Racconti

La grande trota

Di Riccardo Ceoldo pubblicato il 25/03/09

Racconto quarto classificato 4° edizione Amarcord.

Le prime luci dell’alba non lo sorpresero. Andrea era già li, seduto sulla riva del fiume con una bolognese tra le mani. Scrutava l’acqua e i suoi riflessi, studiava la corrente e cercava di capire dove il pesce si nascondesse. Respirava a pieni polmoni la brezza mattutina e ascoltava il penetrante silenzio della campagna. Si sentiva vivo.

Fece ondeggiare la lenza davanti a se e con delicatezza la lasciò scivolare nell’acqua. Con sapienza tratteneva il galleggiante per dare all’esca un movimento naturale. Una, due, tre passate. Alla quarta l’astina ebbe un sussulto, con prontezza lasciò libera la lenza ed il galleggiante sparì. Ferrò con decisione e sentì vibrare il carbonio della sua canna. La punta si flesse in avanti. Il cuore per un attimo accelerò. Quanti pesci aveva catturato finora Andrea? Non importava. Importavano le emozioni, sempre nuove ed uniche. Quelle che i pescatori chiamano esperienza, che condividono con gli amici o che custodiscono gelosamente. Questa volta ad aver abboccato era un grosso cavedano. Il finale dello 0.10 consigliava prudenza ed Andrea giostrò il combattimento con la perizia del pescatore esperto. Il pesce combatteva con fierezza e cercava il fondo ma non appena Andrea vide la sua sagoma forzò l’azione per mettere fine alla lotta. La testa del pesce uscì dall’acqua e lo portò velocemente a guadino. Era un bel esemplare. Lo slamò con attenzione, gli accarezzò dolcemente la grossa testa e lo liberò.

Quella mattinata regalò altre numerose catture. Chiuse gli occhi, respirò l’avventura e rientrò a casa.

Andrea aveva 24 anni, pescava da quando suo zio vent’anni prima gli aveva messo tra le mani una piccola canna per pescare scardole, alborelle e carassi nel vicino fiumiciattolo. Non sapeva e non poteva rinunciare alla sua più grande passione. Amava pescare con la bolognese lungo i fiumi del piano e quando il tempo lo permetteva si dedicava alla pesca a mosca lungo i torrenti di montagna. Appena poteva scendeva dalla giostra quotidiana, toglieva gli abiti che si devono portare e si sedeva lungo un fiume. Lontano dalle strade rigurgitanti migliaia di auto, lontano dai quartieri residenziali più simili a loculi che a case, lontano dal cemento che come un sudario stava seppellendo l’uomo. I centri commerciali li lasciava agli altri. Il giro in centro la domenica pomeriggio pure. Li lasciava a chi, da quella giostra non sapeva più scendere. A chi non ricordava più chi era, a chi non ricordava chi era stato suo padre, suo nonno, e da dove proveniva. A chi era troppo impegnato ad arrichirsi o indebitarsi per acquistare una nuova auto, a chi non riusciva a staccarsi dai programmi televisivi che ormai gli avevano rubato il cervello e non solo quello.

Scelte. Ed Andrea scelse altro. Scelse di incontrare se stesso ascoltando il silenzio e assaporando il profumo della natura. Ascoltando il suo irresistibile richiamo cercava la vita nel lento scorrere di un fiume o nel raschio di un torrente alpino. Sapeva ancora stupirsi quando vedeva librarsi un elegante airone, o il volo frenetico del martin pescatore. Amava scoprire i colori delle stagioni e i regali che il fiume sapeva offrirgli. Con pochi passi recuperava venti o anche trent’anni rubati dal progresso. Passava accanto a vecchie case di campagna con grandi aie in cui scorazzavano oche e galline. Cagnolini della più pura razza bastarda corrergli incontro per intimidirlo e poi finire a giocarci. Amava questo mondo che lentamente stava scomparendo cancellato dalla televisione, dai telefonini, da internet, dal denaro. Ripensava a quando era bambino e ad accudirlo ci pensava sua nonna. Passava un pò di tempo in orto col nonno e poi a pesca con lo zio. Ricordi che lo riempivano di gioia.

Giunto a casa, squillò il telefono. Era Giulio. La sua voce era eccitata. Sembrava che dalle parti di Ponte nelle Alpi, vicino a Belluno in un tratto adibito al no-kill e alla sola pesca a mosca, fosse stata avvistata una trota marmorata di dimensioni enormi, ormai inusuali a causa della pesca eccessiva e del poco rispetto per questi pesci. Molti pescatori dei circoli alieutici della zona sentita la notizia stavano raggiungendo la cittadina veneta per cercare di catturare quell’esemplare. Erano le 15 dell’ultimo sabato di settembre. Il giorno successivo, un’ora dopo il tramonto ci sarebbe stata la chiusura della pesca alla trota. Rimaneva soltanto un giorno per catturare quell’enorme esemplare. Andrea non indugiò. Caricò in auto la sua canna da mosca più potente, le lenze e gli artificiali e partì alla volta di Belluno. Dopo 2 ore di strada finalmente arrivò. Il paese ribolliva di pescatori bramosi. Alcuni tentavano qualche lancio nel fiume ma catturavano solo piccole trote e qualche temolo. Altri camminavano furtivi sulle rive del Piave nella speranza di scorgere quella trota enorme.

Intanto nella piazza centrale cominciarono a circolare alcune foto di quel pesce meraviglioso, foto di pessima qualità, mosse e poco nitide che lasciavano più spazio all’immaginazione che alla certezza. Qualcuno sollevava perplessità sul fatto che si trattasse di una trota marmorata, ma una seconda foto cancellò ogni dubbio. Questa era stata scattata da un pescatore che si trovò a poca distanza dall’enorme salmonide. La foto non rendeva giustizia ai colori della livrea, ma si vedevano chiaramente le linee scure ondulate inframezzate da chiazze di madreperla. Non c’erano dubbi. Era una marmorata di dimensioni epiche.

Nella piazza ormai erano arrivati anche quasi tutti i migliori pescatori del mondo. Martini, Rampazzo, Chinellato, Garofolin, dall’ Italia, Seldon dall’America, Avramov e Cechov dalla Russia, Fish e Stinger dall’Inghilterra senza contare il plotone di francesi e tedeschi.

Ma l’attenzione di Andrea e di molti altri cadde su un altro pescatore. Meno blasonato ma solo perchè distante dai circuiti di gare internazionali. Era Radames Folaga. Ormai era sui 65 anni. Il suo viso rugoso portava tutti i segni inferti dal sole, dal vento e dalla pioggia e le sue spalle larghe, le braccia muscolose e i polsi grossi come tronchi rivelavano una forza non comune trovata tra chissà quante tempeste e combattimenti. La sua espressione era astuta e sinistra e le leggende che circolavano sul suo passato gettavano parecchie ombre sul suo conto. Aveva lasciato cadere un galleggiante in ogni singola pozzanghera d’Italia, ma aveva sovente pescato anche all’estero e in mare. Aveva dedicato la sua vita alla pesca, si diceva ragionasse come un pesce. Ma molto spesso i suoi metodi varcavano il confine con il bracconaggio. Ciò che pescava moriva. Il rilascio non era contemplato da Radames. Cercava sempre di trarne un guadagno da ciò che faceva, infrangendo leggi e divieti, infischiandosene di aree protette o fermi biologici. Non c’erano multe che lo impensierissero. Lui non pagava. La natura non è di nessuno diceva. La natura è di tutti. Ed io sono libero di prendere ciò che voglio.

E se quel vecchio diavolo era li doveva esserci una valida ragione.

Ed in effetti poco dopo Andrea venne a sapere che un ricco collezionista aveva promesso la sera prima in un bar a pochi pescatori privi di scrupoli un grosso premio in denaro a chi fosse riuscito a consegnarli il pesce in barba al divieto di uccisione imposto dalla zona no-kill. L’avrebbe poi imbalsamato ed esposto nella sua casa-museo.

L’arduo obiettivo di Andrea era di riuscire a catturare la trota prima che quei bracconieri la uccidessero. Il fermo riproduttivo avrebbe poi lasciato tempo all’enorme salmonide di far perdere le proprie tracce e aver salva la pelle.

Tuttavia il grosso premio messo in palio aveva fatto sorgere ad Andrea qualche dubbio. Sarebbe stato davvero capace di liberare quel pesce? Sentì la sua volontà vacillare di fronte al peso della sua avidità e di un premio tanto ingente, ma decise di rimandare il problema all’indomani. Andò a dormire, anche se sapeva che non avrebbe chiuso occhio.

Alle 4.30 di domenica mattina, Ponte nelle Alpi non fu mai cosi viva. Un incredibile numero di pescatori si radunò nella piazza per raccogliere le ultime informazioni prima di iniziare la caccia all’enorme trota marmorata. Erano presenti anche numerose guardie che si sarebbero assicurate che nessuno avesse utilizzato metodi non consentiti.

Il Piave in quel tratto descriveva morbide anse ed il suo corso era placido, costellato da numerose buche profonde in cui le trote più grosse potevano trovare rifugio. Il tratto in cui avvennero gli ultimi avvistamenti risalenti al giorno prima era ben circoscritto: era lungo 4 kilometri, delimitato a monte del paese da un piccolo sbarramento di grossi massi e a valle da una piccola cascatella. La grande marmorata non poteva essere che li.

Andrea scelse accuratamente la sua esca: uno streamer color nocciola di notevoli dimensioni costruito con le sue mani. Aveva utilizzato pelo di cervo, piume di fagiano e piccoli innesti di materiale sintetico. Era la riproduzione di un giovane temolo, una piccola preda alla quale un grosso predatore non poteva certo rinunciare in vista del dispendioso periodo riproduttivo. Prese poi la sua canna di 10 piedi per una coda del numero 9 molto affondante che l’avrebbe aiutato a raggiungere facilmente il fondo delle buche anche in presenza di forte corrente.

Di tanto in tanto qualcuno catturava qualche trota o qualche temolo ma nulla degno di nota. Andrea si guardava intorno con una punta di amarezza. C’era pochissimo spazio per lanciare il proprio streamer ed il rumore causato dall’andirivieni dei pescatori era troppo elevato per pensare di non disturbare la sensibile marmorata. Osservava i migliori per vedere le loro mosse: tentavano perlopiù di lanciare nelle buche profonde e si davano un gran da fare per arrivare a calare la loro esca prima degli altri. Il “maestro” Rampazzo fece sussultare tutti quando agganciò un pesce di dimensioni notevoli che mise a dura prova la sua grande abilità. Era una trota fario di almeno 5 kili, uno splendido pesce senza dubbio, ma lontano dall’agognata marmorata.

Radames invece era l’unico a non aver ancora bagnato la sua lenza. Se ne stava a qualche metro dall’acqua con la canna tra le mani, ad osservare ciò che accadeva. Il suo viso corrugato rivelava impazienza e rabbia. La concorrenza era davvero elevata per la cattura della trota, ma soprattutto per il grosso premio che rischiava di finire in altre mani.

A mezzogiorno nessuno era riuscito ad allamare l’ambita preda. Andrea lasciò il fiume per concedersi un panino al bar più vicino. Si sedette vicino ad un gruppetto di gente del posto che commentava non senza ironia quella frenetica corsa alla trota. Uno di loro cambiando distrattamente discorso disse che durante la notte la centrale idroelettrica a monte del paese aveva aperto per qualche secondo le grandi chiuse per consentire il deflusso di una piccola quantità di acqua accumulata a causa delle piogge dei giorni precedenti. Andrea ebbe un’illuminazione. Pagò e si lanciò a capofitto lungo il fiume. La breve apertura delle chiuse significava che il livello del fiume si doveva essere alzato per pochi minuti, rendendo attraversabile lo sbarramento a nord del paese. La marmorata doveva essere riuscita ad attraversarlo e perciò non si trovava dove tutti la cercavano, ma nel tratto più a monte. Corse a perdifiato lungo il pendio cercando di non farsi notare, superò lo sbarramento e si addentrò tra la fitta vegetazione. In quel punto il Piave diventava più stretto e profondo e le sue acque di un blu turchese. Sentì dei passi dietro di sè: era Radames, quel vecchio diavolo l’aveva seguito. Continuò a camminare in silenzio lungo la riva disinteressandosi del vecchio. Il sole fece capolino tra le nubi ed illuminò il corso del fiume all’improvviso. Andrea rimase senza fiato. Ad una decina di metri, immobile controccorrente si stagliava l’enorme sagoma della gigante marmorata. La sua livrea splendeva sotto i raggi del sole liberando lampi argentati. Pinneggiò lentamente, quasi con pigrizia, ma il suo corpo rivelò tutta la potenza avvolta tra quelle squame d’acciaio. I suoi occhi rossi lasciavano impietriti, tanta era la fierezza e la consapevolezza di essere l’assoluta regina di quel paradiso sommerso.

Andrea cercò di scuotersi, non aveva tempo da perdere. Doveva controllare l’emozione e catturare la gigantesca trota. Radames dietro di lui si stava già preparando a lanciare ma Andrea fu più rapido. Il lancio fu preciso, anche se fu costretto a compiere un difficile e scomodo roller perché la vegetazione alle spalle non permetteva un lancio agevole. Lo streamer cadde tre metri a monte della trota. La corrente lo trasportò a valle, a pochi centimetri dalla bocca della preda. Con uno scatto rapido ed improvvisò questa si avventò sull’esca ed Andrea ferrò. Troppo presto. La foga e l’eccitazione gli fecero anticipare la ferrata togliendo l’amo dalla bocca del pesce. L’inerzia della ferrata fu tale da mandare a cozzare contro la parete rocciosa retrostante il cimino della canna, che con un rumore sordo si spezzò. Andrea era frastornato. Aveva gettato al vento la sua occasione e Radames era già pronto a lanciare. Lo sguardo del vecchio era una maschera di concentrazione e determinazione. Fece cadere senza nessun rumore il suo streamer che fu trasportato dalla corrente accanto alla trota. Questa parve non notarlo e lo lasciò passare. Ma con un movimento repentino inarcò l’enorme corpo e si scagliò con la bocca aperta contro l’esca. Radames rimase freddo, la lasciò abboccare e ferrò con violenza e precisione. Era riuscito ad allamare l’enorme salmonide.

La trota tentò subito una prepotente e rabbiosa fuga controcorrente ma Radames non si fece sorprendere e liberò la lenza mentre con sorprendente agilità balzava da un sasso all’altro per ammortizzare la forza della fuga. La prima battaglia l’aveva vinta il vecchio ma la guerra sarebbe stata ancora molto lunga. All’improvviso la grande trota cambiò il corso del suo furibondo incedere e puntò velocissima verso valle. Il vecchio non ebbe un attimo di indecisione e riuscì ad assecondare anche questo secondo violentissimo tentativo. Per qualche secondo la trota rimase immobile. Radames allora cercò di forzare la sua azione per staccare l’enorme pesce dal fondo, ma capì che non era ancora giunto il momento. Poi, lentamente il salmonide ricominciò a muoversi. La sua andatura era lenta ma costante. Il vecchio cercò di frenare la sua marcia, ma non c’era nulla da fare. Dovette sbobinare filo nella speranza che quel pesce arrestasse la sua potentissima lenta ed inesorabile marcia. Andrea osservava immobile quella lotta ancestrale. Radames sembrava essersi fuso con la natura che lo circondava, i suoi capelli ondeggiavano all’aria come le fronde degli alberi. Il suo profondo respiro accompagnava il rumore del vento. Per un attimo il bene ed il male, il giusto e lo sbagliato passarono in secondo piano. Rimasero solo l’uomo, con la sua astuzia, la sua abilità, la sua fame di predominio, e l’animale, con tutta la sua potenza, la sua rabbia, la sua sete di libertà. Separati solo da qualche metro di lenza.

Andrea non potè che ammettere tra sé e sé che quel vecchio sapeva pescare. Come e dove avesse imparato non lo sapeva, ma la sua tecnica era impeccabile cosi come la sua incredibile sensibilità.

Riusciva a portare la sua attrezzatura al limite senza varcarlo mai. Dall’altro capo della lenza, la trota stava scaricando tutta la sua forza bruta per liberarsi da chi voleva strapparle la libertà e con essa la vita. Il combattimento durava da ormai un’ora e la luce del crepuscolo dipingeva con colori magici l’epica sfida. Radames era stanco. Sembrava invecchiato all’improvviso. Era ricurvo sulla schiena e nel suo viso si allargò un’espressione di leggera sofferenza. Ma anche la trota era provata da quel terribile combattimento. Non aveva più la forza di lanciarsi in fughe inarrestabili e si era staccata dal fondo, stazionando a mezz’acqua. Radames cercò di forzare il pesce. Lentamente. Una goccia di sudore solcò la sua guancia e contrasse le labbra in una smorfia di dolore. La trota parve non essere più in grado di opporre resistenza e si lasciò trascinare in superficie. Andrea si disperò.
Sperava che la trota riuscisse ad avere la meglio sul vecchio strappando la lenza ma i giochi ormai sembravano conclusi. Il vecchio recuperò ancora filo. La trota era ormai a pochissimi metri. Il vecchio prese l’ enorme guadino che aveva con sé e si avvicinò al grosso salmonide. Ma questo raccogliendo le ultime energie si lanciò nell’ultimo disperato tentativo di fuga. Il suo corpo squarciò con violenza le acque. Andrea cacciò un urlo di gioia. Il vecchio per poco non perse l’equilibrio ma riuscì comunque a resistere all’ incredibile forza del pesce. Aveva liberato il filo ed ora, con un ginocchio poggiato nel greto del fiume attendeva la resa finale. La trota esausta ritornò in superficie ed il vecchio la trascinò a sé. Ce l’aveva fatta. Alzò la punta della canna e guadinò la gigantesca trota, che rimase ferma, fiera e sconfitta nell’attesa della sua fine.
Nella faccia di Radames era dipinto il trionfo. Un trionfo che avrebbe portato con se anche un ingente premio. Andrea guardò con tristezza, l’uomo aveva vinto. E con lui la sua malvagità. Da dietro i cespugli si sentirono dei passi. Altri pescatori stavano arrivando ed avrebbero celebrato l’incredibile cattura. Radames ammirava estasiato la meravigliosa marmorata, le accarezzò con dolcezza la testa ed abbassò il guadino, lasciandola libera. Andrea rimase stupefatto. Per qualche istante la trota rimase ferma vicina al vecchio, prima di ritornare con potenti e placide pinneggiate tra le profondità del fiume.

Qualche secondo dopo un manipolo di pescatori sbucò dalla fitta vegetazione e vedendo Radames immerso nell’acqua con in mano il guadino uno di loro gridò:

“Hey, cos’hai preso?”

Radames alzò il capo e rispose burbero: “Nulla, solo una trota da un paio di chili”

Gli occhi del vecchio e di Andrea si incrociarono. Entrambi sorrisero.

 

 


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