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Mulinello Daiwa TDR 3012 A

Di Massimo Zelli pubblicato il 09/07/14

Parlare più che bene di un mulinello Daiwa d’alta fascia è faccenda assai semplice: non richiede approfondite analisi. Basta prendere il mano l’oggetto, o pescarci come hanno fatto i più fortunati, per rendersi conto di quello che dico. Fludità, potenza, scatti netti e controllati sono faccende che solitamente chi ha l’abitudine a oggetti di tale caratura sorvola bellamente poichè da per scontate tali caratteristiche in oggetti che costano quanto 4 mulinelli di discreta fattura. E ... cosa succederebbe se invece queste peculiarità le rilevassimo come comuni e non sorprendenti in un mulinello a cavallo delle 200 Euro? Direi semplicemente che i tempi cambiano, la tecnologia si evolve e viene applicata e che ... quello che ieri costava 4 oggi costa 1 e mezzo. Non voglio addentrarmi in faccende di standardizzazione ed economie di scala poichè annoierei i più, ossia i pescatori che , se leggono, vorrebbero più che altro capire come gira questo oggetto e che impressioni se ne ricavano in uso. Facciamo un attimo di dietrologia prima di arrivare al dunque: il precedente argenteo antenato del TD-R (argenteo in Italia ma già azzurro in Uk a suo tempo) è stato un grande successo tra i pescatori poichè ha trasportato nella fascia di mercato media talune caratteristiche di fluidità e potenza che in qualche misura hanno cambiato il modo di usare la canna a mulinello nelle tecniche del colpo e nel ledgering. Diciamo pure che Daiwa, spingeva da anni sul concetto di mulinello con bobina larga, corpo metallico e meccanica lenta e potente. Parliamo concettualmente dei vecchi TD-S cu. Attrezzi vecchi 15 anni solidi che, in molti casi popolano ancora le sacche dei pescatori e non per nostalgia o amore del "retrò" ma semplicemente perchè gli argani di cui sopra non ne vogliono sapere di cedere all’usura e al tempo che passa. Usando mulinelli con le caratteristiche di cui sopra si può ottimizzare, nel recupero, l’equilibrio tra canna e mulinello in termini di risposta alla sollecitazioni e quindi, in fin dei conti fare meno fatica e velocizzare il recupero senza eccessivi stress per i due oggetti coinvolti. Non è più richiesto "il pompaggio" quando ad esempio con la canna inglese recuperiamo a canna bassa un grosso carassio o una carpa: è sufficiente tenere la canna immobile lasciando che essa esprima tutta la sua elasticità e lavorare di mulinello che, semplicemente, continuerà a girare come se non fosse sotto carico.

Nel 2006 acquistai i primi Infinity Q 3000, attrezzi costruiti sulla piattaforma strutturale del Certate, un mulinello che era commercializzato in Giappone, Usa, Uk e nel resto del mondo e che è stato venduto essenzialmente per lo spinning ossia un banco di prova ben più esigente di quello delle tecniche del colpo. Il certate era made in Japan così come l’Infinity. Era evidente come nell’alto di gamma il vecchio TD-S Cu fosse sorpassato poichè in termini dimensionali il nuovo mulinello offriva pari bobina su un corpo assai più compatto. Sugli Infinity il test del tempo che passa è ampiamente superato e, a distanza di qualche kilometro di filo macinato e 8 anni sul groppone posso dire che non soltanto girano bene, ma che seppure a suo tempo avessi dei dubbi sull’ammortizzo di una cifra considerevole (ne ho 6) ad oggi posso ben dire che li ho pagati poco visto la costanza delle performance nel tempo. Il TD-R fu quasi contemporaneo. Ebbi l’occasione di provarlo: rispecchiava a pieno le caratteristiche dell’Infinity in termini di potenza meccanica: il corpo era meno compatto ed il peso leggermente più elevato. Nulla che non lo rendesse un mulinello perfetto ma, dato che in quel momento di crisi e bolle immobiliari non se ne sapeva nulla decisi di andare per la scelta migliore. A distanza di tempo ebbi l’opportunità di consigliare il vecchio TD-R a più di un amico e conoscente e tutt’ora mi ringraziano poichè hanno avuto esperienze simili a quelle che ho avuto io con l’Infinity Q . In particolar modo sia l’Infinity che il TD-R evidenziano una tenuta degli accoppiamenti ed un’allineamento della meccanica nel tempo sorprendente. Questo risultato è ottenuto essenzialmente lavorando sulla rigidità del telaio sul quale la cinematica di rotazione va ad agire ed è incernierata. Entrambe i mulinelli, pur non avendo le medesime caratteristiche in termini di disegno e lay-out meccanico hanno in comune una delle più grosse innovazioni introdotte dal colosso anglo-nipponico negli ultimi anni: l’engine plate. Si tratta molto semplicemente di due piastre rigide in acciaio legate al telaio tramite viti che rendono l’asse di rotazione della ruota di comando e della manovella rigido in deriva. Questo fa si che la meccanica giri rispettando i piani di rotazione senza deformazioni e movimenti relativi. Il problema di molti mulinelli , anche quelli migliori dal punto di vista meccanico è sempre stato l’assialità della cinematica: nei modelli ideati per usi gravosi spessorare la cassa non è un problema e la faccenda è presto risolta. Il problema sui mulinelli leggeri sta nel fatto che sollecitazioni apparentemente normali ma di fatto intense (come potrebbe essere il recupero di un pesce agendo principalmente di mulinello) possono portare la carcassa a lavorare elasticamente disassando la meccanica e causando impuntamenti e usura precoce della meccanica stessa.

Il nuovo TD-R segna il passo rispetto alla serie precendente con tutta una serie di caratteristiche che fanno sembrare vecchio il pur ottimo predecessore. Si tratta di un mulinello che l’esperienza dei precedenti ha migliorato e settato su un utilizzo assai specifico: quello delle tecniche del colpo. L’architettura è completamente nuova, il corpo metallico utilizza l’engine plate ma è di dimensioni più piccole, rispetto al modello precedente. Questo rende il manufatto meno ingombrante e più semplice al brandeggio rendendolo meno soggetto accavallamenti "a filo lento". Non è più leggero, soltanto più compatto. Questo mulinello è di tipo "mag sealed", vale a dire che il telaio è sigillato sull’alberino di rotazione, sotto il rotore, da una camera contenente olio magnetico che resta insede grazie appunto alle sue proprietà: il meccanismo di cui parliamo evita l’utilizzo di guarnizioni poichè di fatto l’alberino scorre "a bagno d’olio" senza quindi strisciamenti di rilevante entità. La sensazione di fluiditù in uso è molto elevata con questo mulinello : difetti? Perde un pochino quella rassicurante sensazione di macchinosità meccanica tipica del modello precedente.

La clip fermafilo è di tipo H.I.P. ossia rinforzata e ammortizzata: una feature che strizza grandemente l’occhio al ledgering e alla pesca all’inglese, test quest’ultimo che ho condotto senza il minimo problema su animali di discreta taglia in una cava dove lanciare e recuperare ad oltre 50 metri è una costante. Il problema delle clip fermafilo è sempre stato la loro resistenza ed il fatto che possano prendere gioco con l’uso: a questo va sommato che la loro forma generalmente approssimativa le rendeva adatte a fermare il filo per evitare sbobinamenti a canna disarmata ma non molto efficenti (soprattutto in termini di tagli accidentali) nel fungere da line-stopper. Questa ferma-filo, già presente sul TD-X, rende l’utilizzo molto confortevole e sicuro al punto da convincere chi come me non ha mai voluto utilizzarla a fare un tentativo (sono sempre stato un fautore del marker sul filo... e per perdere le buone abitudini non basta certo una buona clip, ma un aiuto in più è sempre meglio averlo) .

Pescando a bolognese ho potuto apprezzare il profilo della bobina ABS con labbro di ritenuta a spessore ridotto con coating al nitruro di titanio. Questa caratteristica permette un riempimento fino all’orlo della bobina e consente una fuoriuscita del filo eccezionalmente fluida e vitale per la tecnica felsinea. Occorre fare l’abitudine a caricare il mulinello in questo modo poichè il rilascio delle spire è talmente impercettibile che trovarsi un rocco di filo sulla mano o sotto la bobina è facilissimo. Fatelo soltanto se avete l’esperienza per farlo e l’accortezza di pescare ad archetto aperto con un dito sempre sul bordo della bobina. Diciamo che questo modello di bobina aiuta molto in quello che viene descritto ma, come in tutte le cose, dalla pratica alla grammatica c’è di mezzo parecchio.

L’innovazione che non avevo mai provato e che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso è il quick drag: ¾ di un giro del galleto fanno la differenza tra frizione aperta e frizione chiusa. Qualcuno potrebbe obiettare sulla micrometricità della taratura: non è così. Ad ogni scatto corrisponde un cambiamento molto piccolo ma percettibile della forza frenante. In un mulinello con frizione normale , possiamo dircelo perchè in fin dei conti siamo tra pescatori, nessuno di noi apre di una tacca alla volta la frizione: i più precisi settano i cambiamenti ad un quarto di giro alla volta... Credo che questa caratteristica sia ottimale in tutti quei contesti in cui l’intervento sulla frizione debba essere rapido e preciso e mi riferisco più alla pesca a passata che non al ledgering o l’inglese in questo frangente. La fluidità di funzionamento con un esile finale del 9 non da esito ad incertezze: il pacchetto frenante è identico a quello della serie precedente ottone+feltri ingrassati. Sui miei vecchi mulinelli continua a funzionare egregiamente dopo 8 anni su questi ho come l’impressione che sia la stessa cosa.

Ho il mulinello da meno di un mese quindi esprimermi sull’affidabilità è un controsenso. Ho aperto tuttavia per curiosità la cassa per guardare dentro alla faccenda in modo più schietto: gli ingranaggi sono sovradimensionati ed hanno le stesse caratteristiche di precisione della lavorazione della precedente serie. Gli assi di rotazione sono tozzi e robusti e tutto occupa gli spazi in maniera piuttosto univoca e precisa senza sbalzi e parti delicate a vista. E’ abbastanza semplice smontare e rimontare questo mulinello il numero di pezzi rispetto ad esempi del passato è inferiore. In termini di disegno pare abbiano costruito un’altra di quelle macchine fatte per percorrere per anni la strada dal garage al fiume soggiornando nella sacca del pescatore nel resto del tempo senza che nessuno si preoccupi di oliare e manutenere. Ne riparleremo tra qualche tempo, tenendo in considerazione che le premesse sono più che ottimali.

Il mio commento personale è molto semplice: di mulinelli belli ce ne sono molti e si rischia di perdersi, occorre però sempre inquadrare la fascia di prezzo prima di formulare un giudizio. Spendere 400-500-600 Euro per un’attrezzo non deve lasciare adito a metà dubbio in un pescatore che può permetterselo. Quando invece ne spendi 200 cerchi generalmente qualcosa di alto livello ma ti accontenti anche di un prodotto non proprio all’ultimo grido tecnicamente parlando magari con qualche pecca minore: non è questo il caso. Questo mulinello lo ritengo il pane per il pescatore al colpo per 3 motivi essenziali: la robustezza costruttiva che lo rende adatto a condizioni gravose e scarsa manutenzione, la presenza di feature altamente dedicate (Quick drag e HIP clip) ed un prezzo di mercato che si attesta su quella cifra (200) dove non occorre un paperone per comprare 4 mulinelli e metterli su altrettante canne da ledgering o da inglese o da bolognese come spesso fa chi fa gare o semplicemente preferisce pescare con più canne aperte per ogni sessione.


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