Tecniche

Una Politica per la pesca

Di Davide Andreoli pubblicato il 03/04/11

Considerazioni, analisi, prospettive e riflessioni a ruota libera, sui rapporti tra mondo della politica e mondo della pesca

PREMESSA: UN POMERIGGIO D'ESTATE...

Un pomeriggio d'estate di molti anni fa, quando ero ragazzo, nei primi anni '80, stavo pescando con mio papà in un laghetto a pagamento della mia zona. Il nostro vicino di pesca, un signore in calzoncini, canottiera, ciabatte e tanti capelli grigi nonostante un viso ancora giovanile, ad un certo punto, rispondendo ad un'abboccata, invece di una carpetta o un pescegatto, si ritrovò attaccato all'amo un persico sole. Cercò di staccarlo ma l'amo, come spesso succede con questi pesci, si era conficcato talmente in fondo che rischiava di rompere la lenza. Mi avvicinai educatamente e gli chiesi se voleva che glielo staccassi io, visto che, dopo averne pescati a centinaia, avevo elaborato un mio personale metodo di slamaggio usando semplicemente un bastoncino di legno. In pochi secondi tolsi l'amo e il signore, molto educatamente, mi ringrazio e mi invitò a prendere un gelato al chioschetto della cava. Accettai, ovviamente, ma prima di andare gli chiesi cosa ne voleva fare del pesce che, anche se un po' sanguinante, era ancora vivo e vegeto. Si guardò intorno e, dietro di noi, a circa venti metri, in mezzo al pioppeto che con la sua ombra rendeva bellissimo quel laghetto, scorse un fossetto: "Lo buttiamo là dentro, se c'è un po' d'acqua." Quando arrivammo al piccolo corso d'acqua, saltando ciuffi di ortiche ed altre erbe non troppo raccomandabili, ci trovammo davanti uno dei classici fossi della bassa, quelli dove in mezzo metro d'acqua prosperavano scardole, pescigatto, tinche, bisce e rane! Però, c'era un però: l'acqua non era torbida, era nera e densa da sembrare petrolio, si muoveva lentamente trasportando chiazze di schiuma gialla. L'odore era pregnante e indefinibile. Il persico sole alla fine finì nella nassa con i pescigatto mentre al chioschetto, il signore chiese al barista di dove venisse quel fosso e perchè era così sporco. Gli fu risposto che era la condotta di scolo del depuratore del paese. Il signore ci rimase molto male, dicendo che non pensava ci fosse una situazione del genere e che sarebbe intervenuto quanto prima. Quando tornammo al laghetto mio papà mio papà mi disse: "Ma lo sai chi è quello a cui hai slamato il pesce? É il sindaco del paese." Nel giro di qualche settimana, grazie ad una manutenzione straordinaria del depuratore e all'aggiunta di un paio di chiuse intermedie per permettere un deflusso più veloce, lo scolo smise di essere una fogna e tornò ad essere un fosso, con tanto di scardole e rane in bella evidenza. Se il sindaco non fosse stato un pescatore, probabilmente quella situazione non sarebbe stata sanata, o comunque non in tempi brevi.

LA MORALE

Attenzione alla morale della storiella perchè può essere letta sotto più punti di vista: il primo messaggio, ovvio, è che se il sindaco non fosse stato un pescatore il depuratore sarebbe rimasto senza manutenzione, e quindi, grazie a questa sua passione, è intervenuto a vantaggio dell'ambiente e, di riflesso, di tutta la comunità. Ma se guardiamo un po' più a fondo quel sindaco perchè non era a conoscenza delle condizioni del depuratore, considerando che aveva la responsabilità del patrimonio pubblico? In fin dei conti, la chiave di volta di tutto, è stato il persico sole, una coincidenza insomma, quindi il sindaco era comunque inadempiente rispetto al suo mandato. Ultima considerazione: il potere. Se al posto del sindaco ci fosse stato un pescatore comune, senza nessuna carica, al massimo avrebbe potuto fare presente la cosa, ma non aveva nessuna possibilità di intervento diretto. Morale complessa sintetizzabile in un assunto: per risolvere un problema bisogna conoscerlo (competenza), avere la volontà di affrontarlo (progettualità), avere i mezzi per intervenire (potere).

POLITICI E AMMINISTRATORI

L'immagine del mondo politico che ci viene dai media, forzata a dovere dagli stessi protagonisti, è quella di persone che cercano di accattivarsi voti per raggiungere o detenere il potere. Si parla quasi esclusivamente di politici, intesi come personaggi pubblici, e non di amministratori, ovvero soggetti pubblici che dovrebbero (condizionale d'obbligo) gestire lo svolgimento equilibrato di tutti gli aspetti della vita di una comunità vasta quanto una nazione. Un buon amministratore, a prescindere dalla parte politica che rappresenta, deve rispondere ai requisiti della morale di cui sopra: essere competente, lungimirante e disporre del potere necessario per trasformare i progetti in realtà. Per questo il politico, nell'accezione comune, ha sostituito l'amministratore. Intendiamoci: politica e amministrazione non sono in effetti la stessa cosa, perchè la prima dovrebbe direzionare l'attività amministrativa nel senso di un insieme di valori che fanno da discriminante per le scelte, la seconda dovrebbe invece determinare, in concreto, l'attuazione tecnica delle disposizioni politiche. Ma se un politico non ha la competenza di un settore, come fa a dare una direzione? Se un politico non ha lungimiranza, perchè il suo è un interesse personale (o di categoria) ed è del tutto immediato, come fa ad essere lungimirante, a pianificare il futuro? E, infine, se l'azione di un politico non è diretta, ma insita in una complessa rete di interessi ed equilibri, se non può decidere direttamente delle sue pertinenze, che potere ha di agire sulle cose?

IL GIROTONDO DEI MINISTRI

Il ministero di riferimento per la pesca è quello delle "Politiche Agricole, Alimentari e Forestali" quello che, per dirla tecnicamente, gestisce il settore primario (forse giova ricordare che il settore primario è riconducibile alle attività agricole e del territorio, il secondario all'industria ed attività manufatturiere, il terziario ai servizi e ai trasporti). Dal 2008 ad oggi, si sono avvicendati 3 ministri: Luca Zaia, Giancarlo Galan e Francesco Saverio Romano. Logica vorrebbe che abbiano avuto il mandato per questioni di competenza, in quanto aventi la giusta formazione ed esperienza per occuparsi del settore primario. In realtà, a mio avviso, non è esattamente così.

