Racconti

Una poltrona per due

Di sergio farina pubblicato il 22/03/18

Il cielo è grigio, plumbeo, le nubi sono basse e colano dense e lente come lava lungo le pendici dei monti carinziani,  piccole stille fredde continuano a tormentare il parabrezza della macchina, le luci delle altre auto sfarfallano lacerate dal lavoro dei tergicristalli. Sono passati pochi giorni eppure la caldissima estate italiana sembra lontana anni luce. Francesco Gargantini ci aspetta in uno dei tanti piccoli borghi che punteggiano la strada verso Villach, poco a valle del punto dove la Gail si getta fra le braccia della Drava. L’intento è perlustrare la sponda opposta a quella abituale, per cercare i barbi nella zona più favorevole senza essere costretti a lanci di 70 metri, per posare i feeder dove il fondale precipita e dove la corrente è spezzata dai piloni dell’autostrada.  Il sentiero è stretto, fradicio e il SUV ondeggia scavando solchi di fango fra l’erba, scuotendo il posteriore come una prostituta in cerca di clienti. La situazione non è favorevole, la sponda è ricoperta da una vegetazione intricata e rigogliosa, servirebbero ore di machete per ricavarne un paio di postazioni non dico comode ma almeno praticabili, senza contare la riva a picco e la pioggia che non desiste; i rischi sono troppi, compreso quello di rimanere impantanati. La sera, davanti alla prima birra austriaca, si parla del giorno dopo, delle tattiche, delle tecniche e della pastura, un modo di esorcizzare i tanti dubbi che ammantano la sessione futura come un sudario. Le speranze, dopo un anno esatto di attesa, sono ridotte al lumicino e il tempo esterno non contribuisce di certo ad alzare il livello dell’ottimismo.

 Giorno 1

Siamo sulla spot quando la prima lama di luce deve ancora scalfire l’orizzonte. C’è freddo e rivoli di aria gelida si insinuano fra il cappello e il paracollo per scendere perfidi lungo la schiena, ma almeno non piove. Il colore della Drava non è malaccio, anzi sarebbe un colore “da pesci” se non fosse per la corrente;  spinge perfida a gonfiare il petto di fronte ai due intrusi che, incuranti di tutto e tutti, cominciano a piazzare i pod. In questo spot si possono usare due canne a testa, le specialist con cima avon sono presto pronte ma i primi lanci non fanno che confermare ogni sensazione negativa che l’istinto e la vista avevano suggerito. Dove normalmente si pesca con 90/100 gr. di zavorra i 120 gr. montati partono sparati sballottati dalla Drava come foglie nel vento. Passiamo a 150 gr. con piombo grippato ma conta poco, dopo un paio di minuti dal lancio foglie, sterpi e vegetali vari si fermano sulla lenza, spostandola inesorabilmente verso riva, parallelamente alla sponda, nel punto dove l’apice della profonda secca dimezza il fondale. Non si pesca, almeno non si pesca su quella che è da sempre la linea più produttiva ovvero fra i due piloni del ponte autostradale. Accorciamo i lanci in modo chirurgico, un metro alla volta, per trovare il primo punto dove il  feeder possa completare lo scarico di farine e pellets senza essere spostato dalla pressione di corrente e detriti. Lo troviamo molto corti, a circa 25 mt da riva, appena prima della linea dove la Drava è spezzata dal pilone più vicino. Purtroppo qui la profondità non è elevata e gli unici pesci a farci visita sono un paio di temoli e qualche trota, utili ad evitare il cappotto ma lontani dai barbi XXL che hanno popolato i nostri sogni nell’attesa di tornare finalmente in Carinzia. La sera l’unica nota positiva arriva dalla cucina di Erika dove gli spatzle allo speck leniscono parzialmente l’umore molto simile a quello della Nazionale di Fabbri dopo la partita contro la Corea nel 1966. Non sono tanto gli schiaffoni morali rimediati in Drava per 10 ore a minare l’umore, quanto le nere prospettive che si addensano in testa come le nuvole, altrettanto nere e gonfie, che ancora si aggrappano alle cime dei monti intorno all’Aktiv Hotel Gargantini (www.trophyclub.it).

 Giorno 2

Abbiamo deciso di cambiare spot portandoci a monte dello sbocco della Gail, forse la maggiore responsabile dell’apporto di foglie ed erba che il giorno prima ci hanno massacrato come Stuka tedeschi sulle truppe inglesi a Dunkerque. La zona del “ponte rosso” a Villach è famosa in quanto riproduce alla perfezione quello che è lo spot perfetto da barbi. Il corso principale della Drava è spezzato da un piccolo torrente che entra quasi perpendicolare, il flusso è protetto da un piccolo argine di grossi sassi che si protende per alcuni metri parallelo al torrente. In questo modo, a centro fiume, si crea un incrocio di correnti appena dopo il largo giro d’acqua che insiste a monte del pennello di sassi. Anche un pescatore con occhiali scuri, bastone bianco e cane lupo al seguito sarebbe in grado di vedere perfettamente la linea di pesca, e se fossimo barbi questo sarebbe il posto ideale per trovare cibo e riparo. Le prime due ore passano nella più assoluta tranquillità. Le cime avon sono immobili e se non fosse per il traffico del ponte, e quello dei numerosi ciclisti che percorrono la pista alle nostre spalle, si pescherebbe nell’immobilismo più assoluto, qui non c’è nemmeno il disturbo di trote e temoli. Cerchiamo di tenere la testa occupata ricaricando metodicamente ogni 20’ esatti. In questo spot si può usare solo una canna a testa, le abbiamo piazzate su un solo pod, quasi a dividere equamente le aspettative nella stessa zona del fiume. Gli accordi sono semplici, prima mangiata per il possessore della canna poi una mangiata a testa, qualunque sia la canna interessata. Quando si prospetta un’altra Caporetto l’idea è di Filippo, se si deve soffrire tanto vale giocarsi tutte le carte, anche quella della disperazione. Monta un terminale molto sottile per lo spot e per i pesci presenti. Siamo partiti con uno 0,30 che qui è il minimo, ora montiamo uno 0,22 con un amo proporzionato, se dovesse mangiare un barbo di taglia saranno volatici per diabetici. La prima scrollata secca arriva sulla canna di Filippo, il combattimento è incerto, ogni ripartenza del pesce, seppur a frizione perfettamente tarata, è una scarica di adrenalina, eppure alla fine il guadino diventa lo sperato epilogo, il primo over tre è in sala pose. Evidentemente la scelta di calare drasticamente i diametri dei terminali paga perché in sole 3 ore vediamo altre 9 partenze con 7 pesci a guadino, uno si slama e l’altro mi violenta il terminale dopo un interminabile tira e molla a centro fiume. La taglia è buona ma non buonissima, parliamo di cinque over 3 con il best di giornata che ferma la bilancia a 3,200 Kg. È il livello del nostro ottimismo e della nostra autostima che è schizzato verso l’alto, oggi ci sentiamo nuovamente pescatori.

 Giorno 3

Partiamo carichi come molle, sappiamo già cosa fare e come farlo. La prima mangiata è ancora per Filippo, la seconda è mia, arriva sulla canna a valle che ho appena dotato di un terminale di 0.25 per capire fino a dove possiamo spingerci. E’ una fortuna perché il ragazzo con i baffi prima fa il sornione e arriva sotto senza colpo ferire poi, quando vede il guadino, comincia la corrida. I barbi di questo tratto di fiume sono difficilmente stimabili almeno fino a quando non sono nella rete gommata. Non sono mai molto lunghi ma sono sempre molto larghi, quasi obesi, e questo, una volta sul materassino, mostra una pancia esagerata. La bilancia si ferma poco sopra i 4,700 Kg, tanto da guadagnarsi la seconda piazza nella mia personale classifica all time.Vediamo meno partenze del giorno prima ma con una taglia media più elevata, Filippo arriva a una manciata di grammi dal proprio personal best. La Drava sembra aver premiato la perseveranza nella scelta della zona di pesca, la precisione chirurgica nella pasturazione integrativa, e la sfacciataggine nel cercare montature al limite, perdiamo in totale 4 pesci ma i 13 pesci totali a guadino sono un premio che ci accompagnerà fino alla prossima spedizione, magari non fra un anno. Abbiamo diviso tutto: il viaggio, le aspettative, le ansie, le paure, la frustrazione prima e le speranze dopo, le gioie di combattere o semplicemente fotografare un pesce. Abbiamo soprattutto spartito il pod, un po’ come andare al cinema, sedersi stretti sulla stessa poltrona condividendo lo stesso sacchetto di popcorn e lo stesso bicchiere di coca cola con due cannucce ma, se il film è bello, coinvolgente, incerto ed emozionante come questo poco importa, la cosa più dura da digerire sono i titoli di coda e l’amarezza che si prova tornando in Italia, sapendo di cosa potrebbe essere la pesca al barbo nei nostri fiumi, senza l’incapacità genetica di amministratori sprovveduti, senza inquinatori seriali, senza bracconieri impuniti, senza la totale assenza di controlli, senza un’intelligente gestione del territorio e mi fermo qui, ho finito i senza. Purtroppo nelle italiche acque la “poltrona” che io e Filippo abbiamo amichevolmente diviso diventa una poltrona per tanti, politici improvvisati e pseudo amministratori, e chi ci si siede spesso non sa nemmeno cos’è un barbo.


FacebookTwitterGoogle+Invia per email

Collabora


Ti potrebbero interessare anche: