Tecniche

Spinnerpatia e cure varie

Di samuele maffei pubblicato il 11/05/17

Riconosco che essere uno spinnerman non è cosa facile e credo che chiunque sia colpito da questa malattia debba essere risarcito da qualche istituto di credito o direttamente dalle casse dello Stato. Lo sforzo di chi pesca a spinning non consiste esclusivamente nello spostarsi durante la fase di ricerca della preda, ma è anche ideologico, un continuo movimento di tempeste interrogative che affollano la testa di chi lancia le esche imitative con insistenza. Vi assicuro che anche i pescatori più convinti, più tecnici o teorici, sono attraversati da questi tumulti che mettono in discussione anni e anni di formulazioni di regole che hanno avuto modo di sperimentare nei vari teatri di pesca. Loro sanno bene che il 90% dei successi è dovuto all’istinto, l’unica componente che viene maturata proporzionalmente all’esperienza. Nonostante tutto ancora lanciano gli artificiali con l’aria di chi sa ogni legge e sa di poterla applicare a proprio piacimento. Le stranezze di un pesce non sono scritte in nessuna bibbia e non possono essere imparate a memoria, non seguono un fondamento pienamente logico e rendono la pesca meravigliosamente misteriosa. Ogni lancio racchiude una speranza, una possibilità in più di raggiungere un obiettivo e l’aspettativa di portare a guadino la preda dei nostri sogni.  Insieme all’artificiale entrano in acqua anche le nostre  convinzioni, frutto di analisi tecniche premeditate, ed ogni suo movimento non è casuale, deve far credere di essere vivo o quantomeno  provarci. Ogni minuto che passa senza lo strike tanto atteso contribuisce a formare un grumo di interrogativi che occupano la mente dello spinner e ostruiscono l’accesso a qualsiasi altro pensiero: ho forse sbagliato l’approccio? Sto pescando nella profondità giusta? Sarà effettivamente questa la colorazione dell’artificiale che può far scatenare la vena predatoria del pesce in queste condizioni?  E ancora:  Recupero veloce o lento?  Con Jerkate, pitchando o semplicemente dritto? È normale chiederselo, e spesso è altrettanto normale non riuscire a trovare una risposta esaustiva perché ciò che stiamo cercando non ha abitudini schematicamente e razionalmente racchiudibili in regole logiche. Le caratteristiche di un pesce però, se analizzate scientificamente, possono essere delle buone lampadine accese in questo tunnel senza uscita e possono contribuire a sbrogliare il groviglio di “autorichieste” che imperversano la sicurezza del pescatore precludendogli la possibilità di sostare in una zona mentalmente confortabile .Ed ecco allora che un bilancio tra esperienza e conoscenza dei comportamenti della preda in relazione a fattori esterni (come eventi meteorologici)  sembra essere l’antidoto migliore alla psicosi di noi “spinnerpatici”.

Nei prossimi articoli cercherò di entrare nello specifico di ogni singolo predatore e di ogni singola tecnica adatta ad insidiarlo in condizioni, stagioni e climi differenti. Per ora mi piace parlarvi dello spinning in modo generale, come una grande scatola che racchiude i diversi approcci che lo caratterizzano e che possono essere divisi in chiave di generosità delle esche che vengono impiegate.

 Il light spinning che è circoscrivibile in un delta che racchiude tecniche che vanno dal neonato trout area, che impiega esche anche inferiori  al grammo(specialmente ondulanti) finalizzate alla cattura di trote nei laghetti, al fly style spinning ( come quello brevettato dalla casa FLUMEN) per insidiare le trote nei torrenti, alle soft bait da bass come vermi e creature innescati a texas o wacky system. La pesca a finesse per il bass è sicuramente una tecnica che fa da ponte tra lo spinning leggero e lo spinning pesante.

Potremmo parlare di uno spinning intermedio per classificare gli approcci con esche di dimensione media come cranck bait da 7 a 15 cm o jerk bait di piccola dimensione o addirittura di dropshot al persico reale o al lucioperca. In questa fascia iniziano ad essere proponibili le canne da casting usate molto spesso nel bassfishing con lo scopo di percepire con più facilità le mangiate apatiche dato il diretto contatto tra l’esca e il filo che non deve deviare il suo tragitto passando per l’archetto dei mulinelli a tamburo fisso.

E per finire, nella vetta della piramide gerarchica, non resta che parlare dello spinning pesante come categoria degli approcci più “grossolani” spesso impiegati per le prede a cui ci rivolgiamo, viste le dimensioni delle stesse. Stiamo parlando della pesca al luccio in tutte le sue forme e colori ( dallo shadding sul fondo al top water di superficie) e della pesca al più grande pesce insidiabile con l’artificiale nelle nostre acque interne , ossia il siluro. In questo caso l’utilizzo delle canne da casting si traduce nella necessità di lanciare esche molto pesanti  e di recuperarle col minimo sforzo.

Questa classificazione dello spinning così come l’ho rappresentata non va presa troppo con rigidità visto che vige in rapporto di interdipendenza tra i vari “reparti dello spinning” e che non esiste un rapporto biunivoco tra la preda e la potenza dell’attrezzatura da impiegare. Mi spiego: se volessi insidiare un siluro con una canna da bass potrei farlo benissimo, sempre rimanendo nei parametri della salvaguardia del pesce(in condizioni opportune). D’ altra parte non vi è un rapporto fisso tra esca e la preda a cui si addice, e questo fattore contribuisce a rendere la pesca a spinning ancor più affascinante e misteriosa, visto che ogni strike può nascondere meravigliose sorprese. Non è un caso quindi trovarsi a combattere con con un bass mentre si ricercano i lucci a jerk oppure mentre si recupera una swimbait, come non è un caso catturare (o quantomeno allamare)  lucci mentre si ricercano i bass magari con piccole esche siliconiche.

Da qualche tempo a questa parte è stata lanciata una moda nel nord che consiste nel ricercare carpe a vista nei canali per poi insidiarle con imitazioni di vermi da sbacchettare sul fondo. Foto con carpe in braccio con la canna da spinning sulla spalla hanno destato sospetto agli occhi di molti pescatori increduli alla possibilità di catturare un ciprinide impiegando una tecnica che sembrerebbe essere incentrata alla sola ricerca dei predatori. In realtà è un fatto del tutto normale che è spiegabile con la conoscenza dell’alimentazione naturale delle carpe che non è fatta di mais o boilies (che probabilmente fino a  20 anni fa non avevano mai assaggiato) bensì di crostacei, vermi e insetti nel fondo. Questo per dire che la tecnica dello spinning non ha limite, e forse è anche per questo che detiene il maggior numero di appassionati che la seguono in tutti (o quasi tutti) i suoi aspetti.

Altra caratteristica affascinante di questa “patologia” è l’incessante sforzo psico-fisico generato dalla continua ed esasperata ricerca della preda che può essere facilitata (nel senso più analogico del termine) dall’utilizzo di ecoscandagli di bordo (se si pesca con i piedi su un natante) o dall’istinto e dal senso dell’acqua (se si pesca con i piedi per terra). I fattori climatici sono elementi non di poco conto nell’influenza che esercitano sugli spostamenti del pesce e vanno calcolati e contestualizzati nelle diverse zone di pesca che reagiscono a queste varianti in modo spesso ambiguo e contraddittorio.

Tracciando un minimo comune multiplo in questo discorso finalizzato alla ricerca di una soluzione ai dubbi di chi pesca lanciando artificiali di gomma, legno, plastica o quant’altro(che ho preferito rinominare“spinnerpatia” per enfatizzarne il carattere spesso esasperante) credo che l’equazione che lega il fattore empiristico alla conoscenza delle specie ittiche e ancora ad una buona dose di istinto e fortuna, sia l’unica in grado di risolvere un problema matematicamente irrisolvibile.


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