Luca Zaia, trevigiano, è quello con il curriculum più aderente al mandato: laureato in "Scienze della produzione animale", ha iniziato la sua carriera politica proprio come assessore all'agricoltura nel suo comune, poi il salto alla presidenza della Provincia di Treviso e, quindi, il passaggio al ministero. Una nomina assolutamente non scandalosa, anche se mi permetto di affermare, a titolo del tutto personale, che nella coalizione di governo c'erano figure più adatte. Nei due anni di mandato, non risulta che Zaia si sia mai interessato alla pesca sportiva. Lo scorso anno, Zaia si candida per la presidenza della regione Veneto, scalzando dal trono Galan che lo deteneva da ben 15 anni. La questione crea una spaccatura tra la Lega Nord e il PDL, partiti di appartenenza dei due contendenti, che viene sanata con un classico compromesso all'italiana: Zaia farà il "doge" del Veneto girando però a Galan il suo ministero. Nel marzo del 2010, quindi, si insedia il nuovo ministro. Galan, padovano, ha una formazione economica ed entra in politica da direttore generale di "Publitalia 80" società del gruppo Fininvest. In pratica un ragioniere (peraltro ottimo nel suo campo) che deve gestire il ministero delle risorse agricole. Se modalità e competenza del mandato si commentano da sole, bisogna dire che, come il sindaco di cui sopra, Galan è un pescatore e dimostra una certa attenzione al nostro mondo e forse potrebbe intervenire concretamente come sembra da qualche segnale, mandato, nemmeno tanto velatamente, alle rappresentanze della pesca sportiva italiana, nonchè con la presenza all'apertura del Fishing Show di Bologna. Un ministro pescatore insomma, che apre spiragli di dialogo tra il mondo della pesca e i vertici istituzionali. Galan però dura in carica un solo anno perchè, nel frattempo, la stabilità del governo viene messa in crisi da vari fattori e Berlusconi è costretto al "rimpasto", termine sgradevole quanto il suo significato: per mantenere il potere si cambiano i ministri, i sottosegretari e una serie di altre sedie più o meno "pesanti", in modo da riaccomodare tutte le forze politiche che sostengono il governo. Va detto che il rimpasto non è certo un'esclusiva di questo governo o del centro-destra in particolare, tutt'altro: l'italico vezzo del rimpasto è pratica consolidata da decenni. Intendiamoci, non c'è nulla di male nel sostituire i ministri, ma si dovrebbe farlo per competenze e non per necessità di peso politico. Lo scorso dicembre, dopo l'uscita dal governo dei cosiddetti "finiani", Berlusconi è stato tenuto a galla da una manciata di parlamentari che si è autoproclamata "Iniziativa Responsabile". Lascio ad ognuno le valutazioni del caso, mi limito alla cronaca: Galan viene spostato al "ministero per i beni e le attività culturali" lasciando il posto a Francesco Saverio Romano, avvocato penalista palermitano eletto nelle file dell'UDC (ha quindi iniziato il suo mandato all'opposizione e qui bisognerebbe aprire un altro capitolo sul "trasformismo", altra caratteristica saliente della politica italiana). Se Zaia e Galan li conosco piuttosto bene (politicamente parlando) in quanto sono veneti come il sottoscritto, di Romano non so molto, giusto quello che è seguito alla sua investitura di Ministro, vale a dire che è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata. Lasciamo alla Magistratura il compito di proseguire le indagini e giungere a delle conclusioni, nel nostro piccolo ci viene da chiederci se Romano sia o meno un pescatore, o comunque, quanto abbia a cuore il nostro mondo. Per ora non ci è dato di conoscere questo aspetto del neo-ministro. Lo giudicheremo in seguito, a ragion veduta, in base al lavoro che svolgerà.

Nel frattempo, mi prendo la briga di ragionare su quello che, un pescatore come il sottoscritto, si aspetterebbe che un Ministro o comunque le istituzioni preposte, facessero per il mondo della pesca.

L'ACQUA PRIMA DI TUTTO

La pratica della pesca sportiva/amatoriale (per distinguerla da quella professionale) è connessa alla gestione delle acque. Ne deriva, è qui ovviamente si parla di acque interne, che per avere i pesci e praticarne la cattura, occorrono laghi, fiumi, torrenti e canali. L'Italia, in particolare il nord, ha la fortuna di avere un patrimonio vario e capillare di acque interne, ma la sfortuna di non averle mai valorizzate per quello che valgono. In pratica, storicamente, le acque interne italiane sono state utilizzate solo come fonte di approvvigionamento, quindi consumate, nonché come ricettacolo di scarichi di ogni tipo. Anche se negli ultimi anni sta crescendo la coscienza delll'importanza dell'acqua come bene prezioso e insostituibile, non sono stati fatti grandi passi in avanti. Apro e chiudo una veloce parentesi: la recente legge sulla "privatizzazione" (metto il virgolettato perchè la questione è complessa e non riassumibile in una sola parola) delle risorse acquifere e il prossimo referendum indetto per l'abrogazione di tale legge, sono la testimonianza che la risorsa acqua sta acquisendo sempre più valore economico, quindi soggettivo, rispetto al valore oggettivo che essa dovrebbe rappresentare, in termini di risorsa necessaria alla vita.  Ancora una volta quindi, non la si considera come un patrimonio da salvaguardare, ma come una risorsa da sfruttare.

LA PESCA IN CRISI: IL RUOLO DELLA POLITICA E QUELLO DEI PESCATORI

La crisi che attanaglia il sistema economico mondiale negli ultimi anni, si è riflessa anche sulla pesca. Tuttavia, se si spendono meno soldi per pescare, in termini di attrezzature, esche e quant'altro, è anche perché si è ridotto il numero dei pescatori. Mi permetto di affermare che non potrebbe essere altrimenti, perchè, da una parte, manca la capacità di proporre adeguatamente il "prodotto" per fare proseliti, dall'altra, purtroppo... mancano i pesci! Io ho iniziato a pescare più di 30 anni fa, quando ero bambino, la passione mi fu trasmessa da mio papà e la condivisi con altri coetanei, alcuni dei quali sono diventati garisti, altri hanno abbandonato del tutto, altri solo temporaneamente, altri, come me, hanno continuato a pescare solo per passione, facendo i salti mortali per trovare un po' di tempo da passare lungo un fiume, ma tutti abbiamo iniziato con una canna fissa, un galleggiante di sughero, dei vermi da pollaio e un fosso colmo di scardole vicino a casa. Se uno volesse cominciare adesso, dove va a pescare? È inutile girarci troppo intorno, di pesce in giro ce n'è sempre meno, spesso occorre fare molti chilometri per raggiungere degli spot decenti, e in genere, per ottenere buoni risultati, bisogna già avere una certa dimestichezza con le attrezzature e la tecnica. I pesci che facevano da "a b c" della pesca, come scardole, alborelle e triotti, sono sempre più difficile da trovare, in certi casi sono stati sostituiti da gardon e breme, ma in altri hanno semplicemente lasciato un vuoto. Fossi, canali e rogge da affrontare con una canna fissa, tanto entusiasmo e nessuna esperienza, sono diventati rari, spesso ridotti a rivoli maleodoranti privi di vita. Difficile pensare che una persona a cui è venuta voglia di iniziare a pescare, si compri una rouba da migliaia di euro, un panchetto di ultima generazione e si iscriva ad una società di pesca, oppure si prenda una canna da mosca con tanto di attrezzatura per l'autocostruzione. Ci sono gradini da salire prima di investire soldi e tempo in un hobby che poi, lo sappiamo bene, può diventare una vera passione, una malattia in certi casi. Quindi, se non creiamo le condizioni per fare proseliti, non vedo come possiamo parlare di investire nel futuro della pesca. In questo senso, la politica è indispensabile per sostenere un vero rilancio del settore. I pescatori però, devono farsi carico di una maggiore visibilità, di un maggiore peso specifico, di una forza, anche elettorale, che costringa la politica ad occuparsi di noi e a muoversi, concretamente, in una direzione che, a mio avviso, è obbligata e consta di alcuni punti imprescindibili.

INTERVENTI PRINCIPALI DI UNA POLITICA EFFICACE PER LA PESCA

1) ridurre l'inquinamento

Abbiamo bisogno di acqua pulita! Quindi, il primo imprescindibile, intervento, è quello di procedere con tutte le misure atte a ridurre l'inquinamento delle acque di superficie e, di riflesso, anche quello delle falde. A monte ci devono essere le istituzioni: è necessario che le acque provenienti da scarichi civili e industriali siano adeguatamente depurate. Molti paesi e città non si sono ancora dotati di depuratori, è un dato assurdo per una nazione che si vanta di essere tra le 8 più grandi potenze economiche del pianeta. Un primo passo verso la riduzione dell'inquinamento è quindi, senza dubbio, il completamento di una rete capillare e funzionale dei depuratori. Le istituzioni però, sempre perchè stanno a monte, dovrebbero intervenire non solo sulle strutture, ma anche, a livello legislativo, sui prodotti e le sostanze lecite da utilizzare, soprattutto in agricoltura, ma anche nell'ambito civile. L'uso di concimi chimici, anticrittogamici, antiparassitari e chi più ne ha, più ne metta, incide fortemente sull'inquinamento e risultando impossibile convogliarli in impianti di depurazione, se ne deduce che, semplicemente, devono essere vietati o comunque devono essere messi in atto dei provvedimenti che ne scoraggino un uso indiscriminato. Lo stesso vale per tanti prodotti che utilizziamo normalmente, e qui, oltre che le istituzioni, possiamo e dobbiamo essere anche noi a farci carico della questione: compriamo solo prodotti biodegradabili, utilizziamo il minimo indispensabile prodotti di difficile smaltimento (candeggine, ammoniaca etc.), evitiamo di immettere olii nelle condutture, cerchiamo, insomma, di agevolare il compito degli impianti di depurazione, quando ci sono, e di ridurre gli inquinanti quando i depuratori non ci sono. L'acqua non va sporcata e nemmeno sprecata, nel nostro piccolo possiamo fare moltissime cose per evitare gli sprechi, non solo per risparmiare acqua pulita, ma anche per introdurre meno acqua sporca nell'ambiente.

2) garantire il minimo vitale ai corsi d'acqua

Per chi frequenta i torrenti di montagna, la mente va subito a quei rivoli di acqua che si perdono tra i sassi degli ampi alvei di quelli che, un tempo, erano torrenti ed ora sono semplicemente gli scarichi di valle delle centrali idroelettriche. Il fenomeno però, anche se in genere se ne parla meno, è ben più diffuso nelle campagne di pianura, quando, alla fine della stagione agricola, tra settembre ed ottobre, i consorzi chiudono i rubinetti (leggi chiuse) che dai grandi fiumi e dai laghi danno acqua alle fertili pianure del nord, lasciando letteralmente in secca centinaia di fossi e canali. Sono due facce diverse di una stessa medaglia, due forme differenti di un uso dell'acqua finalizzato al solo scopo produttivo, sia esso idroelettrico o agricolo, ignorando gli effetti collaterali che tale utilizzo provoca sugli ecosistemi. Nei canali e fossi di pianura, ad esempio, fregano molte specie di ciprinidi e, in autunno, le vittime della secca sono rappresentate in larga parte da minutaglia con pochi mesi di vita. Non si tratta, ovviamente, di mettere in discussione la produzione di energia elettrica (tra l'altro pulita) e le esigenze dell'agricoltura, ma credo che, in molti casi, si tratti di usare semplicemente del buon senso e di creare un coordinamento tra gli enti che possa garantire a questi corsi d'acqua un livello minimo vitale. Pensate soltanto a cosa possono essere 10-15 cm in più di livello in un torrente di montagna, non solo in termini di profondità, ma anche di espansione del sottoriva, con tutto ciò che ne deriva in termini di crescita della microfauna e di possibilità di frega per i salmonidi e non solo. Non stiamo parlando di milioni di metri cubi di acqua, non si rivoluziona nulla, se non la mentalità nel considerare i corsi d'acqua come veri organismi viventi. Lo stesso discorso vale per i canali di pianura: ai consorzi non si chiede di lasciare aperte completamente le chiuse tutto l'anno, ma di lasciare quel rivolo continuo di acqua che permetta ai pesci di sopravvivere non solo all'asfissia, ma anche a predatori come gli uccelli ittiofagi e i... bracconieri. Connesso all'argomento "minimo vitale" c'è senz'altro anche quello della "pulizia": da una parte il rilascio improvviso di grandi quantità di acqua sporca di limo e detriti per la pulizia dei bacini idroelettrici, dall'altra le escavazioni del fondo dei canali per rimuovere il limo. In entrambi i casi le vittime restano i pesci, soffocati dall'acqua putrida oppure rimossi di forza e buttati sulla riva a marcire o a fare da preda ai predatori di cui sopra. Anche in questo caso, buon senso e rispetto permetterebbero di eseguire tali operazioni in modo meno cruento per gli amici pinnuti. Questo tipo di interventi sono praticamente a COSTO ZERO: si tratta semplicemente di buona amministrazione delle risorse.

3) la considerazione del patrimonio ittico come ricchezza e come risorsa

Fintanto che ogni pesce presente nelle nostre acque non sarà considerato come parte integrante di un patrimonio inestimabile, parlare di rispetto e valorizzazione avrà lo stesso effetto di raccontare favole. Non si tratta di fare della semplice filosofia in capo al concetto del sacrosanto rispetto di ogni essere vivente, ma di dare il giusto valore ad una risorsa non necessariamente rinnovabile come quella costituita dalla fauna ittica. Salvaguardare le acque e poi "fregarsene" dei loro abitanti non avrebbe senso. La politica dovrebbe occuparsi anche di questo, dovrebbe promuovere la conoscenza del mondo acquatico, insegnare fin dalle scuole che fiumi, laghi e persino la roggia dietro casa, non sono semplici riserve di acqua, ma veri mondi sommersi, dove vivono molteplici organismi viventi. Se non si impara a riconoscere la ricchezza, non la si apprezza, non la si persegue, non si investe nella volontà di raggiungerla. Non bisogna solo insegnare, spesso a colpi di sterile nozionismo, ma educare, formare, stimolare alla conoscenza e al rispetto. Anche questo intervento, se inserito in adeguati programmi formativi è molto vicino ad essere a COSTO ZERO, soprattutto se venissero coinvolte attivamente le società di pesca e gli enti interessati.

4) vigilanza e coordinamento normativo-operativo tra gli enti

In Italia non mancano certi gli enti: Regioni, Province, Comuni e Consorzi sono i più conosciuti, ma ce ne sono anche altri. Sono tanti e spesso sovrappongono le loro competenze. Una linea di pensiero (e le classiche promesse pre-elettorali) sostiene che andrebbero ridotti, un'altra sostiene invece che basterebbe coordinarli. Io mi limito a rilevare alcune questioni che ritengo, nel migliore dei casi, grottesche, nel peggiore del tutto assurde. L'alto Mincio (parliamo di uno dei fiumi più importanti d'Italia, mica del fosso dietro casa) è in parte diviso tra le Regioni Veneto e Lombardia, nello specifico tra le Province di Mantova e Verona. Si registra la grottesca (o assurda se volete) situazione che i regolamenti in vigore cambiano a seconda della riva. In pratica, il fiume è lo stesso, i pesci anche, ma se peschi sul veronese, ad esempio, i black bass non hanno misura ne periodo di chiusura, mentre sul mantovano si. Dicevamo prima che si parla del Mincio, un grande fiume, e non del fosso dietro casa, ma anche quello, in zone di confine, rappresenta un problema, perchè il pensionato che tenta ancora di pigliare qualche pescegatto non può girare con l'atlante o il gps per sapere se il canale dove sta pescando è in una provincia o l'altra: stiamo parlando di fossi di campagna, non di strade o paesi, fossi senza nome e cognome. Entrando nel merito della questione normativa, è paradossale che alcuni pesci siano protetti da una parte e sottratti dall'altra. È il caso del black bass e del lucioperca: alloctoni e quindi nocivi in Veneto, sempre alloctoni ma protetti da misura minima e periodo di divieto in Lombardia. Di paradosso in paradosso si arriva a quella che è una vera e propria barzelletta: la soppressione del siluro da parte dei pescatori dilettanti. La legge impone in alcune zone il divieto di rilasciare gli alloctoni, in particolare il siluro, senza però specificare bene come ci si deve comportare una volta catturato il pesce. Finchè si tratta di pesci piccoli, si può anche portarli al gatto, se si tratta di pesci un po' più corposi si può pensare di farli a tranci e metterli alla griglia, oppure di regalarli a qualcuno che... li faccia a tranci e li metta alla griglia, ma se per provenienza (pensa ai laghi di Mantova o al basso Mincio per esempio) la loro commestibilità è dubbia, cosa ne facciamo? Un siluro di 3-4 chili non ci sta nel bidoncino dell'umido, chi ha un orto lo può seppellire, ma chi vive in un monolocale all'ultimo piano di un fabbricato che si affaccia in piazza Duomo a Milano, cosa ne fa? E se invece di essere pochi chili è una bestia di due metri con una pancia dove ci stanno comodamente Pinocchio, Geppetto e la Fata Turchina? Semplice: o vanno contro la legge e dopo la cattura rimettono in acqua il baffone, oppure lo lasciano sulla riva a morire, facendolo diventare, tra l'altro, quel ricettacolo di potenziali malattie che una carcassa in putrefazione di tale stazza costituisce. Spettacoli di questo tipo fino a qualche tempo fa erano comunissimi lungo il corso del Po, del Canal Bianco, e di tanti fiumi e canali della bassa padana, ora un po' meno ma non di rado capita ancora di imbattersi in carcasse ancora "fresche" o su cui hanno già pasteggiato topi, corvi e altri simpatici animali, lasciandone la lunga lisca a pettinare l'erba. Se gli enti preposti vogliono far fuori i siluri o qualche altro pesce non possono caricarne la responsabilità sui pescatori: mandino i sommozzatori, utilizzino sommergibili, bombe ad immersione, facciano quello che vogliono, ma lo facciano in proprio.

Di esempi ce ne sarebbero ancora, ma la questione è già sufficientemente chiara: io credo che un cavedano, un luccio, una carpa o qualsiasi altro pesce, abbiano uno sviluppo uguale a Torino come a Ferrara, a Verona come a Mantova, e che misure minime e periodi di divieto dovrebbero essere uguali praticamente ovunque, quantomeno nelle zone di pianura, posso capire le eccezioni in certe situazioni particolari (i laghi ad esempio), ma l'eccezione è tale quando c'è una regola generale, in Italia invece, c'è un vero e proprio ginepraio. Uniformare e semplificare le normative è un provvedimento a mio avviso necessario e, praticamente, a COSTO ZERO.

Inversamente proporzionale al numero e alla grandezza degli enti, la vigilanza è, numericamente e operativamente, del tutto insufficiente a tenere sotto controllo scempi ambientali e bracconaggio. Sappiamo tutti che il Po continua ad essere saccheggiato con reti e altri attrezzi non consentiti, bande di delinquenti (perchè di questo si tratta) dell'est europeo, operano, praticamente indisturbati, un prelievo costante di pesci di ogni tipo che poi finiscono nei supermercati di mezza Europa. Capisco peraltro che un guardiapesca preferisca multare il pensionato che mette nel cestino una carpa di mezzo centimetro più corta della misura minima, piuttosto che rischiare un sacco di botte (se non peggio) a rompere le scatole a queste bande; per questo il coordinamento è d'obbligo: intervengano i carabinieri, anche l'esercito se necessario, non stiamo parlando di pochi furbi che si portano a casa pesci protetti, ma di un collaudato e costante prelievo di tonnellate di pesce, con mezzi vietati, con conseguente commercio in nero, con frode alimentare e, non ultimo, con rischio dell'incolumità di chi vive il fiume in maniera corretta: le situazioni in cui pescatori sportivi hanno ricevuto minacce, sono stati oggetto di furti e aggressioni, sono, forse, diminuite, semplicemente perchè certi tratti di fiume sono ormai tabù e non ci va più nessuno. L'impunità, per questi personaggi, è talmente certa che il fenomeno si sta espandendo anche altrove. Recentemente sono state registrate situazioni di questo tipo anche nell'Adige, e non solo in tratti isolati nella campagna, ma praticamente alla periferia di Verona. Perchè manca la volontà di affrontare con fermezza una situazione così evidente? Davanti a fatti di questo tipo, mi rendo conto che chiedere una vigilanza estesa non solo alla pesca ma anche alle acque, sembra davvero un'utopia. Scarichi e prelievi abusivi si sprecano nel nostro paese, inquinamenti massicci che producono danni enormi non hanno mai responsabili. L'ambiente viene lasciato a se stesso, le acque in particolare. I pescatori sotto questo profilo possono fare molto in termini di vigilanza e monitoraggio, ma il loro apporto è praticamente nullo per quanto riguarda l'intervento concreto perchè spesso, le autorità preposte non rispondono. Provate a chiamare i carabinieri dicendo che state assistendo ad un bracconaggio con reti o altro: vi risparmio la risposta. In certi casi, posso garantire che alcuni pescatori sono stati ridicolizzati come se denunciassero il furto di una merendina a scuola. Fintanto che l'ambiente, l'acqua, i pesci non verranno considerati un patrimonio, non ci sarà niente da fare, le priorità saranno sempre altre. Incrementare la vigilanza e la conseguente azione sanzionatoria (magari introducendo anche il penale per reati che oggi prevedono pene amministrative ridicole)  non è, ovviamente, un progetto a costo zero, tutt'altro, ma è senz'altro un passo decisivo che va fatto non solo per la pesca, ma per l'ambiente nel suo insieme. I pescatori possono avere un ruolo fondamentale nella salvaguardia delle acque, ma deve necessariamente crescere la sinergia con le istituzioni che poi hanno il compito di intervenire concretamente, deve crearsi un sistema di coordinamento efficace e costruttivo. Non è semplice, ma nemmeno impossibile: il ruolo di un Ministro è anche quello di fare da tramite tra istituzioni e cittadini, in questo caso, una parte di cittadini che praticano la pesca, cercando la sintesi migliore tra le possibilità delle prime e le richieste dei secondi.

5) valorizzare il ruolo della pesca amatoriale come attività di educazione e difesa ambientale

Un paio d'anni fa, mentre pescavo a fissa nel Tartaro, il fiume che attraversa il paese dove abito, seduto vicino al ponte di una ciclabile, proprio mentre acchiappavo l'ennesimo triotto, un paio di bambini in bicicletta si sono fermati stupiti come avessero visto un marziano: non avevano mai considerato che nel fiume vicino a casa ci fossero i pesci! Ne seguì una lunga chiacchierata. scoprii che il concetto di pesce per loro si identificava semplicemente con qualche nome di specie, le più famose: trota, tonno, merluzzo, il famigerato "pesce rosso" da sagra etc. con tanta confusione tra le acque dolci e salate. A turno gli facevo prendere qualche  triotto o qualche scardola: gli leggevo in faccia il piacere di vedere il galleggiante affondare e tirare fuori queste piccole prede luccicanti. Perché hanno dovuto affidarsi al caso per scoprire la bellezza della pesca? Se questa tendenza al distacco ambientale è presente nelle giovani generazioni di un paese di campagna, non oso pensare quale sia l'approccio per bambini e bambine che crescono nelle città. Alla loro età non solo sapevo distinguere tutti i pesci che abitavano i corsi d'acqua della bassa, ma conoscevo tutte le loro abitudini, cosa mangiavano, quando andavano in frega, le stagioni e gli orari per pescarli. Alla loro età sapevo queste e tante altre cose, ed era così per tutti i miei coetanei. A forza di realtà virtuali, di tempi e passatempi a misura delle quattro mura di casa, stiamo crescendo generazioni che non possono apprezzare la natura, semplicemente perché la sentono come distante, non la toccano, non la vivono. La pesca può essere un tramite, un mezzo per approcciarsi alla natura in modo attivo, e le società di pesca possono svolgere un ruolo importantissimo in questo senso, purchè l'attività sportiva o amatoriale che dir si voglia, prenda coscienza del proprio peso e si adoperi per superare l'ostracismo di cui, ancora oggi, è permeato il mondo della pesca da una parte di opinione pubblica che la vede come una variante della caccia o, comunque, come un'attività invasiva e nociva. Sotto questo profilo, la progressiva settarizzazione della pesca in capo agli stessi pescatori non produce certo effetti positivi: un moschista che guarda stizzito al collega che pesca a fondo con i vermi, o il talebano del catch & release che grida allo scandalo nei confronti di chi si porta a casa una trota-pollo di semina, sono esempi (non ritengo necessariamente snob un moschista o invasato chi pratica il C & R, sia chiaro) di come manchi nel nostro mondo, non tanto una filosofia quanto la coscienza di stare tutti sulla stessa barca. Occorre quindi investire in una seria informazione in merito al ruolo reale non solo della pesca come attività, ma del pescatore come soggetto che arricchisce, e non depaupera, con la sua presenza, il patrimonio ittico e ambientale.

CONCLUSIONI

Un ministro che si occupa del settore primario, non può e non deve restare indifferente, a prescindere che sia o meno un pescatore, a considerare la gestione delle acque come una priorità del suo mandato. Se non ha la competenza per rendersene conto e agire di conseguenza, è necessario che il mondo della pesca nel suo insieme, i pescatori in primis, ma anche i tanti soggetti che vivono dell'indotto di questa attività, alzino la voce e si facciano promotori di iniziative per prendere coscienza del loro peso e farlo valere in ogni sede, anche in quella politica, sottoforma di consensi elettorali, non dico che dobbiamo diventare una "lobby", ma centinaia di migliaia di pescatori, uniti, non sono pochi e i nostri politici la competenza per capire almeno questo ce l'hanno. In caso contrario, continueranno a cambiare i ministri, più o meno velocemente, ma i problemi della pesca, la nostra passione, continueranno a rimanere insoluti.


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