Racconti

Tre racconti di Damiano

Di Damiano Tommasin pubblicato il 27/05/15

Down to "the river".
Attirare il pesce  "in pastura" non è cosa semplice, la preventiva pasturazione deve essere abbondante, pesante e a lenta disgregazione. Di solito mi avvalgo di retine biodegradabili appesantite da sassi di fiume trovati in loco, onde evitare il rotolamento delle "palle di sfarinato" verso valle, sottoposte alla costante spinta della corrente, con la spiacevole conseguenza di allontanare il pesce dalla nostra linea ideale di pesca.
Dopo aver sondato il fondo con diverse "passate a vuoto", senza ausilio del terminale, con i soli   piombi a far da sonda a dragare il fondale, inizio a pescare.
Opto per un galleggiante classico "a goccia" da 3 grammi con astina rossa ben visibile, incurante del fatto che la corrente richiederebbe un paio di grammi in più, un buon 0,14 in bobina, 35/40 cm circa di terminale dello 0,12; come esca amo del 18 con 2 bachini bianchi e uno rosso appena appuntati.  La piombatura è la più semplice che esista; torpille da 2 grammi posta a 50 cm dalla mini girella di congiunzione trave/terminale  e il rimanente grammo di taratura suddiviso da cinque piccoli pallini, ubicati vicinissimo alla girella, strettamente attaccati uno con l'altro.
Un suggerimento rubato agli esperti di "Pianeta Pesca"; dove spesso e volentieri trovo lo spunto per risolvere più di qualche grattacapo.
I consigli di esperti fanno sempre piacere, a chi come me non è mai stato un agonista, ma un semplice pescatore per diletto ed "autodidatta".    
Non siamo nè in Mincio e nè in Sile, contesti diversi in cui acque chiare popolate da pesci smaliziati (che sanno leggere e scrivere) ti costringono a far uso di monofili capillari e lunghe "spallinate", nel mio fiume i furbi cavedani sono ormai diventati merce rara, per non parlar delle savette, dei barbi nostrani (barbus plebejus) e dei pighi: oramai scomparsi. Qui bisogna usare le maniere forti, i pesci da insidiare provengono da lontano, dall'Europa nordorientale, non parlano la  nostra lingua, tanto meno il dialetto veneto, sono massicci e muscolosi e non badano certo al sottile; si chiamano barbi europei (barbus barbus) e qui raggiungono taglie considerevoli, come nel Po.
Sono consapevole che un assetto da "barbel fishing" sarebbe più idoneo e  produttivo, ma la leggerezza è la mia filosofia di pesca.
La sportività che si prova nel combattere un bel pesce, con sottili nylon e con l'ausilio di canne leggere non ha paragoni; ci son però delle controindicazioni...più di qualche rottura dei terminali.
L'adrenalina sale, il cuore aumenta i battiti, le mani iniziano a sudare, sintomi inequivocabili della mia alta tensione, ora la simbiosi con il fiume è totale. Mi sento parte integrante dello stesso, le "passate" si susseguono una dopo l'altra, ma il galleggiante non affonda; passano i minuti e la mia sicurezza si tramuta in sfiducia, nella mia paranoica mente si alternano dubbi e perplessità, forse ho sbagliato approccio, forse ho sbagliato  pasturazione, forse ho sbagliato giornata, forse sono io sbagliato, che continuo testardamente a perdere ore di sonno, ore utili da dedicare alla famiglia, al mio lavoro, nella vana speranza di veder qualche grammo di "balsa collorata" sprofondare negli abissi di questo maledetto fiume.
Sto meditando di prendere in mano la "canna da feeder" e cambiare totalmente strategia di pesca, quando un branco di grossi cefali in fase di risalita, si ferma a pascolare nell' immediato sottoriva proprio  dinanzi ai miei piedi, incuranti della mia presenza; mi verrebbe la tentazione di mettergli  l'insidia davanti al muso, ma so già che è tempo sprecato. Questi instancabili nuotatori  amano alimentarsi solo pochi minuti nell'arco di una giornata e, quando decidono di farlo, spariscono nei fondali del fiume.
Con il morale sotto i tacchi e con i muggini che mi deridono, in lontananza odo il grande    campanile che mi intona le otto in punto, segno che la prima ora e mezza se ne è già andata.   
Ho cambiato montatura, allungato e accorciato la corta spallinata 3/4 volte senza ottenere esiti positivi e, come se non bastasse, arriva anche l'immancabile curiosone di giornata a tempestarmi di domande assurde, tipo:
 "Con cossa peschito?"
 "Mi pescaria in maniera difarente!"
 "Non te ve' mina a lavorar stamattina?" (ecco questa  me l'aspettavo, è la peggiore delle domande che poteva farmi).
 Avrei certamenete preferito colloquiare con una giovane atletica signorina intenta a fare jogging, invece di questo vecchio sapientone in vena di inutili consigli, la sua ugola emette gli stessi decibel di un altoparlante da stadio, nemmeno Robert Plant (Led Zeppelin),  all'apice della sua carriera sarebbe stato capace di emulare una simile live performance.
Con monosillabi appropriati cerco di far capir al rocker paesano, che non siamo a Woodstock,  
ma bensì ad una silenziosa solitaria battuta di pesca e che la sua bici appoggiata alla scarpata lo attende per il proseguo della scampagnata.
Demotivato, lancio ancora un paio di "palle di pastura" farcite di larve, mais e lombrichi, sperando che i miei amici squamati non siano fuggiti a chilometri di distanza quando, finalmente, il tappo rallenta la sua corsa e  sparisce improvvisamente sott'acqua. Istintivamente alzo la canna, la quale si flette paurosamente, la frizione inizia a "cantare", sottoposta a furiose ripartenze che in un primo momento  mi ricordano le testate della regina del fiume, ma con il passare dei secondi inizio a rendermi conto che lo scatenato animale invece di imboccare la strada del sottoriva in cerca di difese, prende il largo controcorrente, azione tipica dei grossi barbi alloctoni.
Dopo diversi minuti di lotta riesco a scorgere a pelo d'acqua, vicino al mio guadino, la longilinea sagoma argentata del baffuto ciprinide oramai esausto.  
Nelle due ore che seguono la mia corta sessione piscatoria, riuscirò mettere nella nassa, per poi liberarli, altri 4 barbi europei, 3 grosse abramidi e un tenace aspio.
I continui sms della consorte purtroppo mi riportano  alla realtà, il campanile... anzi la campanella delle undici suona, l'esame sta per finire. Non c'è più tempo, bisogna consegnare i compiti.

     
Sand Creek.
Agosto 1980, dodici anni. Devo capire perchè, puntualmente, ogni estate si ripetono sempre le stesse scene.
Già alle prime luci dell'alba, decine di auto targate MO, BO, FE e RE si trovano  parcheggiate vicino casa mia, presso le sponde del fiume, con dei piccoli sacchetti di tela yuta attaccati a penzolone nello specchietto retrovisore, riempiti di non so cosa.
Perchè mai questi pescatori con quello strano accento avranno fatto tutti questi chilometri per venire fino qua, in questo sperduto angolo della bassa veneta?
Capii così, che il grande fiume catturava non solo la mia curiosità, ma anche quella di gente  venuta da lontano.
Per prima cosa si doveva eludere i controlli, nonché le insistenti domande di mia madre che, mai al mondo, mi avrebbe dato il permesso di scender giù nel fiume; peggio ancora sarebbe capitato se io assieme ai miei fratelli, fossimo stati "beccati" da mio padre a pescar o peggio ancora a nuotare in fiume, come talvolta accadeva.
Troppo pericoloso per dei ragazzini, troppe tragedie sono accadute negli anni.
L'ultima, in ordine cronologico risale al 12 agosto del 2013, quando tre adolescenti cavarzerani di origine magrebina sono tragicamente scomparsi,  nel tentativo di cercare refrigerio nelle fresche acque del fiume presso la spiaggetta che emergeva  nelle vicinanze  dell'oasi naturalistica denominata "Le Marice" a circa mille metri dal centro del paese. In questo sito, fino a circa un ventennio fa, veniva estratta la sabbia dal letto del fiume, con conseguenza della formazione di una buca molto ampia.
Proprio il giorno prima mi trovavo su questa spiaggetta intento a pescare a "ledgering", chissà se fossi stato lì quel tragico giorno, forse la disgrazia non sarebbe accaduta.
Per giorni ne rimasi profondamente scosso, mi sembrava di sentire sempre le loro voci in cerca d'aiuto.
Leggende paesane raccontano di profondità abissali. Ho sentito parlare anche di 10/12 metri di profondità, di mulinelli a mò triangolo delle Bermude; ci mancano solo i mostri marini (anzi fluviali) e poi siamo al completo.
La verità è che, come risulta dalle mie misurazioni fatte nel tempo, avvalendomi di una potente telescopica munita di grossi galleggianti scorrevoli, il fondale si aggira attorno ai 6 metri di profondita', il che lo rende un ottimo "spot", dove la pastura si deposita sui fondali di questa buca, senza disperdersi nelle correnti del fiume, con i vantaggi che possiamo immaginare.
Quell'estate di 34 anni fa decisi, incurante dei pericoli, di iniziare la mia avventura in fiume. La situazione si prospettava molto  complicata, non c'era più lo zio ad aiutarmi, lui amava pescare in piccoli canali dalle placide acque, dovevo rubare i segreti ai "bolognesi", così  chiamavamo noi a prescindere dalla provincia emiliano/romagnola di provenienza, quei pescatori forestieri.
Questi signori calzavano lunghi stivaloni verdi, gettavano chili e chili di pastura e di bigattini in acqua, e  maneggiavano  lunghe e colorate canne telescopiche corredate da piccoli mulinelli.
Cose mai viste prima. Qui da noi la maggior parte dei pescatori  pescava ancora con le canne  di bambù.
Col passar dei giorni divenni quasi una mascotte per quei simpatici pescatori emiliani, addirittura uno di loro mi regalò una bolognese Mitchell da 5 metri con tanto di mulinello Abu Garcia, due cimeli "vintage" che ancora oggi conservo.
Imparai, grazie ai loro consigli, come insidiare i cavedani con i bigattini e, in assenza di questi, con le bacche di sambuco selvatico raccolte lungo le rive del fiume...eh sì... altri tempi.


Piccola città.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quella lontana estate del 1980 e tante cose sono cambiate.
 Il fiume non è più quello di allora, anche i suoi abitanti pinnuti purtroppo son cambiati. Sono stati anni in cui l'egoismo dell'uomo e la sua incuria hanno picchiato duro, non sono un ittiologo ma non ci vuole tanto a capire che scarichi industriali e agricoli, escavazioni insensate della sabbia dal suo alveo, immissioni senza criterio di specie alloctone (vedi carassio negli anni '80, siluro negli anni '90, il lucioperca la brema e l'aspio negli ultimi anni) hanno decimato quasi del tutto le popolazioni ittiche originarie. Oltre alle nutrie e agli aironi, ci mancavano solo i cormorani. Questi uccelli ultimamente stanno infestando tutti i corsi d'acqua, facendo incetta di avannoti e  piccoli pesci, cosicché la biomassa del fiume è cambiata, i ciprinidi di un tempo sono ormai quasi del tutto scomparsi, da una decina di anni è sparita anche la mitica anguilla dell'Adige una volta assai numerosa.        
 Più volte al giorno, oltre 17000 compaesani attraversano i suoi ponti, senza accorgersi di lui; se ne accorgono solo quando si arrabbia e si gonfia e  si scurisce...ecco, allora mette paura, tutti lo guardano con rispetto e timore, poi ritorna nel dimenticatoio quando la piena è passata, lasciando soltanto i suoi imponenti salici che, come severi guardiani si specchiano vanitosi nelle sue fresche acque, vegliando sù di lui.
Ripensando a tutti quei pescatori di un tempo, oggi mi assale una forte nostalgia, nel tratto di fiume dove di solito pesco, da Cavarzere a Cavanella d'Adige (sto parlando di un tratto lungo  più di 15 chilometri); a pescare nel mio fiume siamo rimasti veramente in pochi, anzi penso di esser rimasto uno degli ultimi superstiti della "pesca a passata", gli altri miei "colleghi" sono dei pensionati dediti alla tradizionale pesca a fondo nella ricerca di prede come sandre, anguille e  cefali.     
Non scorderò mai quei giorni nemmeno, le lezioni di vita che ricevetti dallo zio Rino, il quale mi aveva insegnato che, nel bene o nel male, le cose mutano sempre, sta a noi capirne i cambiamenti e fare l'unica cosa possibile cioè...adattarsi.
Mi sembra sia così anche nella vita, non solo nella pesca. 


FacebookTwitterGoogle+Invia per email

Collabora


Ti potrebbero interessare anche: