Tecniche

Tecnica inglese, l’effetto colonna

Di Massimo Zelli pubblicato il 21/05/15

 

La pesca all’inglese è una branca della nostra passione che offre nella sua semplicità una grande vastità di ambiti di utilizzo e varietà tecniche. Potremmo parlare di pesca in lago, in canale, in fiume e in mare, potremmo parlare di corrente lieve, corrente media o acque ferme ...  Potremmo pescare a 20 metri o a 60. Potremmo divagare giorni a raccontare le particolarità di lenze diverse, di pesci diversi e di tecniche nella tecnica ... Ci si potrebbe scrivere un libro in altre parole. Perchè compio questa premessa? Perchè la fotografia della tecnica inglese, che è nell’archivio dell’immaginario collettivo è molto più limitata e per certi versi limitante.  Normalmente l’immagine è  quella di una canna lunga almeno quattro metri e mezzo, flessa al limite dello scoppio sotto il peso di un waggler obeso, che va scagliato con parabole altissime a distanze campali, come se dovessimo dare fuoco di copertura alla prima linea che avanza sotto il tiro del mortaio.  L’unico consuntivo che mi viene spontaneo, ora che le mie canne hanno perso il lucido e scurito il sughero, è che il fascino di questa tecnica  è inizialmente legato alla distanza di pesca notevole ma questo diviene un fatto del tutto secondario quando impariamo tutto quello che gira intorno ad essa. Precisione nella pasturazione, timing nel lancio, semplificazione delle lenze senza comprometterne l’efficacia, possibilità di cattura sia a galla che a fondo che ... durante la discesa: queste sono le cose da saper fare per divertirsi e non guardare questa tecnica da lontano come fosse appannaggio soltanto di pochi virtuosi. Lo ripeto a beneficio anche personale: la tecnica inglese è basata sul saper fare bene una serie di azioni semplici con strumenti semplici. Niente di più , niente di meno.  

Uno degli aspetti più “apparentemente complessi” e per questo meno affrontati nella pesca all’inglese è la pesca con lo scorrevole in calata. Le notizie che si trovano sono molto spesso troppo specifiche e rivolte a campi gara o situazioni,  talmente particolari, che estrarne una regola generale è da mal di testa. Mi viene in mente il campo gara di Fiastra, dove cavedani, professori ordinari di bastardaggine all’università della pesca, mettono in crisi montature, finali e nervi dei pescatori. Mi viene in mente la pesca alla spigola dove si passa dal rude sparacchiare un pasturatore galleggiante  che fa tutto solo fino alla pesca a galla in porto da fare a fionda su cristal waggler da un grammo e mezzo con finali del 7. Situazioni estreme che ho vissuto e che in tutta franchezza sono come voler mangiare aragosta a pranzo e cena... dopo un po’ stufa e ci si perde il tripudio di trigliceridi e sapori di una matriciana fatta come dio comanda.

Fisheries

Compio un inciso prima di affrontare il lato più squisitamente tecnico della faccenda: è  un bene che il fenomeno “fisheries” prenda piede anche in Italia come ha fatto oramai da anni in Inghilterra. Questo consente lo sviluppo di un settore ulteriore della pesca, anche economico e commerciale,  ben specifico e delineato che non va a scapito della pesca in ambienti naturali, semmai in certi casi ne diventa complementare. Generalmente chi pesca in fiume o in lago cerca determinate sensazioni e determinati pesci in un ambiente selvaggio, con un certo numero di difficoltà tecniche a cui far fronte. Questi pescatori in genere affrontano volentieri trasferte ad ampio raggio e possono spendere tempo in questa attività.  Chi invece per mancanza di tempo o per comodità ripiega sul laghetto corrisponde ad un altro profilo, più pratico e se vogliamo più consumistico. Mediamente parliamo di un pescatore che vuole salire in macchina, fare massimo 10 Km, prendere pesci belli e possibilmente in buon numero, anche se avesse solo un paio d’ore da regalare alla sponda. Questo vorrebbe possibilmente farlo in un comprensorio dove l’intervento umano ha la mano leggera e dove, pur avendo a disposizione il confort di un bar-ristorante,  non deve accettare di pescare in una vasca da bagno piena di carpe senza senza labbra, mal pinnate e malaticce. Questo è in due parole il fenomeno fisheries: non credo , come molti profetizzano, che possa essere il futuro della pesca in Italia. Credo tuttavia che, sia al livello ricreativo, sia al livello agonistico , si originerà una branca della alieutica tutta Italiana piuttosto specializzata e popolata che forse, avvicinerà alla pesca qualche nuova leva.

Tecnica

Innanzitutto occorre contestualizzare: dove si può praticare la pesca in calata e perchè ?

Parleremo di carpe carassi e breme, pesci piuttosto comuni e oramai diffusi in molte delle “fisheries” che cominciano a sorgere, ben gestite, nella penisola. Il fondale del bacino che ho deciso di affrontare oggi è sui 5 metri. Il pesce quando la temperatura diventa più mite può decidere di cibarsi sul fondo oppure a mezz’acqua se pasturato in un certo modo. Questo accade più di frequente in posti dove c’è un aprofondità superiore a 3 metri.  Il meccanismo che sottende al fatto di sollevare il pesce dal fondo è in parte da ricercare nelle condizioni climatiche che favoriscono questo comportamento, in altra parte, ed in maniera più consistente nell’ “effetto colonna” che la pastura ed il bigattino incollato creano. L’effetto che definiamo “colonna” si genera nel momento in cui la pasturazione, sebbene abbondante e precisa genera una serie di punti sul fondo che non sono sufficienti a soddisfare le esigenze di un branco in termini alimentari. Non in senso strettamente quantitativo ma dal punto di vista di accessibilità del cibo ai membri stessi del branco. Facciamo un esempio pratico: se lanciamo una palla che può essere sufficiente a 30 pesci ma intorno alla palla, alternativamente, ne avremo non più di 5 o 6, si genererà competizione alimentare. Messo alle strette, il pesce comincerà ad occupare la terza dimensione a lui disponibile, quella dell’altezza, cercando di correre incontro a piccole particelle di cibo che si staccheranno dalla pastura o dal bigattino incollato. Talvolta aggredirà in caduta la palla intera di sfarinato o bigattino in colla.

La conoscenza dell’ “effetto colonna” ci permette di settare la lenza andando a cercare pesce laddove ne troveremo di più e ... più arrabbiato!

Per quanto riguarda la lenza, non occorre cimentarsi in schemi plurispallinati. Una geometria lunga 2 metri e quaranta in totale con un bulk consistente ed un paio di drop shot di buona misura fanno più che al caso. L’aggressività dei pesci, in una condizione del genere, è tale da orientare la scelta della lenza a qualcosa che segnali bene la mangiata piuttosto che ad una discesa morbida ed orizontale. Utilizzo in genere bocconi voluminosi, 4-5 bigattini su un amo del 16 a becco d’aquila (tipo Gamakatsu 6314). Quando la pesca raggiunge momenti di stanca e la mangianza rallenta provo con esche più da fondo: un paio di chicchi di mais fermati da un bigattino colorato o, in casi abbastanza limite , quando il carassio la fa da padrone, vermi corti e vivaci che favoriscono una mangiata più franca del curioso e quanto mai timido ciprinide.

La tecnica di pesca è piuttosto razionalizzata in pochi passaggi. Si lancia a monte del punto di pesca circa 6-7 metri, si affonda il filo, si lancia una palla di pastura (o incollato) e si lascia che la lenza cominci il suo lento scorrere verso il fondo.  Se tutto è fatto correttamente dovreste impiegare circa 40 secondi ad andare sul fondo con l’esca. Per sicurezza lascio sostare  la montatura in pesca sulla pastura circa 2 minuti per eventualmente capire se c’è attività sul fondo. Al termine di questi recupero e rilancio. Generalmente la mangiata avviene nei primi 40 secondi di discesa (per 5 metri) . E’ importante settare la profondità in modo che l’appoggio non superi i 10 cm, se avessimo un eccesso di fondo e le mangiate avvenissero nell’ultimo tratto , difficilmente riusciremmo ad arrivare in tempo. La distensione della lenza avviene completamente solo dopo che il bulk è giunto a fine corsa, ossia quando il fermo dello scorrevole è in battuta sull’attacco. Questo è il motivo per il quale, lasciando che la lenza prenda il fondale ad archetto chiuso, impieghiamo circa 40 secondi. Se lasciassimo affondare il bulk ad archetto aperto impiegheremmo meno di metà , ma non avremmo effetto catturante durante la discesa.

La pasturazione è piuttosto continua. Ad ogni lancio diamo una palla di pastura oppure di bigattino, il tiro deve essere radente, a spaccare sul galleggiante . In questo modo creiamo una pioggia continua che riesce a tenere alimentata l’area ed il pesce staccato dal fondo. Dovete lasciare impattare la palla, sia di bigattino, sia di pastura, 5-6  metri prima del galleggiante per fare in modo che si spacchi bene e che la maggior parte del richiamo finisca sulla traiettoria dell’esca. Se tirassimo direttamente sul galleggiante otterremo il superamento del punto di pesca con il richiamo... con ovvie e negative conseguenze.

Conclusioni

Abbiamo parlato di una tecnica di base applicabile da chi ha buona dimestichezza con la canna inglese. Ci vedremo ancora parlando dei dettagli contano .... Stay Tuned!


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