Racconti

River Glory Hole

Di sergio farina pubblicato il 25/10/18

Mi sembra inutile spiegare cosa sia il “glory hole”, piuttosto può venire utile cercare di capire le ragioni del successo e diffusione di tale pratica, una pratica ripresa in un film inglese del 2007 di grandissimo successo di pubblico e critica, Irina Palm, se non lo avete visto cercatelo. Al di la dell’aspetto strettamente legato al sesso direi che il fascino della cosa sia da correlare con il fatto che non si vede chi c’è dall’altra parte, parete o divisoria che sia. A ben guardare è la stessa molla che spinge molti di noi a pescare, e non vedere cosa si cela dall’altra parte della lenza è probabilmente uno dei piloni portanti della pesca ricreativa. In fiumi come il Po questa discriminante assurge ai massimi livelli, vuoi per il colore dell’acqua vuoi per la vastità dell’ambiente. Si cala un feeder farcito di nutrienti ed attiranti, si innesca un qualcosa che si spera sia appetibile e si aspetta, perfettamente consci che dall’altra parte della parete d’acqua può succedere tutto così come può succedere nulla. Manca il sesso è vero ma arrivati alla mia età posso tranquillamente affermare che il combattimento con un grosso pesce in corrente, sia questo un barbo o un cavedano, è qualcosa di molto vicino ai piaceri del talamo. La settimana scorre via tragicamente avvolta dalla solita monotonia lavorativa. In una sorta di training autogeno alieutico sono riuscito, negli anni, ad agire sull’interruttore  ON/OFF della pesca subito dopo il week end, pronto a riaccenderla quando i necessari impegni lavorativi mi permetteranno di tornare sul fiume. Un modo come un altro per non pensare alla stagione ideale, ai primi freddi che hanno messo in movimento i pesci, al livello ed al colore del fiume che, mai come in ottobre, sono molto vicini alla perfezione assoluta. La domenica è volata in un’orgia di pinne e squame, pur senza taglie da capogiro le specialist da 12’ hanno lavorato duro per ore con grande soddisfazione di tutta l’attrezzatura, pescatore compreso. Sono le classiche pescate autunnali dove basta veramente tirare un feeder in una pozza d’acqua per divertirsi, tanta è la frenesia che solitamente accompagna la necessità, per i pesci, di accumulare scorte per l’inverno. Cucinare è uno dei pochi modi che non mi fa pensare alla pesca, sono intento a giustiziare una fiorentina over chilo sulle braci quando arriva il Whats App di Davide. È solo una foto ma è sufficiente per mandare all’aria ogni forma di autocontrollo. E’ un barbo, grosso, molto grosso, preso nello stesso spot dove io, solo 24 h prima, ho forato tanti pesci ma senza arrivare a taglie degne di nota. Non serve sapere il peso del pesce, lo vedo che è grosso. Dopo anni di barbel fishing ho imparato a riconoscere al volo i pesci over. Lo riconosco dalla larghezza del tronco subito dietro la testa, dalla lunghezza totale, dalla mano sotto le pinne pettorali che quasi sprofonda nella massa molle dell’inizio del ventre, lo riconosco anche dall’espressione … quelli grossi, quando li fotografi,  hanno il broncio, disegnato da un misto di sorpresa e di rabbia per essersi fatti fregare da un piccolo pellet da 14 mm. E’ sicuramente un over 4, il messaggio seguente non fa che confermare la prima impressione, è uno dei signori del fiume, di quelli vecchi e furbi, un solitario come li chiamo io, uno di quelli che vive in un ambiente ostico ed ostile, e se sopravvivi per anni in un ambiente del genere fra corrente, piene, predatori di vario genere, bracconieri e inquinamento non puoi che essere un pesce speciale. Ogni parvenza di lucidità va a farsi friggere, passo la pinza a mio figlio per continuare la cottura della fiorentina, adesso sono fisicamente davanti al barbecue ma la testa è sul fiume, il più è capire come riuscire a strappare qualche ora al lavoro. Preparo tutto la sera tardi, il giorno seguente un paio di ore di permesso mi consentono di chiudere PC e compagnia cantante poco dopo le 12, alle 13.30 ho già le canne in pesca, quasi un record al quale contribuisce un pranzo fatto di un pugno d’acini d’uva. Appena pronto guardo le cime avon che puntano il cielo, due ore prima ero sulla sedia imbottita e girevole dell’ufficio, ora su di una supa-lite che uso quando devo muovermi velocemente. Mi rilasso guardando la corrente pensando fra me e me se ne è valsa la pena, fare tutto di corsa per poche ore sul fiume io che per “turni” inferiori alle 8 ore manco mi muovo. Magari oggi mangiano solo breme e piccoli channel, magari i barbi non si fanno vedere, magari…la piega è talmente violenta da strapparmi dai miei pensieri e non strappa la canna solo perché il river tripod fa il suo dovere. La canna è talmente curvata che faccio fatica a tirarla fuori dalla coppetta posteriore, e quando lo faccio la frizione canta già da un pezzo. Si pappa 30 mt di 0,40 in un lampo, poi rifiata prima di buttarsi verso i sassi della riva alla destra del pontile dove ho piazzato la postazione. L’assecondo poi, quando è quasi a tiro degli ostacoli piego la canna di lato e blocco la bobina con la mano. La testa gira, un attimo di impasse e riparte dalla parte opposta, verso il largo, alla sinistra del pontile, dove non puo’ fare danni, ora è solo questione di pazienza e ci vuole non poco prima che la rete gommata del guadino accolga una splendida regina del Po. Adrenalina a 1000, endorfine a palate,  la corrente del fiume che accoglie il pesce ossigenato lava ogni rimorso di tipo lavorativo. Sono passati solo 20’ dalla messa in pesca di esche e pastura, andrebbe già bene così anche se i baffi sono quelli “sbagliati”. Il resto della giornata trascorre in una fiera di partenze, tante quanto è raro vederne in Po. Sono channel grassi e scontrosi e breme di taglia XXL inframmezzati da un paio di barbi di grandezza più che normale. Dopo l’ennesima ricarica dei feeder mi accovaccio sulla sedia, il braccio poggiato sulle cime che delimitano la stretta passerella di legno, in relax completo conscio che il regalo per oggi il fiume già me lo ha fatto. Sono quasi le 19, il sole sta per finire il suo odierno viaggio e manda gli ultimi lampi di un arancio intenso prima del momento in cui scomparirà dietro il profilo dell’argine. La cima avon ha un leggero tremolio, poi comincia a piegare, lentamente senza scatti o accelerazioni verso il fiume. Di solito succede quando passa un ramo o un altro ostacolo che prende la lenza immersa. Sollevo un po’ contrariato ma il “legno” comincia a nuotare, e lo fa menando testate a destra e a manca. Seguono 5 minuti di puro braccio di ferro, il peso a fondo lenza è consistente, non vedo ancora chi è l’altro protagonista del tira e molla, un river glory hole che poggia su questi interminabili secondi tutto il suo enorme fascino. Sento il peso ma non so cos’è, spero che sia una cosa ma sono conscio che potrebbe essere altro, magari una breme attaccata da fuori che va vela con il corpo in corrente. Quando la lenza è quasi completamente riavvolta riparte una, due, tre volte, nessuna breme per quanto grossa riuscirebbe a farlo. La cabala imporrebbe di non fare proclami ma è evidente cosa sia il pesce che mi sta facendo penare. Scoda a circa 10 mt dal pontile, il rosso della coda è un colpo al cuore, la livrea è inconfondibile unita a una siluette che, nonostante gli anni, continua a stupirmi. Poco dopo è sul materassino, ha l’espressione imbronciata e contrariata, la mani affondano nel molle del ventre e fatica a trovare l’appoggio delle pettorali, un solo scatto veloce prima di riconsegnarlo al fiume…


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