Itinerari Estero

Onde Tropicali (seconda parte)

Di Michele Nardi pubblicato il 28/05/13

Molti pescatori si recano in Africa o in altre zone tropicali con l’obiettivo principale di catturare squali.
Sarà forse per il mito che da sempre lo squalo ha suscitato o per quel bagliore di mistero che circonda questa specie? Presumibilmente per entrambi i motivi.
Terminiamo l’articolo con un resoconto su come utilizzare al meglio l’attrezzatura da surf/rock cosiddetta “pesante”.

Nel capitolo primo abbiamo ripercorso le tappe dell’individuazione delle varie prede insidiabili da spiagge e scogliere oceaniche situate al caldo asciutto e temperato dei tropici, il clima tipico della zona torrida della Terra, ovvero la fascia compresa dentro i due tropici del Cancro e del Capricorno.
Ora proseguiamo con un’analisi completa in modo da entrare in sintonia con l’attrezzatura occorrente e, ovviamente, indispensabile per insidiare pesci veramente grossi e potenti.

Parlando di surf casting pesante rivolto alla cattura degli squali la prima cosa da fare, e da fare bene, è quella di preparare un’attrezzatura specifica composta da una canna a innesti in due o tre pezzi con casting di 300 grammi o superiore e lunga non meno di quattro metri, che pescando dagli scogli potrebbero non bastare, quindi meglio le lunghezze di 4,20 e 4,50.
Mulinello a bobina rotante o a bobina fissa di grossa taglia e di indiscussa affidabilità, coadiuvato da lenza colorata ben visibile ai nostri occhi di diametro a partire dallo 0,40 (se ci troviamo in un luogo privo di qualsiasi tipo di ostacolo come una spiaggia sconfinata) fino ad arrivare allo 0,70 (per il rock fishing pesante).
Alla lenza imbobinata per la spiaggia, infatti, è obbligatorio aggiungere uno shock leader di nylon dello 0,70 millimetri lungo venti metri, questo servirà come protezione integrale.

A seguire serve un robustissimo trave anti abrasione lungo un paio di metri con lo snodo applicato a metà tramite una robustissima girella tripla, dato che la pelle dello squalo a seconda della specie può essere molto simile alla carta vetrata e ridurre velocemente in brandelli qualsiasi tipo di filo costruito in nylon o fluorocarbon.

Il trave da squalo dev’essere costruito interamente con il filo d’acciaio trecciato da 50 libbre e corredato di un piombo che solitamente pesa dai 180 ai 250 grammi. Il relativo finale dovrà essere fatto con il medesimo trecciato, lungo due metri in presenza di mare calmo e collegato, con un perfetto nodo Albright, a mezzo metro di monocavo d’acciaio, che avrà funzione anti morso.
In fine serve un amo da squalo di misura compresa tra il 6/0 e il 10/0 (noi usiamo quelli della Hisashi modello 11026 Catfish).

Ricordiamoci inoltre una cosa importantissima: usare sempre componenti di qualità elevata, pena la sicura perdita del pesce!
Gli squali si possono prendere sia di giorno sia di notte secondo le abitudini del luogo scelto e per questo bisogna informarsi bene dai pescatori locali. Come esca viva, il muggine, la triglia e la mormora sono sempre indicati purché di dimensioni che vanno dai quattro agli otto etti e oltre.


Esche da squalo

In mancanza dell’esca viva ci sono delle alternative che svolgono degnamente il compito, tipo il trancio di tonno fresco, ma vi vogliamo svelare anche una ricetta che ci ha suggerito Fernando, un amico della Guinea Bissau (all'opera nell'ultima foto) dove nelle selvagge spiagge infinite si prendono squali di tutte le specie, con predominanza di enormi squali violino, da tutti ritenuti totalmente affascinanti! Ecco la comprovata ricetta:

Prendere una grossa mormora morta da non più di tre ore e ben mantenuta al fresco.

- Effettuare tre tagli profondi sulla pelle da entrambi i lati del pesce utilizzando esclusivamente un coltello in acciaio inox.

- Innescare il pesce esca (chi vuole usare il doppio amo può farlo inserendone uno vicino alla testa e uno vicino alla coda).

- Lanciare quel poco che basta a entrare in pesca, anche pochi metri vanno bene specialmente pescando su spiagge profonde.

- Gettare in acqua pezzi di pesce, interiora di volatile e possibilmente del sangue bovino. Comunque spesso abbiamo pescato bene anche senza pasturazione.

- Fare silenzio. Lo squalo se presente in zona non tarderà ad arrivare con tutta la sua proverbiale forza: ma di quale specie sarà?

Catturare i muggini

Affermavamo che l’esca principe per la maggioranza delle prede tropicali è rappresentata dal muggine vivo e allora vediamo come procurarci quest’esca infallibile.

Perlustrando la zona nei giorni che precedono la battuta di pesca, dobbiamo trovare delle grandi pozze fra gli scogli che con il ritrarsi della marea creano un habitat ideale per la convivenza di varie specie di molluschi e qui, previa pasturazione fatta magari con polpa di cavalla tritata, iniziare la pesca ai muggini con il sistema a noi più congeniale. Un buon sistema, tra l’altro molto divertente, è quello che prevede l’utilizzo della canna fissa con “lenza morta” innescando dei filettini di sgombro, ma ci vuole un po’ di tempo a disposizione per mettere nel secchio una ventina di muggini, mentre utilizzando magari una piccola bilancia il tutto si risolve in poco tempo e dona esemplari ben vispi che non hanno subito il trauma dell’amo, fatto non certo indifferente.

Naturalmente i muggini (probabilmente della specie gargia d’oro, i migliori sotto ogni aspetto) vanno mantenuti ben vivi utilizzando un grosso recipiente privo di angoli, dotato di un ottimo ossigenatore e badando a cambiare l’acqua spesso. Si deve tenere sempre in mente che il clima tropicale non perdona!

Tecnica del palloncino

Volete eseguire un surf veramente divertente, innovativo e dinamico?
Provate a mettere in gioco il palloncino!

La tecnica del palloncino è realizzabile in ogni luogo e naturalmente anche nel nostro mare. Spiaggia o roccia non fa molta differenza, se non per le lenze da utilizzare. Per avere successo con questa tecnica di pesca non possiamo fare a meno di un fattore fondamentale: il vento.
Non è importante il tipo di vento, ma è fondamentale che soffi nella direzione giusta, e cioè dritto dietro di noi verso il mare aperto e che non sia troppo forte. Nel caso tropicale alla nostra potente canna da surf abbineremo un grosso mulinello a bobina fissa imbobinato con un ottimo filo ad alta visibilità, diciamo dello 0,35 millimetri di diametro come minimo, al quale collegheremo direttamente tramite nodo palomar una robusta girella a tre vie.

Nell’occhiello della girella in linea con la lenza madre applicheremo il finale e nell’occhiello più piccolo uno o più palloncini colorati, secondo il vento e la corrente presente.

Come tipo di finale vanno bene quelli descritti in precedenza, da scegliere sempre in base al tipo di prede presenti e di lunghezza totale compresa fra tre e quattro metri.
Una volta preparato tutto l’armamentario innescheremo delicatamente sottopelle il pesce vivo (il cefalo e l’aguglia vanno sempre bene) utilizzando il doppio amo e lanceremo delicatamente la nostra insidia in acqua: sarà il vento a portarla al largo e sceglieremo noi dove farla sostare, semplicemente chiudendo l’archetto del mulinello e aprendo quasi completamente la frizione altrimenti è certo che la canna vola in acqua alla prima mangiata!
Al momento dell’abboccata vedremo filare via il palloncino velocemente, la frizione comincerà a cantare, ma dovremo riuscire a restare calmi e aspettare ancora qualche attimo prima di compiere una possente ferrata!
Questo serve per dare alla preda il tempo di ingoiare bene l’esca.

Sono attimi di pura adrenalina vivamente sconsigliati a chi soffre di cuore.
Subito dopo, una volta allamato il pesce, inizieranno i fuochi artificiali! Infatti, specialmente alle prese con i Carangidi, il combattimento non è certo lungo come quello di uno squalo ma è il più sorprendente di tutti: fughe veloci, cambi di direzione, rallentamenti repentini e nuove partenze mozzafiato rendono i recuperi veramente difficili e assolutamente imprevedibili, dove spesso è il pesce ad avere la meglio!

A volte succede

Per chiudere in bellezza vi vogliamo raccontare quello che è capitato durante l’ultimo nostro viaggio nell’isola di Sal, nell’arcipelago di Capo Verde.

...Quel pomeriggio eravamo ancora tutti molto stanchi a causa del lungo viaggio nel deserto, della pescata a rock fishing del giorno precedente e della seguente nottata in discoteca (nessuno si era voluto perdere niente). Avendo ancora nella vasca qualche cefalo vivo decidemmo di andare a pescare vicino alla nostra dimora, dove la stupenda spiaggia prevalentemente composta di sassi, si confonde con gli scogli.

Ci siamo subito resi conto che soffiava un discreto vento di terra e appena messe in pesca tre canne con i palloncini abbiamo iniziato a prendere qualche piccolo ma stupendo Carangide.
Purtroppo un grosso jack crevalle, che avevamo già visto e considerato ormai vinto, riusciva a spaccare la grossa girella guadagnandosi di nuovo la libertà!
Non vi diciamo né la ridicola marca della girella, che comunque era nuova, né le imprecazioni seguite: vi lasciamo all’immaginazione e andiamo avanti. Verso sera sono arrivati degli squaletti pinna nera e proprio mentre l’entusiasmo del gruppo stava aumentando abbiamo visto da vicino il protagonista del film Lo squalo.

Un’enorme pinna a fior d’acqua che si avvicinava minacciosamente a uno squaletto che stavamo recuperando e che ormai era giunto a pochi metri da riva. In un attimo è successo il finimondo!


C’è stato chi si è dileguato in una corsa infinita, chi ha urlato come un pazzo, chi è scivolato, una ragazza è svenuta (dopo ha pianto per una settimana) e noi ci siamo goduti profondamente tutto il ciak con un amico capoverdiano che ripeteva queste parole: tranquilli, non fa niente, non morde! Lo squalo, che almeno ai nostri occhi sembrava enorme, era della specie tigre.

Un tigrone che dopo aver sentito tutto quel baccano era tornato pian piano verso il largo senza degnarci nemmeno di uno sguardo.

Pensandoci oggi quello che più dispiace è di non essere riusciti neppure a fotografarlo, tuttavia, non ci risulta che lo squalo tigre appartenga ad una specie tanto tranquilla. In ogni caso non poteva certo uscire dall’acqua…

...Oppure si?

 

Michele Nardi

 


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