e borsoni, erano racconti di pesca vissuta che iniziavano quando la chiave girava e finivano parcheggiati sull’argine all’inizio di una giornata sempre da ricordare. Non c’era nulla che mi spaventasse nemmeno i cappotti, tanto di pesci ne avevo già presi abbastanza solo stando seduto sul sedile di una station wagon, ad ascoltare incantato storie di lenze ami e canne lunghe.

 

C’erano le lire e me lo ricordo bene (altrochè!) perchè la prima 8 metri la comprai  nel proprio ‘96 e con la fortuna che mi ha baciato accendendo in me la scintilla di questa passione ebbi anche l’occasione di assistere ad un evento che mi insegnò molto sulla bolognese lunga. Il 1996 fu appunto l’anno dei mondiali di Peschiera, i mondiali di Schottorne che da buon inglese dette spettacolo girando nell’arco di 3 ore di gara  roubasienne inglese e bolognese su 3 linee di pastura diverse, dando prova di padroneggiare ogniuna delle tecniche compresa l’italiana ad anelli per eccellenza. Fu proprio l’osservazione attenta di Schottorne che mi apri gli occhi su alcuni particolari, macroscopici che, almeno a me non erano noti e che oggi do per scontati, qui di seguito proverò a proporne un breve sommario, un riassunto di quell’esperienza che ogni volta che pesco in acque profonde riporto alla mente come le pagine di un manuale.

 

La canna

Le bolognesi, non erano certo quelle di adesso ma, come usa dire il mio amico Sandro,  “i cavedani erano già cavedani anche allora” ed in fin dei conti, sono diminuiti diametri e pesi ma la sostanza è quella tant’è che nella mia collezione, qualche pezzo “d’annata” con cui pesco con piacere lo tengo volentieri. Le canne da pesca a distanza devono avere certe caratteristiche nel DNA che vanno al di là della semplice resistenza alle sollecitazioni imposte, quella va data per scontata. Una 8 metri, più che una 7, si presta a questo compito e ciò limita la scelta a pochi modelli di buona qualità. Oggi, le bolognesi da 8 metri vengono prodotte soltanto se la struttura di una ottima 7 è in grado di essere allungata senza perdere troppo in velocità e prontezza. Molto spesso, purtroppo,  la 8 metri viene aggiunta dal costruttore ad una famiglia di bolognesi solo come completamento di gamma, anche in quei casi in cui, la struttura non sopporta la lunghezza massima.  Questo porta sul mercato attrezzi di certo leggeri ma molto lontani dall’essere una canna per la pesca in distanza. Le quote di un ottima 8 metri moderna rispondono a circa 300-350 grammi di peso con una calciatura che sta tra i 26 e 28 mm ed una struttura abbastanza ferma dalla base al quarto pezzo, con una zona elastica costituita dai primi 3 pezzi.

 Le grammature ed i diametri di terminale tipici che si adoperano su una canna lunga raramente scendono sotto i 3 grammi e lo 0,10 , quasi mai invece parliamo di meno di 2 grammi e di un finale dell’8. Se la pesca è impostata in modo corretto scendere con il peso o con il diametro del finale non ha alcun significato, se stiamo parlando di pesca a passata e quindi di acqua corrente. Il motivo per cui insisto sul fatto che una canna lunga debba essere ben ferma sul fusto e con un azione progressiva ma decisa è di duplice natura. In primo luogo con una canna che non oscilla troppo ci si stanca meno e si è più precisi nella passata e secondo: ferrare su 7 e passa metri di fondale non è come ferrare a galla, richiede un gesto deciso che può passare all’amo in tutta la sua efficacia solo attraverso una leva che non fletta più di tanto e che quindi sia in grado di spostare galleggiante piombi e qualche metro di filo immersi in una corrente senza perdere troppa forza.

Mulinello

E’ inutile girarci troppo intorno sulla canna lunga ci vuole un mulinello con la bobina larga, il peso non deve spaventare, anzi, aiuta a bilanciare l’attrezzo e sposta il baricentro in basso. La bobina larga permette al filo di uscire con una certa fluidità. Generalmente, nei modelli che la montano,  (parliamo di attrezzi di alta gamma non di giocattoli) la costruzione è solida e la potenza di recupero è ben più elevata che nei modelli veloci. Ricordiamoci che quando peschiamo sui fondali elevati cerchiamo la taglia del pescato, qualunque sia la specie insidiata e quindi tutto dovrà essere dimensionato di conseguenza. Va detto inoltre che recuperare e rilanciare per una giornata intera ad una certa distanza e con pesi che non sono proprio leggeri, in diversi metri di fondo, è uno stress da non sottovalutare, un mulinello che non abbia una costruzione più che affidabile dopo poco manifesta usura precoce e non passerà molto che ci costringerà ad un altro acquisto.

 Una struttura metallica del corpo è da preferire per la maggior capacità di contenere il disassamento dei componenti che vanno sotto sforzo. Il bordo della bobbina metallico, sarà d’aiuto a migliorare l’uscita del nylon. Oggi la tendenza, nella pesca al colpo in generale  si sta spostando nella direzione dei semplici, solidi e compatti modelli a frizione anteriore. Non è una novità ed la conseguenza ovvia dell’apprezzamento da parte di un publico più consapevole delle migliori caratteristiche meccaniche del mulinello front-drag.

la seconda parte tra 15 giorni 

Tratto da tratto da I segreti dei pescatori  settembre 2010

 

 


FacebookTwitterGoogle+Invia per email

Collabora


Ti potrebbero interessare anche: