Tecniche

Spinning: dimmi come ti attacchi e ti dirò che pesce sei

Di Roberto Granata pubblicato il 09/01/11

Assistiamo a volte, o almeno si spera, ad attacchi ai nostri artificiali da parte di predatori che, in virtù del loro modo di attacco, riusciamo ad identificare ancor prima di vederli, o addirittura non appena questo si realizza, ma altre volte può succedere di non riuscire a capire quale sia la nostra preda fin quando non la vediamo chiaramente. Tutto questo dipende da molti fattori, che cercheremo di analizzare sia su diverse specie, sia per ogni altro aspetto che può apportare queste differenze, che possono essere evidenti anche ad ogni singola battuta di pesca. Prima di trattare ogni singola specie, vediamo le motivazioni comuni che possono dettare queste differenze di comportamento:
1-    Il motivo dell’attacco.
2-    La stagione.
3-    L’artificiale impiegato.
4-    Le condizioni climatiche e metereologiche.
5-    L’idoneità dell’attrezzatura al momento.
Questi i motivi principali, che andiamo ora ad analizzare nel dettaglio.

IL MOTIVO DELL’ATTACCO
Come detto altre volte e risaputo da molti, di solito il pesce che attacca per fame è portato ad aggredire l’artificiale di turno con più decisione, quindi spesso è più facile distinguere da subito con quale specie avremo a che fare. Dalla botta secca del cavedano, al bloccaggio dell’ artificiale che sembra incagliato, tipico del luccio, all’abboccata un po’ più “soft” del black bass. Capita invece che usando i rotanti, il pesce che di solito attacca perché disturbato possa farlo in modo meno, “canonico”, rendendo a volte più problematica la sua identificazione immediata. Capiremo più facilmente chi sarà il nostro avversario nelle sfuriate successive, e di solito nessun problema, ma se si trattasse di un luccio di svariati chili, attaccato ad un metro da un’albero caduto in acqua, indubbiamente il sapere da subito con chi abbiamo a che fare assume un’importanza notevole, e può significare il forzarlo inizialmente per allontanarlo da una zona pericolosa ed avere partita vinta.
LA STAGIONE
Oltre a selezionarli alcune specie, per cui un pochino già sapremo (con le dovute eccezioni) con quali pesci dovremmo avere a che fare, l’andamento climatico stagionale porta i nostri amici predatori a modificare l’approccio al nostro artificiale, di solito meno irruento nella stagione fredda e più irruento in quella calda. Questo discorso va però preso a parità di altre condizioni. Ad esempio, nel medesimo giorno, lo stesso pesce potrà aggredire in modo diverso l’esca a seconda del motivo dell’attacco, del tipo di acque e di quello che vedremo, pur con le stesse condizioni climatiche. Ma, a parità di condizioni, le abboccate in generale nella stagione fredda potranno essere più “delicate”, contribuendo un pochino a confonderci le idee in un primo momento su che pesce abbiamo attaccato, mentre nella stagione calda, nonostante gli attacchi più irruenti, può essere un po’ più facile individuare in modo più immediato le caratteristiche tipiche di una preda in fase di attacco.

L’ARTIFICIALE IMPIEGATO
Questo discorso si lega al motivo dell’attacco, ma sappiamo anche che lo stesso artificiale viene alcune volte attaccato per un motivo diverso da quello in cui crediamo, a cui era destinato, o a cui comunque viene attaccato nella maggioranza dei casi. Di conseguenza può succedere di usare, ad esempio, un minnow contando di far leva sulla fame vera e propria del pesce e di trovarci invece, in particolari situazioni, di fronte ad attacchi per motivi diversi, con conseguente differenza, di comportamento, specie nelle primissime fasi del combattimento.
Tutto questo è molto difficile da capire all’istante, tuttavia avendo ben chiari gli altri parametri (stagione, tipo di acque, ecc.) si può arrivare a capirci qualcosa di più. Queste variabili, poi, possono anche portarci ad allamare più facilmente specie diverse da quelle che intendevamo insidiare, compresi più spesso di quanto non si creda taluni pesci che predatori non avrebbero dovuto esserlo per niente.

LE CONDIZIONI CLIMATICHE E METEREOLOGICHE
In diversi articoli ho parlato dell’indubbia e sicuramente conosciuta importanza di queste condizioni, e soprattutto dei momenti del loro variare. Vorrei solo aggiungere che penso non esista niente di così importante nella pesca quanto lo sfruttare al meglio i momenti magici derivanti da queste situazioni. Tutte le astuzie e le nozioni tecniche o meno del più bravo pescatore a spinning, se pur importantissime, possono fallire miseramente di fronte ad un momento metereologicamente negativo. Comunque, nel discorso che ora ci interessa, le condizioni migliori (ad esempio l’avvicinarsi di un temporale), provocano sempre attacchi molto più veementi, per cui, pur non conoscendo all’istante la natura del nostro avversario, quanto detto si rivela già una chance a nostro favore che previene slamature, attacchi a vuoto e sorprese varie.
Al contrario, nei momenti meno propizi (alta pressione stabile, livelli molto bassi, o apatia del pesce in generale) spesso le abboccate sono più svogliate e meno irruente, e se ci trovassimo in questa situazione è opportuno regolarci di conseguenza, prestando più attenzione ad ogni minimo tocco per rispondere in tempo con una buona ferrata. Oltre a questo particolare, il conoscere l’ “umore momentaneo” delle nostre prede ci aiuterà certamente anche in altri frangenti, tipo l’artificiale da utilizzare, il modo di recuperarlo e molto altro.

L’IDONEITA’ DELL’ATTREZZATURA AL MOMENTO
Una delle principali caratteristiche della pesca a spinning è il trovarci a diretto contatto col pesce senza doverlo richiamare con espedienti vari, ma andandolo a cercare il più possibile “ad armi pari”, per cui è, a mio avviso, a dir poco meraviglioso il poterci spostare in piena libertà con soltanto una canna in mano ed una scatoletta in tasca. Ma ciò non toglie che a casa ci ritroviamo una serie di canne e di mulinelli, la cui scelta varia a seconda della battuta di pesca che programmiamo.
Il problema è che la battuta programmata a tavolino, anche se è giusto farsi dei preconcetti, fa sì che questi vengano spesso sovvertiti sul luogo di pesca. A parte il discorso scontato sul come comportarci se ci accorgiamo di avere attrezzi sopra o sotto dimensionati in quel momento a livello di lancio o recupero, diventa più importante invece identificare con prontezza quale specie ha attaccato il nostro artificiale, e direi che questo risulta più difficile nel caso di un’attrezzatura “macro”, specialmente se il pesce in questione non è di taglia. Una specie con l’apparato boccale piuttosto fragile in certi punti, come ad esempio un boccalone, potrebbe slamarsi più facilmente. Nel caso opposto, l’attacco di un grosso pesce con un’attrezzatura “light”, aldilà dei comportamenti ovvi che tutti possiamo capire, un consiglio importante, che sovente viene trascurato, è quello di imprimere una ferrata più decisa, specie se l’attrezzo in questione oltre che sottodimensionato è anche “molle” o poco rapido. Ora, esauriti gli argomenti elencati, vediamo le caratteristiche di attacco agli artificiali tipiche di ogni specie, o almeno per i principali pesci dello spinning “classico”.

LUCCIO
Pesce dall’attacco velocissimo. Il classico attacco del luccio, specie se si taglia, dà proprio la sensazione di aver impigliato l’artificiale, finché qualche istante dopo non si percepiscono, le famose “testate”, impresse per cercare di staccare la presunta preda dalla sua dentatura rivolta all’indietro, e (se si trattasse di una vera preda) ingerirla successivamente. Questa l’abboccata classica, che può variare anche se non sovente, a seconda di quanto detto nei punti precedenti, o quando può succedere di convincere all’abbocco un luccio soffermatosi sotto i nostri piedi, che dopo qualche nostro tentativo attacca l’artificiale mosso proprio davanti alla sua testa, quindi senza rincorsa e più debolmente.
Ma non si tratta di una situazione frequente.

 

 

CAVEDANO
Una botta secca che strappa la canna di mano e sembra slogare il polso, ecco l’attacco del cavedano. Un attacco veramente inconfondibile.
Può somigliare come veemenza a quello di certe trote marmorate, ma quest’ultimo, pur essendo più feroce, non arriva a farci percepire una “legnata” così secca. Il problema poi consiste nel fatto che l’attacco, pur essendo così violento, può non andare a buon fine abbastanza spesso.
Con altrettanta velocità il cavedano può risputare l’esca senza rimanere agganciato e senza neppure lasciarci il tempo di ferrarlo.
Le sue “musate” spesso hanno anche lo scopo di scacciare l’artificiale come fosse un intruso (e questo avviene quando non attacca per fame), ed in più contribuiscono a tenere piuttosto alta la percentuale di attacchi a vuoto. In acque ferme, ed anche quando parte a ridotta distanza dall’esca, il tipo di attacco cambia molto poco, a differenza di altri predatori che lo modificano un po’ di più. Non è quindi difficile da riconoscere in ogni fase del combattimento, poiché anche la sua difesa non si rivela delle più entusiasmanti.

TROTA
Pesce dall’attacco brutale, soprattutto se si tratta della marmorata. Le specie “selvatiche” o comunque catturate in condizioni di “non allevamento”, sembrano poi accentuare la brutalità detta prima, nonostante anche le altre non scherzino. L’attacco è abbastanza simile a quello del cavedano (almeno in quel momento), ma basteranno tre secondi della sua difesa entusiasmante a farci capire di che pesce si tratta.
Nonostante quest’attacco abbastanza simile, nei primi istanti successivi l’attacco, la trota tende di più a trattenere l’artificiale, e si muove da subito maggiormente con testate varie, oltre poi, per nostra gioia, a saltare spesso al di fuori dal suo elemento.

BLACK BASS
Se i primi tre pesci presi in esame possono presentare similitudini in fase di abbocco, il black spesso fa l’opposto, ma questo dipende anche da come viene indotto all’attacco. E’ sicuramente, tra quelli presi in esame, il predatore dall’attacco più lento. In acque correnti o durante un recupero un po’ “classico” questa lentezza è meno avvertibile, ma il suo attacco risulta comunque più “soft” e meno brutale, ancor più talvolta nei soggetti di taglia. Ma basta osservare il suo attacco ad artificiali galleggianti fatti vibrare sul posto o penzolati con cura da un rametto per conoscere il massimo di un attacco lento. Molte volte, con soggetti molto attivi, l’attacco è fragoroso a dir poco, ma questo ci può ingannare sulla velocità, che comunque non raggiunge quella degli altri predatori. Ma altrettanto spesso, quando si sofferma a studiare un minnow a galla a pochi centimetri, e dopo moltissimi di questi “studi” si avvicina a passo di formica ed apre finalmente la bocca, a patto che i nostri nervi non siano ceduti prima, assistiamo al rovescio della medaglia di tutti gli esempi fatti finora.

In conclusione, vorrei solo ricordare il maggior scopo di tutto quanto detto, che dev’essere quello di farci perdere meno attacchi ed essere preparati nelle successive fasi del recupero della preda. E buona abboccata, anzi, buon attacco a tutti noi.


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