Tecniche

Spinning: andiamoci piano

Di Roberto Granata pubblicato il 28/01/15

Nelle stagioni fredde, specie in quelle con la effe maiuscola, gli esseri viventi a contatto con gli elementi naturali subiscono un rallentamento, più o meno marcato, dei loro ritmi di vita. In taluni casi questo rallentamento è così marcato da sembrare una vera e propria stasi (che tuttavia non è mai totale, altrimenti si chiamerebbe morte), in altri è meno evidente ma, in tutti i casi, è quanto basta ad un essere vivente per espletare le sue funzioni primarie (e quindi a sopravvivere). Se può, quando può, fa di più; se invece qualcosa non glielo permette, cerca di arrangiarsi a vivere il meglio che può. Questo vale anche per i pesci. In un contesto simile, come possiamo pensare di imprimere ai nostri artificiali un’andatura allegra? 

PIANO, SENZA SCATTI

Non è soltanto la velocità in sé che deve essere ridotta, ma tutto il modo di recuperare va, a mio avviso, improntato verso movimenti, sebbene mai uniformi, neanche mai bruschi. Oltre a questa, che reputo una delle prerogative più importanti, vi sono comunque altri problemi che affliggono il recupero nella stagione fredda. Dal contatto col fondo alla permanenza dell’artificiale in un dato punto fin quando basta, fino ad arrivare ad un nostro problema “di pensiero” che, spesso, credo ci distolga dalla realtà e dalla logica. In poche parole d’inverno credo che una buona parte di spinningofili fatichi ad entrare nell’ottica di un recupero come si deve, perché questo presenta movimenti e soprattutto pause totalmente inusuali in altri periodi. Questo è ciò che spesso si vede. Senza nessuna presunzione mi permetto di dirlo perché, ovviamente, ho avuto anch’io i medesimi problemi, fino a quando ho provato a cambiare radicalmente mentalità e modi di recupero invernale, cose che prima avevo “paura” di fare perché ritenevo un po’ irragionevoli. In realtà, col vero freddo era irragionevole ciò che facevo in precedenza. È ciò che dovremmo pensare a volte nella pesca, e più spesso nel mondo: visto che così proprio non va, non sarebbe il caso di provare a fare diversamente?

IL CONTATTO COL FONDO

Con acque fredde è basilare. Per cui:

-    Scegliete un artificiale che mantenga bene il fondo e soprattutto che, tra uno spezzone di recupero e l’altro, lo riguadagni piuttosto facilmente, senza rimanere sospeso o, peggio ancora, in balia dell’eventuale corrente.

-    Pescando sul fondo e lentamente è più facile perdere artificiali, ma non per questo dobbiamo sacrificare quello che è spesso l’unico modo per avere qualche attacco. È meglio perciò pescare con esche da 2euro senza paura, che non con esche da 50euro (che per me sono un’assurdità sempre e comunque) usandole male.

-    Possiamo anche effettuare i primissimi lanci (se sembrano non esserci controindicazioni) con artificiali particolarmente “da battaglia”, per vedere un po’ com’è il fondale in determinati punti che sembrano essere promettenti, e poi passare a quelli migliori.

-    Siccome il giudizio definitivo su questi ultimi dovrebbe essere dato dai pesci, e non da noi, una delle poche cose sagge che possiamo fare è sceglierli secondo le esperienze positive che abbiamo avuto in passato in situazioni il più analoghe possibile.

 IL RECUPERO

Abbiamo visto, anche in altre occasioni, che un recupero lento, con pochi virtuosismi, si impone. Già, ma quanto lento? Anche qui il giudizio finale è dato dai pesci; quando riusciamo a destare il loro interesse, significa che stiamo pescando nel modo giusto ed alla giusta velocità. Il problema è, visto che magari d’estate “smanettiamo” ma riusciamo comunque a catturare qualche pesce, la convinzione che rallentando un pochino stiamo recuperando adagio. Ma spesse volte stiamo andando ancora troppo veloci e, soprattutto, con movimenti di conseguenza poco adeguati alla circostanza e, magari senza accorgercene appieno, stiamo anche pescando in strati d’acqua troppo superficiali. A volte, ricordiamolo, i recuperi vincenti con acque fredde, ed ancora di più se poco profonde, sono quelli dove si arriva a far compiere all’esca quattro o cinque movimenti quasi sul posto solo con la canna, senza recuperare un centimetro di filo. Oppure quelli dove, giocando con la corrente, facciamo muovere molto lentamente e per molto tempo l’artificiale davanti alla tana più promettente dei dintorni. Od ancora quando, dopo una serie di blandi saltelli sul fondo, lasciamo immobile quel piccolo grub per un minuto d’orologio (mentre lo si fa sembra un’eternità ed una follia) e, non appena mettiamo la lenza in tiro, qualche grosso ospite inatteso (visti la stagione, il modo di recupero e ciò che vediamo subito) si dibatte dall’altro capo della lenza. Grossi barbi e carpe sono, specie nelle rogge di piccole dimensioni, clienti abbastanza abituali di queste strane avventure. Alla faccia dello spinning classico…


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