Racconti

3 dicembre 2005, regalo di Natale

Di Massimo Zelli pubblicato il 05/12/09

3 dicembre 2005, regalo di Natale

Non so cosa avesse in mente Hemingway quando parlava del vecchio Santiago e non so nemmeno perchè un racconto ambientato nel caldo caraibico mi sia venuto in mente in una giornata di pesca in cui le porte di dicembre erano alle spalle da un pezzo. Una giornata che di caraibico ne aveva quanto i -4 gradi che quella mattina mi hanno accolto sulla sponda del Piave.
Non so nemmeno perchè dopo 5 anni rimetta le mani su uno scritto che porta la data che sta sul titolo. Era una lettera a 3 amici, per regalargli un po' delle mie emozioni, visto che eravamo a ridosso dello stramaleddetto, abusato, logoro, natale e di regali veri se ne fanno pochi.
Oggi ho conosciuto un amico.
Un amico davvero particolare.

Potrebbe essere andata così, o meglio è così che potrei raccontarla.
E' stato mio amico per un lungo momento: un amico di quelli che vedi una volta soltanto.
Sai già che difficilmente ci sarà un altra occasione di incontrarsi ma non ti interessa, ti piace vivere quel momento e da subito hai una certa empatia con lui, un feeling istantaneo.

Deve essere andata proprio così, o meglio è così che potrei raccontarla.

E'successo come quando siamo a pesca: incontriamo un altro pescatore che entra subito in sintonia con noi, ci sembra di conoscerlo da anni e ci comportiamo come se fosse così.
Poi chiusa la canna resta un bel ricordo, che magari durerà qualche anno. Se gli occhi non m'hanno ingannato in quella manciata di secondi in cui la lucidità ha lasciato il posto al fiato corto e ad un tuffo al cuore, qualcuno o qualcosa m'ha voluto dare un messaggio.
Deve essere andata proprio così, o meglio è così che potrei raccontarla.

Ho intenzione di campare ancora un bel po' e di cose in anni e anni ne succedono tante. Spero solo di avere occasione di reincontrare quest'amico, perchè quello che mi ha fatto vedere oggi, è stato "lo scontro all'arma bianca" più esagerato che abbia mai visto coi miei occhi da quando pesco a passata.
Il caffè in autogrill alle 4 del mattino è quasi sempre un quadretto pittorico di raro realismo e vita vissuta. Il lato B della vita, mi piace chiamarlo, quello che c'è e che molti apprezzano ma di cui si preferisce non parlare.
Le due ragazze dell'est davanti a me erano di una bellezza da togliere il fiato e questo dopo aver lavorato dalle 10 di sera del giorno prima. Il che la dice lunga sulla qualità della materia prima.
Quello che mi rendeva del tutto anonimo e quindi completamente, o apparentemente per meglio dire, disinteressato a loro era l'atteggiamento assente, di chi il cervello deve ancora accenderlo dopo essersi alzato. Non ero indifferente proprio per niente, anzi...
Parlavano tra loro in italiano, non dovevano avere lo stesso dialetto sebbene avrei giurato che geograficamente non erano più distanti di 150 Km: avevano due lineamenti diversi pur essendo entrambe bionde, una li aveva più duri con lo zigomo "alla slava" , l'altra aveva l'ovale del viso delicato di "una ragazza di buona famiglia". Una faccia di quelle insipide ma al contempo maliziosa. L'autentica "gatta morta" capace di mandare fuori di testa chiunque. A occhio era ungherese.
Non facevano parte del "parco noleggio" locale ed erano senza dubbio due ferrari di quelle da svariate migliaia "a giretto"...

Il fondo della tazzina coincide con l'arrivo di 4 tipi grossi ed "eleganti": buttafuori, che hanno finito il turno suppongo.
In passato avevo avevo fatto anch'io quel mestiere e riflettevo su come fosse un lavoraccio in fin dei conti noioso. Generalmente aspettavo la rissa per il puro gusto di "sgranchirmi le zampe".
E' ora di rimettere il culo in strada, ma non prima di aver dato un'ultima occhiata a quelle due stanghe, se non altro avrebbero reso più lieto la rimanente parte del percorso.

L'inverno è "a regime" già da un pezzo e non ci sono santi, ne madonne, che possano scongiurarne l'evidenza: dopo quasi 2 ore in cappotto sono riuscito a convincere le larghe bocche a farsi sotto, ma è dura oggi, davvero dura.
E' come piace a me e come si addice alla stagione della passata per eccellenza.
Come direbbe il mio amico Piero oggi sono "pochi ma... pochi". Ma di quelli seri aggiungo io.
Le mangiate sono di quelle che ci vuole la sfera di cristallo per prenderle (servirebbe prevederle, vederle non è sufficente affatto).
Un bel paio di "schiene scure" sopra al Kg, portano l'orologio della soddisfazione a metà regime e si stanno facendo compagnia in nassa guardandosi in cagnesco.

I Cavedani...I Cavedani hanno un caratteraccio.

Quando li prendi ti guardano con quegli occhi gialli e cattivi che sembra quasi che tu gli abbia voluto fare un torto.
Sono contenti solo quando vincono loro. Quando ti tengono ore inchiodato a guardare i loro giochini da psicotici con l'astina del galleggiante e tutto ciò senza darti la minima soddisfazione di una tirata sulla canna, i pesci più strani che abbiano mai abitato un fiume.

Mi avvio a prenderci il ritmo. Alle 10:00 mi basterebbe forarne ancora un paio per chiudere le canne, fumare una "santa" Lucky Strike sulla mia sponda ghiacciata preferita e tornarmene a casa pronto ad affrontare la dura restante parte di un noioso week end prenatalizio.

L'aria è fredda, di quel freddo umido che entra nelle ossa, un freddo che spacca le mani e ti riconduce alla tua dimensione di comune mortale.

L'inverno ne è capace: ti da l'illusione di elevarti ad uno stato superiore, prendi pesci nonostante tutto, le possibilità sono ridotte ad un nulla, la temperatura ghiaccia il fiato e gli anelli della canna, un insieme di cose che seppur irrazionale delle volte non nascondo che per me rendono la pesca effettivamente "LA PESCA".

Umanamente ci sono giornate in cui mi domando chi mi ci ha fatto venire sulla sponda.
Il bello o il brutto della faccenda, se così possiamo dire, è che non me ne ricordo mai al momento di lasciare casa mia quando è ancora buio.
C'è un altra cosa: il primo sussulto del galleggiante fa "reset" del termometro e mi porta a 37° gradi all'istante, non c'è cura migliore al freddo.

Questa mattina il freddo è come al solito: freddo, il braccio invece è caldo.
Ho preso le misure a quelle toccate: basta un minimo di attenzione e non hanno poi molte chance, la concetrazione deve essere altissima. Se mi estraneo un attimo: sono in piedi sull'anello della cima come un marinaio sul pennone di una baleniera.

Posso guardare dall'alto il galleggiante che scorre placido, posso tirare il filo con le mani se vedo un minimo cenno del segnalatore...

Se penso "alle baraccate" sul fiume che faccio con gli amici in questo periodo un sorriso mi compare sul volto: due lati di una medaglia, giornate di calma ascetica, solitudine, meditazione e concentrazione possono convivere con amicizia, atmosfere luculliane e compagnia. E' proprio una strana cosa la pesca.

Torniamo a noi ed a quel 3 dicembre: una ritoccata alla lenza e una agli occhiali ed i miei amici sono perduti, non hanno speranza.
Il fiume non è in stato di grazia la temperatura bassa ha fatto la sua parte ma le piogge costanti dei giorni precedenti hanno fatto salire il livello di un buon metro e reso l'approccio un bel po' difficile.
La pesca è pesante, ma non troppo, la passata è da 6 grammi sulla linea dei 20 metri "in bolognese".

Ho fatto la una scalata lunga che parte dal 9 e chiude sul numero 1 distribuita su un metro e mezzo.

Nonostante il fiume sia nelle condizioni che ho descritto, è più che necessario avere certi accorgimenti. Quel tratto normalmente va da 3 grammi o meno e anche se oggi la corrente è allegra, il pesce non è disposto a mangiare molto volentieri: mantiene una scaltrezza che dire proverbiale è un eufemismo.
Pur avendo sistemato la lenza al meglio delle mie possibilità non riesco a venire a capo di una situazione paradossale: ho cominciato a vedere molte mangiate ma le sbaglio di continuo, l'acqua ha accelerato quel pelo ma non dovrebbe darmi conseguenze.
Ci sono altri pescatori sulla mia sponda, sono arrivati con comodo.
Con fastidio si sono accontentati di pescare a monte. Dopo un po' entriamo in parola: dicono che io vedo affondate perchè ho degli ostacoli sul fondo.
Dicono anche che sul mio picchetto hanno lasciato diverse lenze l'ultima domenica.
Continuano con altre fesserie ma non mi va di parlare.

Chissà perchè mi domando, hanno fatto la faccia che si fa quando ti rubano la macchina quando mi hanno visto già in pesca su quel "brutto postaccio". Per fortuna non gli ho detto che avevo già fatto il pieno alla nassa.

Delle volte la gente non ha ritegno ma del resto, il pescatore è un po' come il cavedano, una strana bestia piena di Tic e fissazioni.
<<e pensare...>>, dicevo tra me e me, <<... io credevo che vicino gli ostacoli si nascondessero i pezzi più grossi>>. Se ne impara sempre una nuova.

Sono tuttavia, iper-convinto che "gli ostacoli sul fondo" non si comportano in questo modo. Passo volando sul fondo, con il finale che poggia e non poggia, è impossibile appendersi a degli ostacoli. Gli unici ostacoli che ci sono, sono delle bocche aperte!
Le "camicie" oramai troppo frequenti non mi lasciano più di tanto nel sospetto, anzi! Sono la chiara conferma che le condizioni sono cambiate e se non giro la situazione continuo a farmi prendere in giro dai mie amici. Visto che non riesco a ferrarli trattenendo e visto che con il tiro della corrente di oggi pescare a scorrere è parecchio difficile, provo a pescare sovratarato: pinzo un SSG sulla lenza sopra il bulk e pesco trattenendo allo stesso modo per tenere meglio il fondo. Do più acqua del necessario alla lenza in modo da strusciare con 5-6 pallini se la lascio andare a scarroccio. Tenendo la lenza più forte me la immaggino sott'acqua: è come se la vedessi restare "tesa in un sorriso diagonale" con l'innesco che fa da fanalino di coda fluttuando sul fondo e avanzando pigramente.

Ho sfoderato anche un trucco che mai avrei pensato di dover usare pescando a bolognese, un trucchetto imparato in altra sede e tutt'altro contesto: rilascio la corsa del galleggiante sovrapiombato facendolo affondare e poi sparo una ferrata leggera in maniera che se c'è il pesce lo aggancio, altrimenti continuo la passata.
Con la rouabasienne è uno spasso sapere quante volte uno non ferra perchè ha finito la passata a vuoto mentre il pesce è già attaccato ma non segnala nulla.

Accade molto spesso con lenze troppo aperte e troppo inclinate nella passata, lenze che a volte, sono l'unico sistema per convincerli a ingoiare l'amo.
La maggior parte delle mangiate fino a questo momento le ho avute in fase di rilascio, penso che quest'espediente mi consenta una migliore trattenuta e mi dia quella frazione di secondo in più per fregare quegli "ostacoli sul fondo".
Accendo una sigaretta "propiziatoria" più che altro per stendere i nervi dopo tanti lisci e cominciare concentrato con la nuova lenza.
Non è di facile uso questa e necessità calma e gesso per funzionare a dovere, altrimenti diventa solo un impaccio sovrappiombare il galleggiante.
Al primo lancio trattengo forte faccio fare alla lenza 4 metri, la rilascio, faccio affondare il galleggiante e ferro.
La canna flette come su un incaglio, c'è qualcuno di là che è restato inebetito, privo di risposta, immobile, una reazione più di stupore che di rabbia, un po' come quella dei giocatori di carte che pensano d'essere troppo furbi per perdere....
CONTATTO!
La canna è la daiwa tournament 9015: quella delle grandi occasioni.
Quanto l'ho sudata quella canna: un attrezzo da un milione di lire del vecchio conio, adesso ha l'occasione di dimostrare di valere sino alle ultime 500 lire del suo prezzo.

Il mulinello è un penn 4400 spin fisher dell'88, è il primo mulinello serio che io abbia mai avuto ed è stato riciclato, con risultati ottimi direi, da mulinello per il vivo a mulinello da bolognese.
Non ha l'antiritorno infinito, ma la meccanica è a prova di bomba. La frizione è un gioiello, è quell'abbinamento giallo oro più nero grafite è quantomeno poetico: ho sempre avuto una certa passione per le cose vintage.

Ne dice di cose quel vecchio penn stridendo: sembra la partenza di un gran premio, con il crescendo dai bassi all'acuto del rauco ronzio dei 10 cilindri.

Musica per le mie orecchie.

In testa ho la colonna sonora della scena finale di "il mio nome è nessuno": me la fishietto ed un po' mi sento come il vecchio Jack Beauregard che sdraiato dietro i binari arruginiti di una ferrovia di era post moderna compie l'impresa contro "il mucchio selvaggio", l'impresa che lo consacra leggenda.

Una "fumata" dopo l'altro la bobbina s'assottiglia e la frizione stride, stavolta con aria di rimprovero pregandomi di chiuderla almeno un po'.

All'amo c'è un brutto cliente: non capisco subito cos'è, la tirata è lenta le vibrazioni poche.

E' ferito nell'orgoglio questo pesce, non la manda giù d'essere inciampato su un amo in dicembre quando a pesca non ci va nessuno.

Piano piano si fa strada in me il dubbio che sia un bel pesce, ma "preso per fuori", ci sto mettendo troppo e non da segni di cedimento, io si invece.

La spalla trema e sono costretto a poggiare la canna alla cinta tenendola con la sinistra.

Canna bassa e angolo giusto, non sto sbagliando nulla.

Il pesce non s'è sganciato fin'ora e quindi dovrei essere salvo da quel punto di vista.

Ne ammiro la forza, ed il cuore.

Non ha astuzia, non ha cercato di infilarsi nelle tane del sottosponda, non da testate per liberarsi dall'amo, gioca pulito, ma se lo può permettere.

E' fermo in corrente, credo che non abbia paura, molto probabilmente c'è già passato.

Chissà quante volte l'hanno rilasciato.

Ci mette del suo però, l'arrendevolezza non abita i suoi cromosomi.

Da fondo anche a quasi 100 metri di 0.16. e comincio a scoprire il backing del 35 sul fondo gola della bobina.

Se lascio che il pesce porti fuori il nodo con il filo di riempimento posso considerarlo perso.

Rischio che salti in un attimo.

Non ho mai previsto nella mia onorata carriera di passatista, l'evenienza che un pesce riesca a sbobbinare 100 metri di buon Nylon.

La mia colpa è che il nodo del Backing non è fatto con grande cura.

Questo magnifico animale qui pur essendo quasi evidentemente dalla prima fuga fuori dalle mie possibilità, non mi sentivo di forzarlo subito cercando di romperlo.

Sentivo che non era la solita carpa, quell'affondata al fulmicotone voleva dirmi qualcosa.

Metto un dito sulla campana della frizione e provo a fermare la corsa di questo pesce: lui non ci vuole stare, ma debbo farlo.

Porto il finale del 0.10 più volte vicino alla rottura, più volte un po'di sorte amica ed un po' di confidenza con i miei strumenti mi permettono di rallentare questo gran pesce.

E' veramente forte, ma almeno si è fermato adesso.

E' in mezzo la corrente e il fiume ingrossato gli fa gioco e tra un po' probabilmente vincerà se non corro ai ripari.

Ma intanto ho guadagnato tempo.

Timidamente tento qualche pompata di recupero, lento, canna bassa, tensione minima, non voglio che si accorga che lo sto tirando in trappola. : è più di 20 minuti che ce l'ho in canna, ma solo adesso dopo avergli girato il muso verso la punta della canna comincio ad intravedere la speranza di tirarlo fuori.

Il momento è delicato, con uno scossone della testa potrebbe liberarsi in un attimo.
Ogni giro di manovella è una conquista e alimenta la speranza di veder spuntare l'antenna rossa del galleggiante sottosponda per la parte finale del combattimento.

Questo succede dopo altri interminabili minuti.

Il pesce è arrivato due volte vicino e due volte ha ripreso la corrente senza che io potessi fare nulla.

Penso davvero che sia agganciato fuori dalla bocca, non ho mai visto uno spettacolo simile. Sono quasi deluso ma la speranza che tengo accessa mi permette di mantenere la calma e non fare errori.

Riesco a forzarlo in superficie e mostra il fianco due volte, la testa resta sotto, non è ancora pronto devo pazientare: stringo il guadino nella sinistra come il "Vecchio Santiago" con la fiocina alla volta "di mettere in nassa" il suo marlin.

La fiocina oggi ce l'avevo io e questo era il mio marlin, questa era la mia battaglia.

La sua sagoma era enorme: stavo quasi per concludere che fosse un amur, quando ad un certo punto quel gran pesce mette fuori la testa esausto.

Non credevo ad un cavedano del genere: un pesce lungo settanta cm circa con una testa che pareva quella di una carpa di discreta taglia.

Quella bocca larga del calibro di un arancia matura lasciava pochi dubbi: era un maledetto, esagerato, enorme Cavedano.

Che animo che ha avuto, avrebbe potuto giocarmi in ogni istante, gli sarebbe bastato "baciare" un sasso qualunque per tagliare il finale di buon 0,10.

Immergo il guadino in acqua con tutte le cure del caso e faccio il gesto di "fiocinare" questo mostro.

Ho il cuore che và "a tavoletta" e ha toccato il fuori giri diverse volte, la gola è secca e faccio per deglutire ma non ho saliva: volevo anche una cazzo di sigaretta che nessuno ha potuto accendermi.

Quello che è accaduto dopo non ha nessun senso: forse il combattimento prolungato, forse l'euforia di un pesce del genere, forse la stanchezza, non ho una giustificazione e non ne cerco una.

Forse è solo che doveva andare così, o meglio è così che potrei raccontarla.

Sono con la rete in acqua, avvicino la testa del pesce che mi sembra ogni secondo più imponente, il guadino è di poco più stretto del pesce e sembra più piccolo ad ogni centimetro che guadagno, è una testa da 60 cm della Daiwa: è tutto regolare ce la possiamo fare, l'abbiamo fatto altre volte, con altri pesci.

Perdo leggermente l'equilibrio su un piede, alzo la rete, liscio il pesce e tocco il terminale appena sopra l'amo.

Ho preso male le maledette misure.

Il pesce si sgancia.

Gli do uno un ultimo sguardo inebetito e lui è di fianco, stordito e stanco, la corrente lo rianima, torna a mettersi dritto e sparisce sul fondale.

La coda sporge un attimo dall'acqua ed è come una mano: mi saluta, come si salutano due amici alla stazione sporgendosi dal treno.

<<vai Amico mio. Prima o poi ti reincontrerò e mi ricorderò di te, almeno spero>>.

Avrei voluto passare un minuto in più con questo grande amico, ma le circostanze a volte non sono favorevoli per tutto il tempo che avresti voluto.

E' già stato molto portarlo a tiro di guadino.

E' già quello un regalo della sorte, un cavedano del genere non ha che l'imbarazzo della scelta per finire anzitempo una lotta.

E dunque qui... qui finisce la poesia.

Chiudo la canna.

Chiudo il panchetto e porto in macchina poche cose.

Do un ultimo sguardo al fiume per ringraziarlo di questo regalo di natale, di questo nuovo amico.

Ho tanta calma nella mente. Tutta quella calma e un carico d'emozione che gonfia il cuore e che fa mancare il respiro.

Solo una cosa grande come la pesca può tirare fuori questo da una mattina fredda e tre pesci presi all'amo. Emozione, emozione e ancora emozione: non pensavo di poterne provare tanta.

Sono felice lo stesso, non ho avuto la solita reazione violenta per la perdita della preda è andata bene così, oggi è andata bene così, o meglio è così che potrei raccontarla.


FacebookTwitterGoogle+Invia per email

Collabora


Ti potrebbero interessare anche: