Racconti

Amarcord: la smorta del Mincio

Di Sauro Dal Fiume pubblicato il 19/02/11

Mentre nel mondo andavano di moda i “paninari” e si stava vivendo l’apice dell’edonismo reganiano (dal nome del Presidente degli Stati Uniti, Ronald Regan), noi spesso andavamo a pescare. Dove?

Alle gare nei canali (Ostellato, Anita, Marmorta), alternavamo sempre uscite nei fiumi non troppo lontani dalla nostra abitazione di Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, come ad esempio il Metauro, il Foglia, ma anche il Mincio, specie nel periodo delle “savette”.

Una di queste divertenti spedizioni, ebbe però un epilogo che ancora oggi, ad oltre vent’anni di distanza, ha lasciato molti dubbi e fu miccia di tanti sfottò tra i protagonisti, amici del bar ed appassionati di pesca sportiva.

Un sabato mattina di tanti anni fa, in una nebbia non indifferente tagliata dai fari delle due auto in partenza dal bar Corona (alle 4 era l’unico aperto per pescatori e cacciatori in paese), sei amici, tre per vettura, decisero di andare verso Mantova, a sfidare il fiume Mincio.

Con l’adrenalina della partenza appena smorzata dai bomboloni caldi e dai fumanti cappuccini e caffè, su un auto salirono il “Grasso” (Fausto Grandini), “Della” (Giovanni Liverani) e “Sothera” (Giuseppe Castagnari); sull’altra vettura, “Sbandèrèn” (Alfiero Casagrande), “Maràz” (Sauro Dal Fiume, cioè chi narra la storia) e “Nicco” (Domenico Modolo).

Solito “Via” tra battute a voce alta ed a rischio secchiata d’acqua dalle case accanto al bar, quindi…Mantova, il Mincio, ancora avvolto dalla nebbia che quel mattino non pareva volersene andare. Il “Grasso”, allora garista di livello nazionale nella pesca al colpo, con la solita rapidità scese dall’auto e, avvicinandosi all’acqua, sentenziò: “Merda, qui non si pesca mica oggi, è marrone l’acqua!”… Gelo e incredulità, tanto che “Nicco” disse “…dai Grasso, brìsa fèr l’èsen (non fare l’asino)”. Invece aveva detto la verità. E allora un sacco di nomi a chi (?) doveva informarsi prima di partire, a chi aveva detto che anche se piove per giorni, nel Mincio è tutto ok…

E adesso che si fa? “Proviamo nelle smorte” suggerisce il Grasso, non garantendo nulla. Ci spostiamo, andiamo a cercare queste “smorte”, una sorta di piccoli laghetti accanto al fiume, formatisi dalle piene dell’inverno. L’amarezza si taglia ancora meglio della nebbia, il grigiore pare non lasciare scampo ai sei castellani in cerca d’autore, anzi di cavedani, carpe e tinche.

Dopo vari tentativi falliti, il “Grasso”, da bravo garista qual’era, consiglia “possiamo tornare a casa”, spiegando agli altri cinque lenzaioli che il Mincio questa volta ce l’ha messo in quel posto!

“Ma come, abbiamo fatto 150 km per venire qui e dopo due ore torniamo indietro?” obietta Alfiero, fisico da statua greco-romana, con tanto di ricci e muscoli. Gli altri due della sua macchina certo non lo contraddicono, mentre il “Grasso” se ne riparte verso Castello con “Della” e “Sothera”.

A questo punto del racconto, è però necessario un’aggiunta che si rifà alla precedente spedizione nel Mincio a savette, prima di proseguire.

Ebbene, in una mattinata splendida, con sole e Mantova che si specchiava nel largo specchio d’acqua formato dal Mincio in prossimità di un lungo ponte, il “Grasso” ci aveva condotti a savette. Due passi nell’acqua, prima canna bolognese, poi, andate in pastura (insieme ai carassi, che noi chiamiamo “schicci”), vai con la canna fissa, allora un “cannone” di 9 o 10 metri di un peso tale che quando avevi finito di pescare (anche in gara) avevi il livido sull’inguine!

Il “Grasso” che pastura, “Nicco” che si mette a fianco a lui e “Maràz” cioè io, subito sotto, per sfruttare le stirinate di bigatti del nostro campione. Bene: il “Grasso” che cattura la savetta, “Nicco” passo, io che catturo. Così per un po’. Poi “Nicco”, grande cacciatore e quindi pescatore che non ci sta a far brutte figure, mi chiede “vai tu al centro”, per vedere che non fosse colpa della posizione.

Bene: il “Grasso” alle prese con altre savette, io con la canna piegata da motoscafi argentati, “Nicco” niente… Iniziano gli sfottò di noi due, che “Nicco” non digerisce: butta via la canna fissa e se ne va in macchina!

Dopo altre due ore di pesca molto divertenti per il “Grasso” ed il sottoscritto, viene un po’ fame. “Facciamo una sosta alimentare” dice il “Grasso”, ignorando quando fosse successo nell’abitacolo con “Nicco” che non aveva sbollito l’incavolatura con una dormita, bensì con le nostre merende!

Aveva addirittura mangiato tutti i mandarini del “Grasso”, dei quali il nostro campione è golosissimo… Seguì una lite non da poco, con accuse di “infantilismo” e altro, tanto che “Nicco” dovette in qualche modo riparare, andando a comprare alcuni panini farciti nella vicina Mantova.

Questo episodio, precedente al racconto della “smorta del Mincio”, serve a capire quanto ora scriverò.

Ritornati al sabato nebbioso, l’equipaggio del “Grasso”, dunque, rientra verso Castel San Pietro Terme. Alfiero, “Nicco” e “Maràz” no, vanno a cercare punti dove il Mincio possa regalare qualche cattura.

Cerca che te cerca, la macchina passa davanti ad un lago di pesca sportiva: “Nicco”, con una smorfia che poi ho visto solo sul volto di John Belushi nei “Blues Brother”, dice… “Ecco la smorta che cercavamo, adesso glielo faccio vedere io al Grasso!!!”.

Alfiero ride, io che in mezzo alle bazze ridanciane ci sguazzo, anche. Ci posizioniamo nel lago delle carpe e tinche. Una strage! Anche perché in quel lago non si pagava “a canna”, ma a peso, del pesce catturato, quindi era come rubare le caramelle ai bambini… Carpe gialle, carpe a specchio, tinche grosse come mai avevo visto, pesce gatti, insomma, un baule di pesce, che chiaramente pagammo dividendo la spesa. Ma fu nel viaggio di ritorno che l’astuto “Nicco” pensò a come far fruttare quell’inattesa messe di pesce del…Mincio, meglio, del laghetto sportivo accanto al fiume mantovano.

“Appena arrivati a Castello, andiamo dal fotografo Pila vicino al Cassero, ci facciamo scattare alcune foto, poi portiamo tutto il pesce ancora vivo al Lago Scardovi” disse “Nicco” e sin qui può andare. Poi aggiunse “…e diciamo che l’abbiamo catturato in una smorta del Mincio! Giurate che non svelerete mai questo segreto!”.

Per tutto quanto detto sopra, per l’episodio delle savette e dei mandarini, “Nicco” voleva rifarsi e noi lo affiancammo, tanto che c’era di male. Andammo dal fotografo, che con una Polaroid istantanea scattò alcune foto di una stesa di carpe e altro pesce che occupava un parcheggio di una macchina!

Dai bar e dai negozi vicini vennero subito fuori “curiosi” che chiedevano l’informazione che “Nicco” avrebbe voluto pubblicare su tutti i giornali: “tutto pesce catturato nella smorta del Mincio!”.

Poi andammo a portare il pesce ancora vivo (più del 50%) nel lago Scardovi, di fronte alle Terme. Quindi, tutti a casa, con la promessa da mantenere sino all’incontro nel bar, che avvenne la sera stessa… Il “Grasso” al racconto sempre più pompato di “Nicco”, ben supportato da me e da Alfiero, cambiava colore: rosso, viola, ecc. Non credeva ai suoi occhi. “Ma come, tutto quel pesce catturato, mentre noi andavamo a casa!” si stava chiedendo mentre continuava a sfogliare le foto Polaroid che altri del bar volevano vedere. Le risate di Nicco e di Alfiero me le ricordo ancora bene, mentre “Della” e “Sothera” lanciavano al “Grasso” i primi dubbi, su quella ricca pescata: “Non saranno micca andati in pescheria a Mantova?”. E noi tre, all’unisono “Oh, ma stiamo scherzando? Noi siamo dei pescatori seri!” e ancora “Nicco” che aggiungeva “…la miracolosa smorta del Mincio! Avete fatto male a ritornare a casa!”.

Per anni, nel bar Circolo Acquaderni fino a quando l’abbiamo continuato a frequentare, in altre spedizioni di pesca, ma soprattutto nelle cene e nelle occasioni di mangiate di gruppo, quella della “smorta del Mincio” è rimasta una pietra miliare nelle nostre avventure di pesca.

Ancora oggi, “Nicco” nega che dietro quella corposa cattura di carpe e tinche ci sia un trucco.

Io l’ho voluto svelare in questa particolare occasione “Letterario Amarcord”, dedicata alla memoria di Edoardo Casoni.

Ho così rotto l’antica promessa fatta, ma solo per poter anch’io fare una dedica alla memoria di uno dei protagonisti di questa storia, Alfiero Casagrande, purtroppo scomparso anni fa in un incidente stradale. Spero che “Nicco” mi perdoni.


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