Racconti

Tinche a galleggiante in acque ferme

Di Salvatore Soreca pubblicato il 19/03/13

La Tinca (Tinca tinca, Linneo 1758, cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Tinca_tinca) è un ciprinide limnofilo, pertanto predilige intrattenersi nelle acque ferme o in lento movimento delle profonde lanche fluviali, degli sbarramenti artificiali e in generali in tutti i laghi, stagni e invasi di pianura e collina, le cui acque non scendano al di sotto dei 10°C se non per un breve periodo dell'anno, che coincide con la fase di letargo. La si trova sovente in prossimità delle rive erbose e dei canneti nei mesi primaverili e in prossimità del fondale per il resto dell'anno. La tinca è un pesce difficile da pescare, sia a causa delle sue abitudini schive e sospettose, che soprattutto per via della diminuzione di esemplari a cui si è assistito durante il ventesimo secolo un po' in tutte le acque della penisola e che fortunatamente è stata arginata in tempo, al punto che in molti bacini lacustri i ripopolamenti hanno riportato le comunità ittiche a valori soddisfacenti e nei fiumi la si ritrovi spesso in prossimità delle foci e dei tratti fortemente vegetati.

Per esperienza personale, posso dire che non mi è mai capitato di eseguire o assistere ad una cattura di tinche in acque correnti: le mie catture sono avvenute in bacini lacustri di media montagna (Lago del Matese in Campania) e collina (Lago Mignatta in Val Fortore) e nei tratti terminali dei fiumi appenninici quasi esclusivamente durante la grande calura estiva, cioè luglio-agosto e inizio settembre.

Propongo qui una tecnica tradizionale molto usata dai pescatori di tinca tra i quali amo collocarmi. Il periodo migliore per effettuarla va dalla fine di maggio alla metà di settembre nei laghi e quasi esclusivamente tra agosto e settembre nei fiumi, quando la portata è così esigua che le acque sono quasi del tutto ferme. Gli orari preferibili sono quelli della luce soffusa, tra le cinque e le nove la mattina e tra le diciassette e le ventuno la sera. Di notte fondamentalmente è vietato pescare con deroga per i pescatori di anguille, mentre nelle ore centrali del giorno il caldo eccessivo gioca a sfavore dell'attività dei pesci. Le condizioni meteorologiche migliori, è inutile dirlo, sono quelle di cielo mediamente coperto che minaccia l'inizio di un temporale. Purtroppo sono anche le più pericolose per il pescatore, quindi è bene non esporsi a inutili rischi. Da evitare secondo me i giorni di eccessiva alta pressione con cielo azzurro, poiché la tinca non si lascia quasi pescare in quelle condizioni; anche la fase di pioggia e la presenza di forte vento in genere non sono favorevoli a buone pescate, mentre è consigliabile tentare il tardo pomeriggio ad alcune ore di distanza da un temporale avvenuto: molti pesci entrano in attività alla ricerca di cibo con il fondale mosso dal maltempo.

Passiamo alla descrizione della tecnica e dell'attrezzatura da impiegare. Come canna va bene una bolognese robusta, sui sei metri di lunghezza, con casting 40-80 g, su cui montiamo un mulinello a bobina fissa non troppo delicato, con rapporto di recupero intermedio, caricato con un buon monofilo dello 0.22 opaco. Trattandosi di una pesca sensibile, il galleggiante deve essere scelto con la massima perizia. La canna che utilizziamo, abbinata ad un mulinello efficace, ci permette di raggiungere distanze ragguardevoli anche con montature leggere, pertanto il mio consiglio è di impiegare un galleggiante all'italiana a penna di peso compreso tra 1 e 3 grammi, in base alla distanza che vogliamo sondare, ma teniamo presente che con questa tecnica non possiamo avventurarci al centro dei grandi specchi d'acqua, quindi pescare a più di 25-30 metri da riva non è praticamente possibile e si deve optare per altre soluzioni, come la pesca a fondo o all'inglese.  Fissiamo il galleggiante alla lenza a circa un metro dall'estremità, dopodiché zavorriamo con tre-cinque piombini sferici concentrati nella parte bassa, distanziati circa 3 cm tra di loro e dalla girella con moschettone. La zavorra deve essere pari a 3/4 del peso di galleggiamento (1,5 g per un galleggiante da 2 g). Al moschettone leghiamo un terminale composto da un monofilo trasparente dello 0,16 lungo 30 cm a cui è montato un amo a gambo lungo del n°8-12.

Le esche che si possono utilizzare sono svariate: bigattini (su amo piccolo, in quel caso a gambo corto), lombrico innestato sia a calzino che a ciuffo, 3 chicchi di mais bianco, cubetto di patata lessata 5 minuti, chicchi di grano, farro o orzo precotti a casa, lumaca viva, polenta a cubetti. Sarebbe buona consuetudine pasturare almeno per i 3 giorni precedenti in maniera moderata.

L'azione di pesca è abbastanza semplice: dopo aver pasturato per 15-20 minuti il luogo di pesca (a mano se sottoriva, con la fionda se a più di 15 metri da riva circa), armiamo l'amo con l'esca: lombrico in primavera e quando il tempo è umido o piovoso; chicchi di cereali, polenta durante l'afa estiva; patata, bigattini, lumache sempre. Carichiamo la canna e lanciamo, quindi stoppiamo la lenza prima che tocchi l'acqua. Certi autori consigliano di far cadere la lenza parallela e non perpendicolare alla corrente se siamo a fiume. Il galleggiante entrerà subito in pesca. Ora abbiamo a disposizione due alternative. Poiché la tinca si attiva e mangia solo in condizioni statiche, se ci troviamo in presenza di acque completamente ferme, possiamo dare un fondo pari alla profondità dell'acqua, di modo che il galleggiante sia in pesca e segnali con la massima sensibilità. Se la corrente c'è perché siamo a fiume ed è pari anche a qualche centimetro al secondo, questa soluzione non va bene, la lenza andrebbe in passata e non pescheremmo più le tinche ma altri pesci, probabilmente carassi, scardole e barbi e con molta fortuna le carpe. In questo caso il fondo deve essere aumentato fino a quando l'ultimo dei piombini non tocchi il fondale. Possiamo aiutarci con la sonda o per approssimazioni successive. Il fondo sarà ottimale quando il galleggiante andra in pesca, si sposterà di circa un mezzo metro, per poi rallentare e porsi obliquo con l'asta rivolta verso valle; a quel punto saremo in pesca con l'esca ferma sul fondo.

Se il luogo è popolato da tinche, informazione che andrebbe sondata prima di avventurarsi, queste probabilmente si faranno vive al richiamo. L'importante è avere pazienza, si tratta di catture rare ed emozionanti. Quando si ha a che fare con una tinca, generalmente il consiglio che si dà è di non ferrare subito e di lasciare al pesce tutto il tempo necessario a saggiare l'esca, tempo che può protrarsi per decine di minuti con un continuo sali e scendi del galleggiante, fino all'affondamento deciso e conclusivo, a cui deve seguire una ferrata all'indietro lunga e sostenuta, ma non violenta. Questa è la regola, ma ovviamente ci sono eccezioni: capita di avere una tinca all'amo senza che questa dia segnali, un po' come fa il pesce gatto, per cui ci si ritrova a recuperare una lenza già ferrata, tuttavia è raro. Più frequentemente, le piccole tinche del sottoriva tendono ad abboccare in modo grossolano, con ambi movimenti del galleggiante, che quali sempre quando è adagiato parte di lato per vari centimetri, si ferma, saltella, cambia direzione. Ma la sequenza classica, a cui corrisponde spesso una tinca dal mezzo chilo in sù, si contraddistingue da un lieve affondamento obliquo o verticale del galleggiante che però non scompare del tutto, seguito da una risalita leggermente più veloce; questo andare su e giù si ripete per 3 o 4 volte nel giro di 10 minuti e non dovrebbe essere assolutamente interrotto da parte del pescatore, perché ferrare in questa fase comporta la mancata abboccata e ovviamente la fuga dei pesci insospettiti. L'abboccata vera è decisa, rivolta verso il basso e se il pesce è di discreta stazza si guadagnerà rapidamente dei metri di lenza, pertanto è bene avere la frizione non del tutto chiusa.

La fase di recupero e salpaggio è abbastanza tranquilla, fatta eccezione per gli ostacoli del fondale e degli anfratti verso cui la tinca tende naturalmente a scappare; questo deve essere evitato, tenendo sempre la lenza bene in tiro.

Per salpare i pesci è consigliabile l'uso di un capiente guadino a maglia rettangolare non troppo fitta; una volta eseguita la slamatura, se non ci sono inconvenienti dovuti al recupero o alla trafittura dell'amo, il pesce può essere immediatamente rilasciato nel suo habitat. Si tratta di un gesto di civiltà nei confronti di una specie ittica da salvaguardare. Per il ricordo può bastare una bella fotografia...

 

 


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