Itinerari Estero

Nosy Be gioie e dolori

Di Roberto Ripamonti pubblicato il 06/12/10

foto di Gionata Paolicchi

Vittorie e sconfitte durante una sessione africana lungo le coste del Madagascar

Erano molti anni che speravo di poter vivere una settimana di pesca in uno dei luoghi “mito” dellosportfishing mondiale e finalmente questo momento è arrivato. Alcuni fattori concomitanti hanno permesso di vivere una esperienza e devo subito dire che il merito è solo ed  esclusivamente di Gionata Paolicchi che da anni mi diceva di seguirlo a Nosy Be in Madagascar. Alla fine, tutto si è materializzato con una organizzazione che dire perfetta non rende onore al merito. Partiamo dal volo, effettuato con mille agevolazioni grazie all’intelligenza dell’Air Italy, la compagnia di charter del Comandante Gentile che ci ha dato la possibilità di andare molto oltre il massimo del peso consentito al punto che in quattro abbiamo raggiunto quota 175 kg di attrezzature in quattro, oltre al bagaglio a mano! Partiti da Fiumicino in perfetto orario mettiamo prua sud e cominciamo una navigazione di circa nove ore in condizioni meteo davvero ottimali. Tra l’altro un leggero vento in coda diminuisce i tempi di volo e gli stimati di atterraggio, man mano che passano le ore, preannunciano un arrivo in leggero anticipo. L’unico problema è l’impossibilità a dormire causata dal pianto ininterrotto di una bambina di forse tre anni in piena crisi di fame, non soddisfatta perché i genitori, non avevano provveduto a portare latte fresco a bordo confidando nelle dotazioni dell’aereo. Errore marchiano, visto che a bordo, si usa latte in polvere nella maggioranza dei casi  ed i genitori, incomprensibilmente, non accettavano l’idea di scioglierlo in acqua, per placare la piccola creatura. Inutile dire che l’idea di dormire durante il volo veniva messa da parte per cui sotto con la lettura dell’ultimo Dan Brown e di una ventina di Giga di musica presenti nel mio IPod.  Alla fine, sono o meno, arriviamo nei pressi della pista e mettiamo le ruote a terra. La lunghezza o meglio, la “non lunghezza” della pista di Nosy Be costringe il Pilota a usare il massimo dei reverse e una frenata decisa ed alla fine siamo al parcheggio e cominciamo ad annusare l’Africa. Fa un bel caldo umido, l’aeroporto è piccolissimo e c’è una lunga fila per le procedure doganali che prendono più tempo del previsto. Ma questa è l’Africa, dove il tempo non ha valore e nessuno si scompone troppo se a controllare un passaporto  e mettere qualche timbro servono quattro persone. Noi (Gionata, Adriano ed il sottoscritto con la gradita aggiunta di Marco Longinotti) siamo abbastanza cotti ma pieni d’entusiasmo perché davanti a noi c’è una serie di pescate sognate da tempo anche se una piccola botta all’entusiasmo me la fornisce un vecchio amico in coda per il volo di rientro, il grande  Alessandro Righini (Baco) che mi comunica di aver incontrato situazioni difficili, poche mangianze e pesce bloccato sul fondo. La marea è totalmente sbagliata (ma scoprirò poi che questo aspetto è molto sottovalutato erroneamente) e la luna è piena per cui, trasferisco a Gionata il mio timore che non tutto sarà facilissimo come speravamo. L’idea di base è infatti quella di girare quattro puntate per le mie Fishing Adventures che anno in onda su Sky “Caccia e Pesca” cercando di far vivere le fasi salienti della nostra esperienza di pesca nella speranza che i pesci collaborino. Lo dico subito, per varie ragioni sarà una faticata inimmaginabile ma alla fine, abbiamo portato a casa tutto il lavoro anche se con alcuni rimpianti.

Manou e Domenico.
A prenderci all’aeroporto c’è Domenico un  brindisino oramai mezzo francese e malgascio onorario che  ispira simpatia sin dal primo istante e che ci conduce nelle nostre camere dopo un viaggio in macchina di circa mezz’ora. La casa è molto bella, ricca di cultura malgascia e con tutti i comfort che servono per vivere perfettamente in un luogo n cui si passa dal caldo umido a piogge talmente torrenziali da sembrare inverosimili. Posiamo le tonnellate di bagaglio e ci riposiamo in attesa di attendere la vera star della sessione, il grande Manou, la nostra guida di pesca magnificata da Gionata come la panacea di tutti i nostri timori. In affetti questo grande francese di Perpignant  da subito l’impressione di sapere perfettamente cosa fare, forte dei sui tredici anni a Nosy Be ed una passione per la pesca che l’ha portato in tutto il mondo. Orgoglioso Capitano IGFA (di quelli veri e non i bambocci che spesso girano da noi) sembra molto sorpreso nell’apprendere che il sottoscritto fa parte della stessa organizzazione con il ruolo di Representative. Sta di fatto che l’appuntamento è per la mattina dopo dove ci attende la secca del Serpente e un mare che si preannuncia stra carico di pesce importante. Noi puntiamo ai Giant Trevally a spinning, al bolentino a cernie e squali, al vertical jigging ed in ultima battuta, alla tecnica per la quale sono assai meno familiare, la traina.
La barca che diventerà la nostra alleata per una settimana è un Open da 30’ (dieci metri) motorizzata da una bella coppia di Suzuki e un eco Humminbird. Una struttura potente e perfetta per un mare che non scherza affatto e che ci permette di raggiungere la secca in meno di un’ora di navigazione. Con noi anche Hassan che è l’aiutante di Manou e che subito fila in acqua delle piume per catturare tonnetti alletterati da usare per esca. Ci sono pesci a galla che attaccano le nostre esche e i piccoli mulinelli Penn Senator cominciano a fischiare sotto la pressione di prede di circa un chilogrammo che vengono salpate senza troppi complimenti. Di mangianze da spinning, nemmeno l’ombra e le canne da popper rimangono al loro posto facendo spazio a quelle da bolentino. Inizia quindi una prima giornata di pesca in cui piccoli squali, cernie e Mutton snapper diventano le nostre prede. Nulla di straordinario ma, portiamo a casa delle belle riprese e cominciamo a prendere le misure con questo mare. Si torna a casa moderatamente soddisfatti anche perché era il giorno degli esperimenti e il giorno dopo si deve navigare verso un luogo davvero speciale.


Castor Bank
La secca del Castor è in mezzo al canale del Mozambico a circa 45 miglia di mare dalla costa di Nosy Be; quando vedo sulla carta dove è situata comincio a domandarmi cosa possa vivere in quel mare che emerge dall’Oceano Indiano passando da 2000 metri fino ad un minimo di 17 metri. Il banco ha una estensione di poche miglia ma ogni singolo centimetro di quei fondali è una miniera di biodiversità e di catture incredibili. La mattina alle 04.30 iniziamo la nostra avventura che consiste in tre ore di navigazione se si riuscirà a tenere la barca su velocità prossime ai 16-17 nodi, altrimenti la faccenda si complica. Il mare non ci da una mano perché, appena usciti dalla copertura dell’isola incontriamo discrete onde che ci rallentano e diverse “secchiate” d’acqua che ci lavano integralmente. Ma l’eccitazione è talmente elevata che non vi è acqua ed onde che tengano anche perché Manou conosce bene quella navigazione e la barca è perfetta per affrontare queste situazioni.
Dopo un lungo tragitto finalmente arriviamo a destinazione e non appena Manou toglie motore per cominciare la pesca arriva il primo regalo.
A tre metri dalla nostra barca sale un vela che stende la sua pinna dorsale, rimanendo per almeno un paio di minuti a nuotare   placidamente accanto a noi. Per me è la prima volta  e scopro che … non è solo per me.
La marea è sbagliata ma il mare è pieno di pesce e ogni calata del bolentino regala strike di tutto quello che è immaginabile, dalle Coral Trout a mille snapper anche di taglia. Il vertical non offre soddisfazioni e non si vedono vere mangianze di GT da nessuna parte  e si decide di passare alla traina per sfidare il vela. Ha inizio una sfida  che perdo clamorosamente.

I vela….
Non ho mai pescato rostrati in vita mia e ho l’abitudine di ascoltare attentamente quello che mi viene detto per cercare di usare la tecnica migliore, sta di fatto che non devo averla appresa nel migliore dei modi perché in 4 uscite sul Castor Bank abbiamo avuto ben 8 strike di vela con un risultato sconfortante; 2 rotture di finale, 6 slamate. Abbastanza per buttarsi in mare ed invocare la sfortuna soprattutto quando uno dei vela era arrivato sotto bordo a meno di dieci metri da noi! Ammetto che avrei pagato per farmi una foto con quel pesce fantastico che salta sulla ferrata e tira via anche 400 metri di filo nella prima partenza ma ho anche capito che per arrivare a quella cattura bisogna che alcuni fattori si allineino tra loro. Noi abbiamo avuto un vela perso per rottura di finale perché l’attacco è arrivato sull’unica canna montata a Rapala e senza doppiatura. Una seconda rottura è arrivata su un mulinello caricato a terra in cui il nailon era semplicemente bisognoso di una stirata per evitare che nelle fughe , il filo entrasse nelle spire bloccandosi. Esattamente quello che si è verificato nella seconda violentissima fuga. Poi, le slamate arrivare su tutte le possibili esche a ricordarci che se non si ha un minimo di fortuna, anche un pesce definito facile come il vela, diventa un ostacolo insormontabile. Va bene così, la prisma volta saprò esattamente cosa fare.

Il vertical.
Il vertical jigging trova delle zone magnifiche su fondali davvero carichi di pesce al punto che in certi momenti, trovandoci sopra branchi di barracuda abbiamo dovuto limitarci a qualche calata per non infierire sul branco e soprattutto, non perdere troppi jig che saltavano via non potendo usare un cavetto d’acciaio. Altre catture affatto occasionali, sono arrivare da Coral Trout, Snapper e cernie di varia natura mentre i GT sono patitati totalmente forse perché sono stati cercati sui fondali sbagliati. La bassa marea forse avrebbe dovuto suggerire una pesca sulla linea dei 60-70 metri mentre l’aver insistito sui 30-40 metro ha forse ridotto le nostre possibilità di incrociare i Trevally. Quello che impressiona è sempre la violenza dell’attacco sul jig e la potenza che qualsiasi preda ha sviluppato. Grandi jig Abu con assist formati da doppia girella  e ring in acciaio sono l’unica soluzione contro denti che tagliano qualsiasi cosa. Con le nostre Penn Jig accoppiate da Penn Sargus e intrecciati Berkley da 100 libbre siamo stati in grado di affrontare tutte le situazioni anche se nel vertical è mancato l’attacco del mostro.

Bolentino.
Esca naturale posata sul fondale tramite un finale in acciaio ed un amo del 6/0 è un trionfo perché arrivano delle botte che piegano la canne in due e mettono in difficoltà anche le canne più potenti. A bolentino abbiamo preso tutto quello che un angler può immaginare partendo dagli squali, passando per snapper, cernie e subendo anche l’attacco di qualche shark capace di lasciarci solo la testa di una cernia di una decina di chilogrammi. Canne che si bloccano, sforzi incredibili e fughe incontrollabili sono le situazioni che si vivono in queste acque dove, davvero non c’è limite!

Una settimana fantastica.
Una esperienza davvero speciale in cui si vive per pescare 12 ore al giorno e si ha tempo per riposarsi, mangiare davvero bene e rilassarsi. Poco importa se poi il dannato vela non arriva in barca e Gionata si arrabbia perché diventa difficile finire i filmati. Sta di fatto che Nosy Be è una meta da sogno che richiede una preparazione speciale perché sono davvero speciali le situazioni che ci troviamo ad affrontare sia in pesca che per le nostre coronarie. Immaginiamo ad esempio qualche centinaio di delfini che circondano la nostra barca per giocare rimangono con noi a lungo, immaginiamo coppie di balene che saltano, di vela che attaccano aguglie a dieci metri da noi, di globicefali che ci nuotano accanto, di tartarughe che affondano alla nostra vista. Questo è un pezzo di Nosy Be. Non sono arrivati i GT e abbiamo slamato i vela? Arriveranno la prossima volta perché, ci sarò senza dubbio una prossima volta e per i vela…saranno guai!


Informazioni.
www.fishingparadise.it


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