Racconti

La dove non osano i cormorani

Di Pino Maffei pubblicato il 07/11/11

Era una domenica particolare quella del 31 ottobre 2011, e questo si poteva intuire anche dalla temperatura: tipica di una giornata di metà giugno!

Insieme a mio figlio Samuele costeggiavamo con la macchina il piccolo torrente che scorreva sotto casa mia, il paesaggio sfuggente si caratterizzava dai fantastici contrasti cromatici caratteristici dell’autunno avanzato, e dall’inedita calura tipica di mezz’estate. Il torrente era lo specchio di quell’assurda situazione climatica: il suo letto di solito solcato dalle acque cristalline aveva uno strano aspetto lunare: la siccità stava divorando anche le ultime pozze d’acqua rimaste. L’unica speranza di poter salvare le trote veniva riposta nella preannunciata perturbazione che l’indomani avrebbe riportato ossigeno alle fantastiche e tenaci trote autoctone che popolano quel minuscolo ruscello . Ero sicuro che ce l’avrebbero fatta! Ogni anno più o meno si ripete la stessa storia e  le trote riescono a sfruttare anche l’ultimo litro di acqua per tornare a guizzare e ripopolarsi non appena il torrente ricomincia a fluire.

Il nostro obiettivo era il lago di Bracciano per una battuta di pesca a spinning alla ricerca di qualche bel bass autunnale o qualche luccio.

Dopo aver incontrato Claudio ci recammo sulle sponde del lago che inaspettatamente sembrava il quadro di se stesso: una distesa completamente piatta che rifletteva in modo fedele le montagne circostanti, colori  e sfumature comprese, il preludio ad una fantastica giornata di pesca.

Dopo qualche lancio già il primo bass venne a far visita al cranck  di Claudio caricandoci a dovere.

Qualche lancio più tardi una strattonata al recupero costante del mio artificiale mi fece sussultare e mi segnalò che era il mio turno. Ne seguì un combattimento non tipico per il bass, un pesce di peso si opponeva in maniera costante senza dedicarsi a salti e fughe improvvise, tanto da farmi presagire la cattura di un luccio di piccole dimensioni. Invece dalle cristalline profondità si disegnò la sagoma di un bass di tutto rispetto, anzi un bel bass superore al chilo di peso. Appena salpato notammo qualcosa che non quadrava: un profondo solco sotto il ventre, un taglio netto o un buco che quasi faceva uscire le interiora a quel magnifico esemplare. Ecco perché si difendeva in modo strano! Doveva aggirarsi da quelle parti un predatore eccezionale, capace di mordere un bass così grosso e potente! La cosa ci intrigò in maniera particolare, tanto che mio figlio Samuele e Claudio decisero di andarci “giù pesante” con degli artificiali tipici da luccio. I risultati non si fecero attendere, tanto che  Samuele riuscì a salpare il suo “personal best” con un bass sui due chile e mezzo abbondanti e Claudio dopo pochi minuti ebbe l’opportunità di catturare un luccio di almeno 90 cm che soltanto per una mia distrazione in fase di salpaggio non riuscimmo a posare davanti all’obiettivo. Gasati come mai ci spostammo verso uno spot che ci aveva sempre regalato molte catture e iniziammo a lanciare a più non posso. Da lontano la sagoma della barca dei Carabinieri si dirigeva verso di noi e in pochi minuti ci affiancò. Ci chiesero tutti i documenti, licenze di pesca, libretto del motore elettrico e relativa assicurazione. Tutto in regola ci lasciarono andare soltanto dopo essersi assicurati che avevamo a bordo anche i tre giubbotti di salvataggio. Terminata la parentesi ci dedicammo alla nostra pesca. Dopo qualche minuto di tentativi ci stupimmo di non avere ancora ottenuto alcun risultato, i pesci sembravano scomparsi!

 Dopo un po’ la mia canna sussultò ancora e iniziò il combattimento con un bass di medie dimensioni. Finalmente Samuele salpò un altro bel bass, ma con stupore costatammo che anch’esso aveva con uno squarcio nel dorso, sembravamo destinati alla cattura di pesci addentati dal famoso “mostro del lago”!  

Tra le tante anatre, paperelle e cigni che si aggiravano a ridosso della costa, c’era uno strano “animale” che ogni tanto muoveva le acque, proprio vicino ai grandi banchi di alghe e ninfee che in quel particolare tratto di lago caratterizzavano lo spot. Mi avvicinai con il motore elettrico a quegli  strani vortici e, notai con stupore che si trattava di un sub, con tanto di muta e pinne. Forse era dedito allo snorkelig, ma visto il periodo mi parve subito cosa strana. Iniziammo a fischiare e a segnalare ad alta voce la nostra presenza, anche perché era sprovvisto di boa di segnalazione, ma il subacqueo, con un paio di piroette sparì dalla nostra vista. Continuammo a pescare ed ad un tratto sentii uno strattone sul mio artificiale. Ferrai per istinto ed iniziai a recuperare. Abituato ormai da più di trenta anni al comportamento dei pesci in fase di combattimento, mi resi subito conto che non avevo incagliato e che qualcosa di strano stava attaccato al mio artificiale. Dopo pochi secondi notammo con stupore riapparire il sub, allamato sulla maschera, nei pressi del boccaglio. Passato l’attimo di sorpresa montò la rabbia per quello che stavamo vedendo. Un fascio di almeno quaranta bass stringati nella sagola ed un lucente fucile subacqueo che sporgeva dalla mano destra del tizio. Mi avvicinai imprecando, sia perché avrei potuto fargli veramente male (se soltanto l’artificiale fosse passato pochi centimetri più in basso), sia perché la vista di quella mattanza mi fece salire il sangue al cervello. Mi voltai precipitosamente per vedere se ancora si aggirava nei dintorni la barca dei CC, ma all’orizzonte si vedeva soltanto qualche barca a vela che stentava a muoversi, vista la bonaccia che incombeva. Il tizio si tolse la maschera e staccò l’artificiale dalla maschera. Alle nostre domande sul perché stava lì e con quale autorizzazione il tizio fece finta di non capire l’italiano, disse di essere rumeno e ci regalò un sorriso che ebbe il sapore di uno schiaffo in faccia. Mio figlio mi esortò a chiamare i carabinieri, presi istintivamente il telefono e, purtroppo, desistetti immediatamente, consapevole che tanto nessuno sarebbe arrivato in tempo, visto che stava velocemente guadagnando la riva. Claudio fece in tempo a fare un paio di scatti, ma lo sbigottimento, la rabbia e l’impotenza di fronte a chi arrogantemente si beffava di tutte le regole e saccheggiava quel delicato ecosistema già deturpato dai “legalizzati” pescatori di professione, ci rese poco lucidi e reattivi.

Il “mostro del lago” non era un luccio, ma un uomo venuto da altre terre a distruggere impunito quello che un tempo gelosamente difendevamo. Oltre a tutti quei bass uccisi chissà quanti ne aveva deturpati e mutilati. La cosa che ci sorprese fu anche il fatto che i persici continuavano ad attaccare gli artificiali nonostante le gravi ferite!

Tornammo a casa più amareggiati per l’esperienza vissuta che soddisfatti per le catture effettuate.

Mentre ripercorrevamo il torrente vicino casa, nell’oscurità della sera, notammo lungo la provinciale la sagoma di quattro ragazzi dell’est con una busta in mano dalla quale trasparivano le sagome di alcune trote morte. Indossavano  stivali bassi e uno di loro aveva un retino artigianale sulle spalle. Passeggiavano tranquilli chiacchierando tra di loro, come non consapevoli di commettere un reato, catturare trote con l’ausilio di un guadino e in periodo di divieto. L’indomani avrebbe piovuto ma per quelle tenaci trote autoctone sarebbe stato troppo tardi.

Un altro schiaffo in faccia per me che da tanti anni professo l’etica nella pesca e per mio figlio che quelle trote le conosceva quasi una per una, tante le volte che era andato a pescarle per poi liberarle con tutte le accortezze.

Il 3 di ottobre scadeva la mia licenza di pesca e, con rabbia e rancore mi recai all’ufficio postale per fare ancora una volta il mio dovere di cittadino. Chissà per quanto ancora!

 

 

                                                                                                                                 PINO MAFFEI


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