Racconti

almabtrieb in gerlos

Di gabriele giani pubblicato il 19/02/11

ALMABTRIEB IN GERLOS OVVERO QUANDO LE VACCHE SCENDONO A VALLE

Il titolo del racconto non tragga in inganno i lettori più maliziosi. Non si parla delle abitudini disinibite o dei costumi succinti di come viene chiamata volgarmente una certa parte della popolazione femminile. Sono aneddoti o curiosità di fatti accaduti che potrebbero essere tranquillamente letti la sera ai propri giovani virgulti prima di addormentarsi, se non fossero già attaccati da ore alla play-station. Sognerebbero verdi pascoli solcati da placidi ruscelli montani,

piuttosto che robot ferruginosi che combattono tra di loro con affilatissime lame rotanti.

Il fatto è che sono un veterinario e come tutti quelli che lavorano in un campo specifico come il mio possiedo delle caratteristiche che derivano dallo studio e dalla professione che svolgo. In pratica tendiamo a ricondurre ed a rapportare le cose che ci circondano al regno animale. Usiamo spesso, infatti, espressioni come: furbo come una volpe, si muove come un elefante, fa il galletto o ci dà come un coniglio. Intendendo quest’ultima espressione come l’impegno e la foga che ci mette l’amabile animaletto nello svolgere le sue pratiche riproduttive. A tavola poi ci dilunghiamo nel dissertare e descrivere le particolarità di determinate patologie che fanno parte del nostro quotidiano, con sgomento degli altri avventori del locale che ci stanno intorno. Per quanto riguarda il consumo di elevate quantità di Amaro Montenegro, visto che ne è stata vietata la pubblicità perché ritenuta lesiva per la categoria, non ho mai rifiutato l’offerta di un qualsivoglia liquido versatomi da un contadino durante i miei giri in campagna. Sarebbe senz’altro un comportamento maleducato ed inopportuno. L’importante è che il giro non preveda troppe fermate altrimenti il rientro sarebbe oltremodo tortuoso e col tempo potrebbero sorgere grossi problemi al mio fegato.

L’unica eccezione avviene durante la campagna invernale della macellazione dei suini a domicilio dell’allevatore. Nei mesi di dicembre e gennaio controlliamo che tutti i maiali sacrificati presso le abitazioni private siano in buono stato di salute e vengano rispettate le norme sul benessere animale.

Preleviamo, inoltre, un pezzo di muscolo che inviamo al laboratorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per escludere la presenza nelle carni di un pericoloso parassita dannoso per la salute dell’uomo: la trichinella. Per zoopofilattico non si intende, ovviamente, un anticoncezionale per animali ma un laboratorio di ricerca specializzato nel settore veterinario. Direi quindi che l’inverno è un periodo impegnativo tra un morso di salsiccia matta, fatta con un impasto che contiene anche frattaglie ed aglio, e bocconcini di fegato e foglie di salvia con la rete, ovvero l’omento del divin porcello. Il tutto naturalmente accompagnato da un buon bicchiere di sangiovese dal bel colore rosso scuro. Così l’inverno, che non mi piace affatto perché è un periodo nel quale i pesci non bollano, passa velocemente. E’ vero, mi riduco ad andare in qualche laghetto di pesca a pagamento per forare qualche trota iridea con lo streamer, ma è un ripiego ed aspetto sempre con trepidazione l’arrivo della primavera.  Ma torniamo alle vicende che riguardano il titolo di questo racconto.    

E’ durante un convegno sull’Anisakis tenutosi a Bologna i primi di giugno che ho rivisto Stefano, compagno di studi all’università ed ovviamente compare di pesca quando i reciproci impegni ce lo permettono. Di questa parassitosi, che può colpire l’uomo anche con manifestazioni abbastanza gravi, non mi sto a dilungare molto. Si può contrarre con il consumo di pesce o molluschi crudi o praticamente tali. Basta quindi cuocere bene o congelare preventivamente il tutto per evitare possibili infestazioni. Sembra facile, ma i casi registrati in Italia sono in preoccupante aumento.

Chiusa la parentesi sanitaria rimango d’accordo con il mio collega che, come avevamo fatto altre volte in anni passati, ci saremmo sentiti dopo l’estate per fare la chiusura della pesca alla trota nei torrenti di montagna. Questo periodo, di solito, è tra la fine di settembre ed i primi di ottobre in modo da permettere al pinnuto di riprodursi in santa pace e dura fino agli inizi della primavera.

Intanto arriva la metà di giugno e tradizionalmente il momento del viaggio importante dell’anno.

La natura è al massimo del suo splendore e le mosche di maggio di varie specie di effimere sfarfallano sull’acqua dei fiumi per i loro voli nuziali. Le trote ed i temoli si esibiscono in salti mortali e fragorose bollate  per riuscire a catturare gli incauti insetti. E’ uno spettacolo unico che purtroppo si ripete sempre più raramente a causa dell’inquinamento che fa sparire molte specie sensibili alle sostanze nocive disciolte nell’acqua.

Dopo un breve giro di telefonate viene definito l’equipaggio di questa nuova avventura che è composto da tre lugubri individui: Giampi, Rob ed il sottoscritto. Anche se le previsioni meteo non sono confortanti decidiamo di partire lo stesso. In più ha piovuto abbastanza dai primi di giugno ma la voglia di andare è tanta. Negli ultimi anni del resto è sempre andata così in questo periodo ma ci siamo divertiti ugualmente. Vorrà dire che pescheremo con le sommerse o gli streamers anche se è una pesca che non mi entusiasma molto. Alle 5 e tre quarti partiamo. Il viaggio scorre velocemente, anche se dei nuvoloni minacciosi ci girano sopra la testa. E’ da diversi mesi che non vediamo Giampi ed abbiamo molto da raccontarci. Anche lui è veterinario ed in questo periodo sta occupandosi di selvatici. Ci spiega che nelle zone alpine di confine c’è molta rabbia silvestre, specialmente nelle volpi. Per cui occhio, se incontriamo qualcuno di questi animaletti con atteggiamenti aggressivi: gambe in spalla e stare in mezzo al fiume. Non pensavo che con l’età il collega romagnolo fosse così peggiorato. La meta prestabilita è la vicina Slovenia ed infatti, alle 9.30, siamo già a Tolmino per ammirare l’Isonzo, Soça nella loro lingua, gonfio d’acqua più del necessario. Per noi naturalmente. Ci guardiamo intorno e chiediamo informazioni. I permessi, ribolovna dovolilnica, li fanno alla Pension Rutar. Un quattro stelle molto carino e decoroso situato nella piazza centrale del paese. Decidiamo di pernottare lì, visto che ci sono stanze disponibili. Non è certo alta stagione. Con un centone risolviamo la questione economica. 52 euro è il costo del permesso per le zone no kill ovvero a rilascio del pesce ed il resto per la mezza pensione. Ritengo siano permessi molto cari ma del resto le regole le fanno loro e l’allevamento delle trote iridee ha i suoi costi. Perché è di questi salmonidi che è pieno il fiume, oltre che di qualche sparuta trota fario ed una certa popolazione di grossi temoli in aree particolari. Abbiamo a disposizione una notevole quantità di acque. Dalla Soça fino a Bovec all’Idrijca fino a Stopnik, compresi il Tolminka, il Baça, il Trebusçica ed una serie di laterali minori. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Ci fiondiamo nel Tolminka a pochi chilometri dal paese, poco a monte della confluenza con la Soça. E’ un posto che già conosciamo ed in più l’acqua, anche se un po’ alta come livello, è molto limpida anche se gelata. Sono circa le 11 e di attività superficiale non se ne parla nemmeno. Ci dedichiamo alle ninfe piombate ma abbiamo poca dimestichezza. Giusto Rob, che è un mago nella pesca con la mosca sommersa, riesce ad inlamare qualche trota ed alcuni temoli. Io riesco a rompere con un animale scuro di cui vedo solo la spanciata sott’acqua. In una buca più profonda piena di grosse trote iridee, io e Giampi riusciamo ad avere ragione di qualche grosso esemplare usando degli streamer zonker neri. Intanto l’aria si riscalda un po’ e fa capolino il sole. Vedo un temolaccio che insidio testardamente per un’ora con ninfe piombate di tutte le misure. Siccome viene a bollare sul mio segnalatore passo alle mosche secche, anche queste di ogni sorta, ma senza risultati. Monto la fatidica klinkhammer su amo medio e miracolosamente il pesce la prende alla prima passata. Mi maledico in turco, anche se non lo conosco, perché di solito è la prima scelta che faccio. Vado nella zona della confluenza dove una serie di statue in legno e terracotta raffiguranti sirene o donne giunoniche mi appaiono da dietro gli alberi. Vedo Rob scomparire dietro un sasso dall’altra parte del fiume. Io continuo a pescare ma con la coda dell’occhio non lo vedo riapparire. Risalgo un po’ fino ad arrivare alla sua postazione. Zoppica vistosamente. Lo aiuto a riattraversare il fiume. Mi dice che è scivolato giù dal grosso sasso. Si è fatto male ad un ginocchio e come sfortuna ultima, ha perso nella caduta 2 scatole delle sue ninfe migliori. Ci vorrà del tempo per rifarsele ma la cosa importante è che non si sia fatto troppo male. Finire la vacanza per un infortunio è quanto di peggio che possa capitare e la pesca con la mosca non è poi uno sport così tranquillo. Decidiamo di risalire tutti e tre nella zona chiamata dell’allevamento. Praticamente uno slargo del fiume con acqua più calma letteralmente zeppa di iridee. Ne prendiamo qualcuna sia a secca che con ninfe, ma dopo un po’ sono giustamente spaventate e non reagiscono più ai nostri meschini inganni. Comincia a piovere forte. Per un po’ resistiamo ma poi gliela diamo su e torniamo alla macchina. Giriamo una mezz’oretta e intanto smette di piovere. Andiamo alla confluenza tra l’Idrijca ed il Baça, sotto il ponte della ferrovia dove ogni tanto passa il treno a vapore che da Nova Gorica e Most na Soçi arriva a Bohinjska Bistrica, nella Valle del Monte Triglav. Oltre ai passeggeri, è disponibile anche il servizio di trasporto auto in modo da evitare l’attraversamento di un passo che noi invece faremo. Praticamente il treno effettua gli ultimi 10 Km in una buia ed angusta galleria. Pensiamo che ne escano alquanto affumicati e l’idea non ci sfagiola per niente. Nella zona della confluenza c’è un assembramento di macchine inusuale. Svizzera, Austria, Olanda sono le targhe che leggiamo. Tutti pescatori, mannaggia. Ci sparpagliamo alla rinfusa. Io rimango nelle buche sotto il ponte. Vedo qualche timida bollatina. Prendo un paio di temolini, anche se il fondo è tappezzato di pezzi grossi. Finisco tutta la serie di ninfe piombate e non e dopo avere ripassato i santi, gli angeli ed i demoni inlamo una di queste bestie di fuori. L’attrezzatura è messa a dura prova e dopo uno strenuo combattimento ho ragione del pinnuto. Capisco così il mistero dei pesci fantasma. Sono barbi intontiti dall’acqua probabilmente troppo fredda per il loro metabolismo più mediterraneo. Alla sera ci troviamo alla macchina per tornare all’hotel più cotti che mai. I compari hanno preso qualche pezzo, ma niente di eclatante. La giornata è stata lunghissima e finisce con una doccia calda ed una bella cena a base di specialità slovene. Naturalmente non può mancare come digestivo un bicchierino di Sljivovica, la tipica grappa di prugne. Paghiamo il conto ed andiamo a dormire. Mi sono attrezzato per la notte. Cerotti nasali anti-russamento, tappi per le orecchie. Anche nei posti più sperduti le notti si possono trasformare in incubi da giungla amazzonica. Dopo un breve consulto decidiamo di partire la mattina successiva sul presto per andare a vedere come butta dall’altra parte della montagna. In fondo era una delle nostre mete originariamente. Risaliamo la valle del Baça costeggiando la ferrovia fino a Podbrdo, dove il treno entra nel tunnel. Ma come si fa a pronunciare tutte quelle consonanti in fila? Dopo tante curve da rintronare un serpente, un paesaggio incantevole ed il passo a 1300 mt, ci troviamo nella valle della Sava. Scendiamo a Bohinjska Bistrica e prenotiamo alla Penzion restauracija Tripiç, luogo già frequentato in passate scorribande. Facciamo anche i permessi di pesca che costano un po’ di meno, 42 euro e danno la possibilità di trattenere 3 pesci. Con il costo dell’hotel, che è un po’ più pretenzioso, sborsiamo il solito centone e ci precipitiamo nel fiume per sondare la situazione. I livelli sono decisamente alti, ma l’acqua è limpida e dai ponti vediamo diversi pescatori in tiro che pescano con la tecnica dello streamer su grosse iridee. Un belga mefitico ci saluta e con un ghigno sfottente ci spiega che fino a ieri i livelli erano perfetti e si catturavano molti esemplari con la mosca galleggiante. Tanto, lui sta tornando e così gli auguro, naturalmente con il pensiero, di farsi una grossa indigestione di patate fritte. Non vogliamo provocare assolutamente un incidente internazionale, per ora. Saliamo in macchina e facciamo vedere la zona fino al lago Bohinjsko a Giampi, che non vi ha mai pescato. Decidiamo di scendere, per iniziare l’attività piscatoria, proprio dove il fiume esce dal lago in modo naturale. Qui l’acqua è più bassa e si vede qualche timida bollata. Mentre mi infilo l’armatura, costituita da stivali, giubbotto, guadino, etc, degli studenti mi intervistano per un servizio sul turismo nel loro paese. Mi chiedono da dove vengo, che cosa intendo insidiare, perché faccio tutta quella strada. Mah, a volte me lo chiedo anch’io. E dire che ci sono dei bellissimi posti anche da noi. Purtroppo a volte mal gestiti o minacciati da altri interessi come le captazioni idriche o le escavazioni in alveo. Qui mi sembra che valorizzino di più il turismo. Probabilmente ha un buon ritorno economico. Lascio i miei pensieri sulla riva e mi immergo in un rigiro di corrente fino alla cintura. Non faccio in tempo a fare il primo lancio che il guardia-pesca mi fa un cenno e mi chiede il permesso. Glielo mostro e lui gentilmente mi saluta e mi augura una buona giornata. Non buona pesca, naturalmente. Rob tentenna sul prato, mi guarda poco convinto, ma quando aggancio un temolo discreto al primo lancio si precipita a mollo. Passo un’ora di fuoco. Anche Giampi di fianco a me cattura diversi pesci, in genere iridee, qualche fario e temoli con la secca. Non sono grossi esemplari, ma molto divertenti. Finalmente la tecnica che più ci piace. Rob scende più a valle e ha ottimi risultati anche con la ninfa. A metà pomeriggio decidiamo di cambiare e così scendiamo nelle anse del fiume vicino ad un gruppo di case abbellite da gerani fioriti. Qui la corrente è forte e ci sono pochi rigiri dove i pinnuti si possono riposare. Di fianco alla strada ce n’è uno letteralmente affollato di specie ittiche. Facciamo qualche lancio per scherzo ed i pesci salgono a candela sulle mosche, ma è come sparare sulla croce rossa. Ricomincia a piovere. Prima piano e poi si scatena un temporale con tuoni e fulmini. Torniamo in albergo per scaldarci un po’. I miei compari si attaccano al televisore per un’abbuffata di sport. Prima il calcio e poi il basket, non so di quale campionato americano. Ha smesso di piovere ed il sole occhieggia da dietro i nuvoloni che se ne vanno. Uno sguardo di traverso ed è chiaro che si torna in attività. Giampi è disperato, si pregustava già la poltrona serale. Mette da parte la pigrizia e ci segue. Aveva ragione lui. Il livello del fiume si è alzato e l’acqua si sta intorbidendo per l’apporto dei torrenti laterali carichi di detriti. Prendiamo qualche trotella nei sottoriva ma niente di significativo. Si rientra al Tripiç. Doccia, cena e branda. Durante la notte gli elementi danno uno spettacolo pirotecnico accompagnati da un vento furioso che sibila tra gli alberi. Non si preannuncia niente di buono. Infatti, il mattino successivo, l’acqua della Sava è colore del cioccolato, ma fondente. Qui non c’è più storia. Consumiamo la nostra abbondante colazione alla Penzion, carichiamo la macchina e via di nuovo per le tortuose valli. Decidiamo di tornare nella direzione dalla quale eravamo venuti ma con una piccola deviazione per arrivare nella parte alta dell’Idrijca. Piccola per modo di dire. Sbagliamo un incrocio per una svista del navigatore, cioè io e quindi ci troviamo su sterrate in mezzo ai boschi. Poco male perché la macchina è un fuori strada ed il paesaggio incantevole ma tant’è che i pesci ci aspettano. E poi chi doveva organizzare il percorso, Rob è presbite come una talpa e chissà dove saremmo arrivati. Siamo proprio una compagnia di sbombardati. Lungo il percorso ci attraversa la strada una mandria di vacche pezzate rosse, ma non quelle del titolo. Le allontano con versi ed espressioni da pastore lombardo e le bestiole ci fanno passare. Potere del linguaggio gutturale. Dopo non pochi chilometri passiamo da Cerkno e ci ritroviamo sulle rive del fiume. Noo… L’acqua è una broda informe dello stesso colore del pastone che danno da mangiare ai maiali. Del resto ha continuato sempre a piovere e non potevamo aspettarci di meglio. Le illusioni sono sempre le ultime a scomparire. Diamo un’occhiata ai laterali più piccoli ed, in effetti, sono più limpidi. Ormai siamo in ballo e torniamo all’hotel del primo giorno per fare i permessi e prenotare il pernottamento. In attesa di eventi, che smetta di piovere per esempio, andiamo verso le sorgenti del Tolminka. Ci facciamo spiegare la strada, che abbiamo inutilmente cercato di percorrere in anni passati e finalmente la troviamo. Ma non so se è una fortuna. Lo sterrato della larghezza sufficiente per fare passare sì e no una macchina passa lateralmente al fiume, che scorre giù in fondo alla gola, senza la minima traccia di un guard rail. Aggrapparsi con forza alla carrozzeria dell’auto non serve a niente perché la seguiremmo nell’infausto destino. Stringere le chiappe nemmeno perché sarebbe un comportamento del tutto irrazionale. Ma pregare i santi protettori sì che sarebbe utile. Infatti, alla fine dell’interminabile sentiero c’è uno slargo con una cappelletta votiva contenente S.Giorgio che uccide il drago.  Ci proteggerà nella via del ritorno ma la sbarra posta di traverso impedisce qualsiasi possibilità di procedere verso la parte alta del torrente. Dietro front, coda tra le gambe e via andare. Torniamo alla confluenza tra Tolminka e Soça dove la statuaria giunone mi saluta con un ghigno ma i livelli sono alti. Rob prende qualcosa a sommersa ma poco di che. Decidiamo di risalire un po’ il Baça. L’avevamo costeggiato per la prima traversata e non ci era sembrato male. Abbastanza piccolo e corto da risentire di meno delle bizzarrie del tempo atmosferico. In realtà è buono e negli slarghi di fianco alla strada pinneggia una folta popolazione di grosse iridee. Sembra che ci abbiano versato delle autobotti di pesci, vista la comodità degli accessi. Non sono molto disposte a collaborare ma mentre cala la sera si fanno meno diffidenti. Ne prendo diverse a galla con la fantomatica mosca klinkhammer ma ne perdo anche alcune in quanto il finale sottile non regge le testate delle più grosse e le abrasioni sul filo dei denti affilati delle trote. E’ quasi buio e preso dalla foga sono ancora immerso nell’acqua fino all’ombelico. Scappo alla macchina per cambiarmi. Non me ne ero accorto ma fa veramente freddo. Anche gli altri sono tornati. Erano nelle buche a monte ed hanno avuto gli stessi risultati. Torniamo in hotel per doccia e cena per poi scoprire che il museo etnografico e di storia naturale nella piazza di fronte è straordinariamente aperto fino a mezzanotte. Con un po’ di sforzo io e Giampi ci concediamo questa parentesi culturale molto interessante. L’altro ominide è già sotto il piumone che russa. Speriamo di dormire questa notte. L’indomani si rientra.

Luglio passa con il suo carico di caldo ed afa. Il mese sembra non finire mai ma il 2 agosto, purtroppo tragico anniversario della strage alla stazione di Bologna, parto per la Francia. E’ una vacanza-invito ad un matrimonio che si terrà nella regione dei Pirenei francesi. Si sposa il nipote della mia compagna, che vive nella zona di Bordeaux da qualche anno. La cerimonia sarà celebrata nella chiesina della frazione di Pujos, vicino a Saint-Gaudens, dove i genitori di Lucy, la futura moglie, hanno una bellissima casa in campagna. Non dovrebbe essere un viaggio di pesca. In realtà parto armato fino ai denti: attrezzatura da mosca, da spinning ed il minimo indispensabile per la tecnica con il galleggiante. Non si sa mai a quali situazioni si può andare incontro. La partenza dovrebbe essere intelligente ma visto il periodo, metà della popolazione vacanziera si è riversata sul nastro d’asfalto. Anche se partiamo alle 4 ed i km sono poco più di mille, non siamo a destinazione che alla sera sotto una pioggia battente. L’equipaggio è composto dal sottoscritto, la mia compagna Francesca, sua figlia Letizia e la nipotina Emma di poco più di un anno. La piccola è stata anche troppo buona. L’abbiamo rintronata con le vecchie canzoni dello Zecchino d’oro per buona parte del viaggio ed il resto se l’è dormito. La sera ceniamo e poi dormiamo in questa specie di comune dove tutti partecipano all’organizzazione delle faccende quotidiane. Per adesso siamo in pochi ma per venerdì, vigilia del matrimonio, dovremmo essere una settantina. Verrà allestita una specie di tendopoli con cucina da campo e servizi. Noi comunque domani sera abbiamo prenotato l’albergo. Il mattino dopo mi dedico alla ricerca delle informazioni piscatorie. Ad Aspet, pochi km da dove siamo, c’è un efficientissimo ufficio turistico. Alle 9, orario di apertura dello stesso, sono già davanti alla porta scorrevole. Per 30 euros mi viene data la Carte de Pèche Vacances rilasciata dall’Association Agree pour la Pèche et la protection du milieu aquatique Ger / Job, che sono i due torrenti che scorrono da queste parti. Per leggerla mi si arrotolano le labbra intorno alla lingua. Mi viene anche consegnata una guida sulla pesca in Alta – Garonna con tutte le informazioni necessarie per non farsi cogliere in flagrante in caso di scostamento dai regolamenti. E’ un libretto di 30 pagine abbastanza corposo che mi sforzo di tradurre. Di fronte al mio sguardo inebetito e alle domande idiote che le pongo, la signorina alla reception mi tranquillizza. Posso pescare dovunque e con tutte le tecniche.  Basta che rispetti il limite di 10 trote giornaliere e la misura minima, fissata sui 20 cm. La cosa mi puzza e penso proprio che mi farò aiutare da qualcuno per capire come funziona il tutto. Purtroppo scopro i giorni seguenti che è tutto vero ed anche se giro in lungo ed in largo la regione, di trote più lunghe di pochi cm non riesco a vederne né a pescarne una. Alla faccia dei killer, qui non fanno prigionieri e mi capita addirittura di vedere dei pescatori con il sacchetto a tracolla dei bigattini o larva di mosca carnaria che dir si voglia, in acque da salmonidi. Metodo da noi assolutamente proibito perché troppo catturante. Provo con tutte le tecniche ed in quasi tutte le acque indicate dalla guida, ma non c’è niente da fare. In più sono perseguitato dalla sfortuna perché ogni tanto aprono le dighe a monte, specialmente nella Garonna e bisogna stare sempre in campana.  Quando viene giù l’onda di piena la velocità di fuga è fondamentale.  E pensare che ho promesso di portare a casa la cena. Che figura! Solamente un giorno sono riuscito a catturare qualche bel persico reale nel lago Barbasan con il lombrico di letame. Nelle dolci colline della regione pascolano beatamente delle vacche, non ancora quelle del titolo, di diverse razze da carne. In particolare la famosa Garonnese, dal mantello di colore fromentino, anche nota come blonde d’Aquitaine. La fantasia nella classificazione delle razze qui si sbizzarrisce. Rumigo pazientemente nella letamaia di fianco ad una stalla per procurarmi il prezioso barattolo di esche. Strani soggetti questi pescatori. Il contadino deve avere pensato che di matti ce ne sono ancora molti in circolazione. Comunque lo scopo è stato raggiunto ed i filetti abilmente cucinati. Intanto sono arrivati in macchina anche Eleonora, l’altra figlia di Francesca che vive in Inghilterra e Victor, il suo compagno spagnolo, entrambi farmacisti. Mi hanno portato la canna da pesca in bamboo che avevo comperato a Portobello e che non ero riuscito a portarmi a casa in aereo.  Leggere il racconto precedente “ benvenuto Mr. Bean “. Il matrimonio è molto pittoresco. Il corteo si snoda a piedi, per una stradina di campagna, dalla casa dei genitori di Lucy fino alla chiesetta. La musica della fisarmonica ci accompagna allegramente. La sera la festa si tiene in un locale rustico con terrazza sul fiume a Miramont de Comminges, vicino a Saint Gaudens. Due pescatori con la mosca provano il coup de soir con scarsissimi risultati. La cena e lo spettacolino autoprodotto da sposi ed amici, con filmati dalla loro nascita al fidanzamento, è veramente simpatico. La trota al cartoccio completamente deliscata, anche se ancora intera anatomicamente, mi lascia sbigottito. Provo a farmi spiegare dal cuoco la tecnica di preparazione del salmonide ma le bollicine dello champagne mischiano i particolari salienti. Il tavolo dei formaggi poi mi lascia sgomento. Sarei già pieno, sazio e satollo ma come si fa a resistere. Ce ne sono troppi. Ognuno ha il suo cartellino con la denominazione, la specie animale, la regione, le caratteristiche. La festa finisce, andiamo tutti in pace. E’ passata quasi una settimana da quando siamo arrivati. L’avventura francese si conclude e comincia quella spagnola. A circa 80 km, seguendo il corso della Garonna fin verso le sorgenti, c’è la cittadina di Vielha nella Val D’Aran. Abbiamo prenotato un bungalow su due piani in un campeggio a pochi km da questa famosa località sciistica invernale. Ci sono anche i genitori di Victor con la roulotte, che vengono tutti gli anni a trascorrere qui il periodo estivo.  Dopo la confusione dei festeggiamenti, un po’ di riposo sembra salutare per tutti. Ma non per me. Sono già in movimento con le meningi. In una rivista di pesca del 2007, che ho portato gelosamente con me, c’è un articolo che attrae la mia curiosità in copertina. Mosca: weekend a caccia di belle fario nei Pirenei. A parte una serie di inesattezze sui costi ed i luoghi dove fare i permessi e le solite notizie trionfalistiche su catture a più non posso, il giornaletto mi serve per individuare velocemente i possibili spot dove andare. Per cui gambe in spalla ed affrontiamo la burocrazia. La prima mossa è sempre l’ufficio turistico. Apre alle 9 e come sempre mi presento davanti alla porta scorrevole puntuale come un metalmeccanico davanti alla fabbrica. Miracolosamente sono puntualissimi anche loro. Sinceramente non me l’aspettavo. Tutti gli stereotipi che abbiamo sull’indolenza degli spagnoli, la siesta pomeridiana, etc. La signorina alla reception mi spiega che prima devo andare in Comune a fare la licenza annuale della Catalogna e poi posso tornare da lei per il permesso giornaliero. Rimango incantato dalla musicalità della lingua che parla. Torno presto, forse. Al Conselh Generau d’Aran, Departament de Miei Ambient e Pagesia, mi compilano la Licencia de Pesca Recreativa ma i 15,05 Euri non li possono ricevere. Devo andare a pagarli presso una banca, la Caixa de Catalunya e ritornare da loro con la ricevuta per avere il documento. Mi metto in fila allo sportello bancario. L’attesa non è breve. Ce la faccio, mi abbuonano anche i 5 centesimi, che fortuna. Ripasso dal Comune e poi di nuovo dall’ufficio turistico. La signorina di cui sopra mi mostra una carta geografica della zona con tutti i settori di pesca e mi chiede dove voglio andare. Eh! Domanda sibillina. Le possibilità sono molte e non conosco il fiume. Decido di andare dal confine francese a Es Bòrdes, poco a monte del Camping dove siamo alloggiati. Ho visto dalla strada dei bei tratti interessanti per l’attività alieutica. E’ una Zòna de pesca controlada intensiva. Garona: 10 captures, mesures minimes 21 cm. Anche qui non scherzano in quanto a prelievi. Sborso i 9 euro e 15 del giornaliero e torno al Bungalow. Ormai è l’ora di pranzo. Mangio un panino al volo, indosso l’abbigliamento necessario e poi mi infilo giù per un sentiero che porta al fiume. L’orario non è certo dei migliori. Non ci sono schiuse e non c’è nessuna attività superficiale. Pesco in caccia con delle vistose parachute e provo anche con delle sommerse ma il risultato non cambia. Ci sono degli scorci magnifici e vedo qualche trota piantata sul fondo ma sembra del tutto disinteressata a quello che le sta intorno. Mi sposto in zone diverse giusto per esplorare e scattare qualche bella foto che mi servirà per fare degli acquerelli. Contrariamente a quanto mi aspettavo ci sono diversi pescatori in giro ed i posti migliori sono già occupati.. Diminuisce la luce e comincia a rannuvolarsi. Da un ponte vedo le prime bollate. E’ il segnale. Il posto è difficile, molto incassato ed in mezzo alle rocce. Scendo per un sentiero più a valle e guado il fiume per arrivare nella zona calda. Faccio qualche lancio ma fatico ad arrivarci con la mosca. Manca sempre quel metro che fa la differenza. Avanzo un po’ nell’acqua ma sono al limite. Sento che qualche altro passo in avanti mi metterebbe in una situazione di pericolo. Mi concentro meglio nel lancio e finalmente ci arrivo. Ma la mia mosca non gli interessa. Comincio la frenetica ricerca di quella giusta. Ne cambio non so quante. Ci ragiono sopra ma non riesco a trovare il bandolo della matassa. Riesco ad avere ragione di qualche trotella attorno ai 20 cm, ma di quelle toste assolutamente no. Poi improvvisamente, come tutto era cominciato, l’acqua si fa piatta e non si vedono più cerchi nell’acqua. Strano, dovrebbe essere un crescendo ed invece non accade più niente. Qui gatta ci cova. Vedo, infatti, che l’acqua comincia ad intorbidirsi e venir giù più forte. Mi fiondo velocemente a riva giusto in tempo per schivare la piena. Hanno aperto la presa a monte. Del resto in tutti i sentieri di accesso al torrente ci sono i cartelli: Atenciòn, Peligro ovvero pericoloso. L’attività per oggi è sospesa.  L’indomani la situazione non promette niente di buono per me. Stessi livelli, per la gioia dei canoisti che vengono a valle cavalcando le rapide e lanciando urla disumane. Verso sera torno indietro dopo il confine con la Francia. Del resto ho il permesso francese ancora valido e me lo conferma il guardiapesca quando lo controlla e gentilmente mi saluta. Non ero poi così sicuro di poter pescare dappertutto. L’acqua è tornata limpida ma i pesci devono ancora essere rintronati e torno al camping con un bel capotto.

Dopo una giornata di riposo piscatorio dedicata alla visita degli splendidi scenari e paesini che contornano la valle, medito di cambiare zona. A circa una quarantina di km, nella valle dell’Aneu, c’è un posto molto bello chiamato Embalse la Torrassa che appartiene al Consorci de pesca Alt Pallars. Questa specie di grande risorgiva è formata da uno sbarramento del fiume ed è divisa in zone. C’è un tratto no-kill a mosca e quello aperto a tutte le tecniche, detto di pesca controlada intensiva dove si possono trattenere 6 capi con misura minima di 22 cm. Si arriva dopo una strada tortuosa che attraversa il passo di Pòrt dera Bonaigua, a 2000 metri. I permessi giornalieri, del costo di 12,20 euro, li fa un soggetto molto caratteristico, presso la botiga de pesca di fronte al campeggio Nou Camping a La Guingueta d’Aneu sulle rive dell’omonimo corso d’acqua. Abril Pirineo, così penso si chiami il tipo, che fa anche da istruttore e Guia de pesca a mosca, con una flemma spagnola mi controlla la Licencia annuale della Catalogna e stacca il fatidico biglietto giornaliero. Del resto sono le 9 del mattino e l’ho tirato giù dal letto suonando il campanello della casa di fianco. Anche se mi friggono le suole delle scarpe sotto i piedi non posso non soffermarmi ad ammirare le foto delle catture appese alle pareti della baracca di legno. Inoltre il negozio è ben fornito di attrezzature per ogni tipo di tecnica piscatoria. Chiedo qualche informazione sui posti buoni e le esche migliori e lui mi dice, sornione, di girare e provare perchè è solo la mia esperienza che porta al risultato. Mi incammino fiducioso per il sentiero che costeggia il lago. Prendo un paio di trotelle sottoriva, a ridosso degli alberi che si affacciano sull’acqua. Il sole è alto e l’orario non aiuta. In più giro a vuoto per provare in zone che si rivelano infruttuose. Sto pagando il prezzo del noviziato ma sono convinto pian piano di trovare il verso giusto. Mi diverto a pungere dei gardon dalle pinne color arancione che salgono famelici sulle mie piccole moschette. In una zona con un po’ di corrente prendo dei pesci di una ventina di centimetri che non ho mai visto. Assomigliano a delle lasche ma con una livrea molto più scura. Curioso!  Fino a sera non succede niente di significativo. Altri pescatori girano intorno allo specchio d’acqua condividendo la stessa sorte, anche se usano altre tecniche. Si è alzato anche un vento fastidioso che non aiuta il lancio e mi ritrovo spesso a dovere districare nodi o rifare il terminale. Solo un energumeno solitario sta piantato in mezzo alla risorgiva con l’acqua che gli arriva quasi alle ascelle e fa dei lanci controvento da manuale. E per di più cattura, il maiale. Verso le 6 gli elementi si acquietano. Qualche timida bollata si forma sulla superficie per poi aumentare di intensità con il passare del tempo. Metto su una formica alata da me costruita in corpo di foam nero e ciuffo in cul de canard su amo del 18. Assolutamente inaffondabile. Pochi istanti e la trota viene a galla per ghermirla con rabbia. Purtroppo il filo sottile dello 0,10 non mi permette di forzarla troppo e quando si infila in un erbaio si guadagna la libertà. Voglio esagerare e ed aumento il calibro del nylon fino allo 0,12. Vedrò meno mangiate ma forse riesco a portare a riva qualche esemplare in più. Rimetto l’imitazione di formica. Fortunatamente ne ho costruito una decina perché è un insetto in cui credo. Lancio in prossimità di una bollata ed un altro bel pesce abbocca. Lo sguadino, lo annocco sulla testa con un pezzo di legno per impedirgli inutili sofferenze e poi lo metto nel cestino di vimini con della mentuccia bagnata per mantenerlo fresco. Ha una livrea stupenda, quasi come quella di una lacustre solo con grosse macchie nere. Un altro pescatore spagnolo si avvicina incuriosito per vedere cosa sto usando visto che lui fino a quel momento non ha battuto chiodo. Glielo mostro e dall’espressione del suo viso sembra che abbia visto la madonna di Lourdes. Mi ringrazia e si allontana ripetendo quasi incantato la parola magica: hormiga con alas. Fino al tramonto è una tempesta di catture, considerando quelle scagliate, rotte o trattenute. Il bottino è più che dignitoso: 5 bellissime fario sui 35 – 40 cm. Pedro, il miracolato a cui ho dato l’artificiale è contento come una pasqua. Ha fatto un buon carniere anche lui e mi invita a cena a casa sua. Lo ringrazio ma declino l’invito perché ho un’ora di montagna da affrontare e al campeggio mi aspettano. Sono come gli uccellini che attendono pigolanti il ritorno del genitore con il cibo nel becco. Mentre mi incammino verso la macchina incontro l’abilissimo pescatore che era a mollo in mezzo al lago. E’ Abril che mi saluta con un sorriso furbo. Ne deve sapere una più del diavolo. Arrivo troppo tardi per fare da mangiare, quindi eviscero il pesce, lo metto in frigo e ceno con quello che mi hanno lasciato. Visto le previsioni del tempo domani le condizioni saranno pessime, specialmente nella seconda metà della giornata. Faccio il punto della situazione ed alcune considerazioni. E’ l’ultima possibilità di pescare qui in giro, non credo ci verrò molto spesso da queste parti. Non c’è in programma niente di particolare per cui decido di ritornare all’Embalse. Bisogna battere sul ferro finchè è caldo. Molto prima dell’alba sono in macchina. Vado piano perché ho sentito diversi racconti sull’attraversamento delle strade da parte dei cervi e sui danni provocati alle carrozzerie delle vetture. Incrocio solo delle specie di donnole che schivo a fatica ed una volpe spurita. E’ ancora buio quando arrivo a destinazione. Pian piano albeggia. Senza dubbio il momento è magico. Si sentono solo i rumori degli animali notturni intervallati da quelli dei pesci che cacciano a galla. Quando la luce lo permette comincio a pescare. Mi riservo di fare il permesso quando il sonnecchioso gestore apre la baracca. I grossi sono in caccia ma non riesco a portarne a riva uno perché rompono il terminale o si infilano nelle erbe. Alle 9 sono a fare il permesso. Abril mi spiega la tecnica e le mosche da lui usate ieri. Oltre all’abilità naturalmente. Ci casco come un allocco ed acquisto le più, secondo lui, catturanti. In quelle condizioni, elementare. Ovviamente spendo più del costo del permesso. Mi do dell’imbecille ma ormai è andata così. Oggi però le cose sono molto diverse. Un vento gelido scende dalle pendici più alte dove c’è ancora un po’ di neve che non si è sciolta, portandosi dietro nuvole cariche di pioggia. Accantono la mosca perché sono condizioni impossibili. Mi dedico allo spinning ed ascolto i consigli che mi aveva dato Abril in proposito. Attacco alla girella un pesciolino finto abbastanza pesante e senza paletta che rimane sotto la superficie dell’acqua recuperandolo velocemente. E’ un modello Filibustiere che ho comperato sul lago di Como e che viene usato in quelle zone per insidiare i cavedani. Deve stare sopra la corona di alghe ed arrivare in mezzo al canale di corrente della risorgiva. Aggancio qualche mostro ma uno si infila negli erbai e poi si slama, l‘altro si slama invece a pochi centimetri dalla mia mano ed il terzo rompe il filo e se ne va via con la mia esca attaccata. Ho un freddo cane, il tempo è inclemente e la sfortuna mi perseguita. Chiudo il libro a metà pomeriggio. Alle 7 sono a Vielha per gustare in un bar le tapas ed i boccadillos con l’aperitivo insieme a Francesca & Co. Qui finisce la mia vacanza piscatoria spagnola. Mi rimane il rammarico di non essere riuscito ad andare a pescare nel Parque Nacinal de Aiguestortes y lago de Sant Maurici, non molto distante da dove siamo. Ho visto dei servizi turistici e deve essere meraviglioso. Durante il ritorno c’è stato un incidente internazionale, nel vero senso della parola. Mentre pagavo il rifornimento alla cassa dell’Autogrill, un autoarticolato ha pensato bene di strisciare i suoi pneumatici sul cofano della mia macchina: non l’aveva vista, bofonchia il bastardo. Quando sono tornato nel piazzale per proseguire il viaggio ed ho visto pezzi di carrozzeria dovunque sono quasi svenuto. Si possono immaginare i disagi conseguenti. Ancora oggi, anche se mi hanno riparato l’auto, sono impelagato in un complicato contenzioso internazionale. Esperienza da cancellare.

Alla fine di Agosto riprendo i contatti con Stefano, principalmente tramite e-mail. Mi gira un’offerta dell’Hotel Platzer, che si trova a Gerlos nel Tirolo austriaco e possiede una riserva molto interessante. Il periodo è molto affollato perché c’è la festa dell’Almabtrieb ma con un po’ di fortuna riusciamo a trovare una camera. Il mio compare ha un filo diretto con l’Hotel ed inoltre conosce un po’ di tedesco. Chiede altre informazioni ed i teutonici in pochissimo tempo rispondono. Settembre passa in fretta e viene il momento della partenza. La situazione meteo, che seguiamo da due settimane, ci suggerisce di partire giovedì mattina presto per recuperare una giornata intera di pesca. Sabato, infatti, si apriranno le cataratte del cielo. Alle 2 e 45 suona la sveglia. Va bene presto, ma così è ancora notte profonda. Brancolo fino alla cucina e mi sparo un caffè doppio. Faccio la doccia e mi vesto come un automa. Carico l’auto con tutta l’attrezzatura che ho preparato ieri sera. Meno male che mi scrivo in anticipo sull’agenda cosa devo portare durante i viaggi altrimenti dimenticherei tutto. Del resto tra una faccenda e l’altra mi riduco sempre a fare i bagagli all’ultimo momento. Imposto il navigatore sulla via di casa del collega. Inserisco il pilota automatico e guidando un po’ in trance alle 4 e qualche minuto, come concordato, sono a destinazione. Dopo alcuni grugniti di saluto carichiamo anche la sua attrezzatura nel bagagliaio. Il viaggio scorre via liscio. Non c’è molto traffico a quell’ora, a parte i camions in corsia di destra. Li guardo con sospetto vista l’esperienza traumatica precedente. Oltrepassiamo il Brénnero, Innsbruck, giriamo a destra per la valle dello Ziller e poco oltre siamo a Gerlos, 1245 mt, una variopinta località turistica affollata durante tutto l’anno ma soprattutto famosa per gli sport invernali. Lungo il percorso notiamo diverse mandrie di vacche al pascolo e non sono ancora quelle del titolo. Alcune presentano le tipiche caratteristiche della razza Pinzgauer, allevata in queste ed altre regioni per la duplice attitudine, con prevalenza per la carne. Hanno un mantello pezzato rosso con una tipica fascia bianca che circonda il corpo longitudinalmente dalla giogaia al garrese. Un tripudio per i miei occhi. Alle 9.30 fermiamo l’auto davanti  all’Hotel. Alla recepion ci accoglie Cornelia, Conny 2, abbigliata con il costume tradizionale tirolese che mette in evidenza la prorompente generosità del balconcino. Di fianco a lei il gattone nero Jimmy ci guarda di sottecchi con i suoi sgranati occhioni verdi. Ci viene consegnata la tessera con il microchip che funge da chiave ed il regolamento dell’hotel, per mettere subito le cose in chiaro. Dieci minuti per scaricare la macchina e sciacquarci la faccia e Kurt, la guida e guardiapesca della riserva, è pronto nel parcheggio per scarrozzarci in giro e farci conoscere tutte le acque disponibili. Comincia con il corso principale del Gerlosbach, che scorre di fianco alla strada. In un rigiro di corrente pinneggiano allegamente degli esemplari di salmonidi di buona taglia. Scendiamo più a valle e ci infiliamo per una carraia sterrata che risale il corso dello Schwarzachbach. Anche qui le buche sono ben popolate ed ospitano esemplari di tutto rispetto. Andiamo poi nella parte alta della riserva e la scena si ripete. Sembra di girare insieme al gatto con gli stivali che mostra le meraviglie dei possedimenti del marchese di Carabàs. Torniamo alla reception dove ci viene fornita la Fischerkarte, 15 euro al dì ed il telecomando per aprire le sbarre di accesso alle mulattiere che costeggiano i torrenti laterali. L’organizzazione non fa una piega. L’hotel è un quattro stelle con annesso centro benessere che fornisce sauna finlandese, bagno turco, massaggi e ogni altro servizio necessario per il rilassamento totale del cliente. Ma a noi non interessa, abbiamo altro per la testa. Siamo proprio messi male. Un’altra caratteristica che il luogo possiede è che sembra un vero ittiodelirio. Con questa definizione intendo dire che ci sono in ogni angolo oggetti o particolari che ricordano il mondo ittico, come a casa mia. Ogni tanto giro l’occhio e scopro nuove cose che attirano la mia attenzione. Oltre alla maniglia della porta d’ingresso o alla fontana nella zona antistante all’albergo ci sono vetrate, quadri, portaceneri ed altre suppellettili con lo stesso tema. Ma passiamo all’azione. Come due polli che si lanciano famelici sul mangime ci precipitiamo nel primo posto che ci ha mostrato Kurt. Il mio amico è pronto prima di me e scende in acqua. Si accende un sigaro con una flemma da lord inglese e comincia a pescare. Non lo avevo mai visto fumare. E pensare che lo conosco da quasi trent’anni. Io devo cambiare il finale, rovinato dalla dentatura delle trote spagnole di cui sopra e mi siedo su di un sasso in prossimità della riva per fare l’operazione. Mi accendo anch’io il cigarillo, metti che porti fortuna. Con un occhio guardo il filo che sto sostituendo e con l’altro seguo i volteggi della coda di topo e la posa della mosca nei rigiri di corrente. Strabismo di vulcano, consorte di venere. Dopo qualche lancio un pesce sale a ghermire l’artificiale ma il mio collega che non se l’aspetta non è pronto a ferrare in tempo. Poco male. Anche se le bollate sono rade e pochi insetti sfarfallano sulla superficie dell’acqua la cacciata dimostra che il pesce è in attività. Scendo nella buca a valle più convinto che mai. Metto la mia solita klink e lancio sulle sagome scure che si muovono poco sotto la superficie. Ho gli occhiali polarizzati che mi aiutano ad individuare bene le prede. L’indifferenza totale a cui assisto mi convince che qui non solo gli animali sono smaliziati, ma sanno leggere, scrivere e qualcuno ha già anche il PC portatile. Impermeabile naturalmente, non come i nostri. Faccio alcuni tentativi con artificiali diversi. Uno non lo vedo bene, l’altro non galleggia a dovere, l’altro ancora scende storto. Finalmente trovo quello giusto. Un’imitazione di effimera grigia che scende perfetta sul filo della corrente. La trota non resiste alla tentazione ma sale poco decisa. E’ inlamata a fil di bocca e dopo qualche scodata si libera. Non importa. Il no-kill qui è totale ed assoluto ed è giusto che sia così. I pesci non sono facili ma hanno delle livree perfette ed una forza nel combattimento inusuale. Le pinne integre e l’abitudine a vivere nelle forti correnti fanno di loro delle macchine da nuoto ideali. Lavo ed asciugo la mosca e ricomincio a lanciare un po’ più a monte. Qui c’è stato dello scompiglio e gli altri esemplari si sono allarmati. Siamo praticamente all’inizio del paese in mezzo a case ed alberghi ma da dentro il fiume sembra di vivere in un altro mondo. Lungo il sentiero della passeggiata di fronte a me scende una coppia di anziani che evidentemente aveva seguito le fasi della cattura. Non me ne ero accorto. Il vecchietto si sbraccia a più non posso. Mi indica dove sono i pinnuti come se io fossi cieco oltre che bendato. Capisco dai gesti che anche lui è un pescatore ma forse ha attaccato la canna al chiodo. Tento un lancio rollè perché alle spalle ho molti alberi. La mosca cade con precisione nello spot. Quello che aggancio non ne vuole giustamente sapere di farsi catturare e decide di esibirsi in piroette spettacolari prima di lanciarsi in una folle corsa a valle. Ed io dietro. Rischio di scivolare più volte sui sassi della riva ricchi di vegetazione ma le suole chiodate degli stivali mi salvano le ossa. Penso di perderlo in più occasioni ed invece alla fine ho la meglio. Lo sguadino, lo slamo, lo fotografo e poi lo libero. E’ una bella iridea stimata sul kg e mezzo che se ne torna nel suo ambiente naturale. Gli spettatori di fronte si prodigano in un fragoroso applauso. Quasi mi prendo un colpo dallo spavento. Con lo scrosciare dell’acqua e la foga della lotta non avevo notato gli allegri amici improvvisati. Abbandono la folla e raggiungo Stefano. Qualcosa ha preso ma non pezzi grossi. Mi metto di fianco a lui e decido di cambiare completamente tecnica. Attacco al finale una ninfa piombata. Uso un segnalatore in pasta arancione ben visibile a circa un metro e mezzo dal fondo. Quando vedo che si ferma in mezzo alla corrente, ferro deciso. Anche qui il pesce di taglia mi porta dove vuole. Del resto con dei finali così sottili, vista la trasparenza dell’acqua, bisogna trovare il giusto equilibrio tra carico di rottura e sospettosità dell’animale. La tenzone finisce presto perché il trotone si slama da solo. Un fuoristrada si ferma sul ponte vicino a noi. E’ Kurt che ci chiede come va. Bene, per adesso ci stiamo divertendo. Il tempo è magnifico, il fiume anche, la temperatura è gradevole e anche se le trote sono difficili la pesca è appassionante. A metà pomeriggio cambiamo zona ed andiamo in un affluente che si chiama Schonachbach. Dopo le prime malghe con le immancabili vacche la valle diventa selvaggia. Il torrente è piccolo e l’acqua gelida è limpidissima. Lascio l’amico nelle prime buchette ed io salgo fino a che non finisce lo sterrato. Faccio i primi lanci ma i pesci sono sospettosissimi. Saettano via nascondendosi sotto i sassi o rimangono immobili come se fossero inchiodati al fondo. Devo lanciare da lontano e rimanere acquattato il più possibile. Finiscono i prati ed i pascoli e risalgo il corso d’acqua in mezzo a sassi ciclopici. Mi devo arrampicare come un geco e dietro ogni passaggio si svelano scorci magnifici. Faccio molte foto che ispireranno tavolozze di colori il prossimo inverno. Spingermi così lontano un po’ mi inquieta. E se scivolo su un sasso? Evenienza quanto mai possibile. E se sbuca l’orso? Questa spero più remota. Scendo a valle. Raggiungo l’amico dove l’avevo lasciato. Non mi sembra molto soddisfatto. Riserviamo il coup de soir alla parte alta della riserva e precisamente al Finkausee, che si raggiunge dopo 12 km oltrepassato il Gerlospass, in direzione delle cascate di Krimml. Lo scenario è tra i più spettacolari. Il lago, non troppo ampio, è circondato da una catena di monti tra i quali spicca il Reichenspitze a 3303 mt con il suo ghiacciaio perenne. Vi sono cerchi sull’acqua dappertutto segno che il pesce è in notevole attività. Gli insetti che schiudono sono piccoli chironomidi e altri ditteri di modeste dimensioni. Nonostante il posto immacolato la qualità delle acque non è poi così eccezionale. Sulle rive dello specchio d’acqua c’è un bell’Alpengasthof, un grande albergo. Che abbia qualcosa a che fare con l’ecosistema del posto? Per non sapere nè leggere nè scrivere, come si dice, metto un’imitazione di larva di chironomo rossa che sta appena sotto il pelo dell’acqua. L’effetto è devastante. Si succedono, in ordine sparso, salmerini di fonte, salmerini alpini, che non avevo mai preso e temoli di buona taglia. Avevo letto che qui c’erano ma non mi aspettavo di trovarne così tanti e così collaborativi. Di solito fanno ammattire il moschista perché sono estremamente selettivi. Ormai quasi a buio smontiamo l’attrezzatura per il rientro. Nei boschi circostanti i cervi inscenano un concerto di bramiti che fa venire la pelle d’oca. Anche perché è abbastanza freddino. In fondo siamo a 1420 mt di altitudine. In hotel, dopo la doccia, ci presentiamo a tavola alle 20.25. Del resto nel vangelo consegnatoci c’era scritto per favore accomodarsi in sala al più tardi alle 20.30. Gli sguardi di Sabine sono molto significativi. Probabilmente ha un appuntamento più tardi con un massaggio ai piedi. La cena è a buffet che traduco maccheronicamente con abbuffata. C’è proprio ogni ben di dio e ci rimpinziamo come maiali. Del resto è da stamattina prima dell’alba che non mangiamo. Non so come facciamo a stare ancora in piedi. Ma non si può andare a letto con la pancia vuota. Di fianco all’albergo hanno allestito un tendone per la festa di sabato. C’è un gruppo folk che si esibisce in canti e gorgheggi della tradizione popolare. Ci infiliamo in mezzo alla folla e ci sediamo ai tavoli. Fiumi di birra scorrono fuori e dentro le budella degli avventori. Resistiamo un po’ ed infine ci decidiamo a rientrare dopo avere bevuto la nostra ambrata bevanda. Mentre saliamo le scale Stefano si accorge di avere perso gli occhiali. E’ sicuro che questi siano caduti in mezzo  alla bolgia infernale e che non li rivedrà mai più. La ricerca delle indispensabili lenti e del pass per entrare nella nostra stanza saranno una costante in questi giorni da parte del collega. Gli dico che fare un tentativo non costa nulla e così proviamo la sorte. Nella panca dove ci eravamo seduti un individuo indirizza il mio cieco amico alla volta del chitarrista che alla fine del brano musicale porge gli occhiali ed urla alla folla parole incomprensibili. Un’ovazione del pubblico segue la consegna dell’oggetto con l’imbarazzo totale dei sottoscritti. Durante la notte lotto strenuamente con il piumone. Mi giro e mi rigiro. Ho le scalmane e mi scopro continuamente. La mattina dopo sono già stanco. Anelo ad un caffè espresso ma qui la broda che danno non serve nemmeno per sollevare le palpebre degli occhi. In compenso la colazione, sempre self service, contempla alimenti di ogni genere. Dal salato al dolce vi è prosciutto, formaggi, uova, wurstel, torte, frutta, yogurt, etc,etc. Al quarto giro rallento mentre il compagno di merende continua. Dice che bisogna fare i rifornimenti per arrivare fino a sera e così riprendo anch’io la girandola. Il nostro tavolo è allestito nella sala fischerstube appositamente riservata ai clienti che si dedicano al nobile sport della lenza. Anche qui l’ittiodelirio imperversa. Addirittura i lampadari sono fatti come una canna da pesca a mosca con relativo mulinello. Ma schiodiamoci dalle panche in legno che contornano la stube e cominciamo la nostra giornata alieutica. Prima di partire controlliamo l’efficienza delle ricetrasmittenti. Più di una volta ci siamo persi e ritrovati solo a sera al rientro dalla battuta di pesca. Non ha molto senso a quel punto andare via in compagnia. Ci chiamiamo da dietro la vetrata come due deficienti. No, non ti sento. Indubbiamente uno di due apparecchi non funziona. Ci affideremo in caso di necessità al costoso utilizzo dei cellulari. Salutiamo Cornelia 1 alla reception e prima di uscire ci accingiamo a posizionare sulla lavagnetta i due magneti colorati che indicano il torrente dove andremo a pescare. E’ un modo per segnalare ai colleghi la propria posizione ed evitare così degli inutili affollamenti. Ma in questo momento non c’è pericolo. Ci sono solo altri due avventori e per di più italiani. Hanno scelto il Krummbach, uno degli affluenti più piccoli e sperduti. Chissà perché.  Pochi metri più avanti, dall’altra parte della strada dove scorre il fiume principale, ne capiamo il motivo. Hanno aperto la presa all’uscita dallo sbarramento più a monte che forma il lago Stausee Durlass-Boden. L’acqua è alta e torbida. Amen. L’alternativa sono i corsi laterali o la zona sopra il lago dove eravamo ieri sera. Optiamo per la prima ipotesi. Scendiamo a valle e dopo un piccolo invaso, lo Stausee Gmund giriamo a sinistra e risaliamo la valle dello Schwarzachbach. Apriamo la sbarra posta di traverso sullo sterrato con il telecomando e siamo sull’altipiano. Le pozze del torrente di fianco a noi sono ben popolate con esemplari di diverse taglie. L’acqua incredibilmente cristallina lascia presagire una difficoltà massima nella pesca. I goffi tentativi non sortiscono alcun effetto.  A metà mattinata comincia un pellegrinaggio di attempati personaggi che risalgono la mulattiera per andare al rifugio situato più a monte. Ci chiamano concitati per mostrarci le sette meraviglie ittiche della regione. Pensano che siamo proprio così ciechi? La situazione diventa insostenibile. Non si riesce a lanciare perché si rischia di catturare l’allegro pensionato per il bavero o peggio per l’orecchio. E’ il momento di alzare i tacchi. Consideriamo il piano B. Percorriamo i 15 km che ci separano dal Finkau-See tra boschi di conifere e pascoli rigogliosi. Costeggiamo il lago più grande lungo una strada tortuosa dove passa solo una macchina e arriviamo al Parkplatz dell’albergo, l’unico posto consentito ai mezzi motorizzati. Il parcheggio è pieno di auto ed anche un paio di pullman ma in giro non vediamo nessuno. Saranno tutti dentro in baracca a mangiare wurstel e bere ettolitri di birra.  Stefano scende più a valle per provare nel torrente che collega i due laghi. Io mi fermo nel posto di ieri sera ma sono poco convinto perché un vento di traverso non lascia presagire niente di buono. Infatti, l’attività a galla è quasi nulla e a parte un paio di cacciate non si vede altro. In un recinto situato sulla riva due porcelli grufolano beatamente . Hanno l’accesso libero all’acqua. Che si esibiscano in corroboranti nuotate negli assolati pomeriggi estivi? Comunque la sistemazione è invidiabile. Forse lo è di meno la sorte che gli toccherà tra pochi mesi quando saranno trasformati in salsiccie e salumi. Ma non è detto. Meglio un giorno da leoni che cento da ……...Senz’altro per adesso le norme sul benessere animale sono pienamente rispettate. Ma abbandoniamo queste digressioni filosofiche per dedicarci alla nostra attività principale. Scendo a valle per cambiare un po’ situazione. Costeggio il sentiero che porta al lago inferiore e mi godo il paesaggio. Ogni tanto chiamo il collega con urla lancinanti ma non ottengo nessuna risposta. Del resto c’è il rumore dell’acqua che scorre ed il vento che si infila tra gli alberi. Una quantità di funghi impressionante occhieggia dal sottobosco e dai pendii. Individuo dei lattari, dei tricolomi. Chissà quanti porcini si troveranno più a valle, qui probabilmente fa troppo freddo per quel genere di miceti. Parto dal lago inferiore e pesco a risalire con la mosca galleggiante. Con mia grande sorpresa catturo diversi esemplari di temolo, anche di buona taglia, oltre ad uno splendido salmerino dalla livrea variopinta. Del mio amico neanche l’ombra. Ci telefoniamo più volte prima di trovare dove abbiamo infilato l’apparecchio infernale, ma anche di capire in che punto siamo del corso d’acqua. Lo raggiungo mentre lotta con un grosso esemplare di timallide che lo tiene impegnato per diversi minuti. Alla fine si slama portandosi dietro una sfilza di improperi in dialetto bolognese. Ci raccontiamo come sono andate le cose. Anche lui si è divertito con temoli, salmerini ed una bella iridea. Il vento è calato per cui decido di tornare al lago incantato. Stefano decide di risalire ancora quel poco che gli rimane da sondare di fiume e poi mi raggiunge. Adesso sì che si fa sul serio. Le bollate sono decise e disseminate un po’ dappertutto ma specialmente nella riva dove batteva il vento. Metto su un’imitazione di formica alata ed i pesci salgono a candela dal fondo per ghermirla. Molti li scaglio perché ho così tanta adrenalina addosso e loro si avvicinano alla mosca con una flemma esasperante prima di afferrarla delicatamente. La baraonda continua senza sosta. Anche il collega mi raggiunge per chiudere la serata in bellezza. Come dicevano le previsioni il tempo sta cambiando e dei nuvoloni minacciosi si intravedono contro il profilo delle montagne. Alcuni cacciatori arrivano con due fuoristrada e si mettono a perlustrare con i binocoli i boschi e le radure intorno per individuare i cervi che mugulano sinistramente. Torniamo in albergo mezz’ora prima rispetto a ieri per evitare le occhiate torve di Sabine. Finalmente ci togliamo l’ingombrante bardatura e la riponiamo nell’apposita stanza al piano interrato. E’ un locale per il cambio delle tute e degli scarponi da sci con dei tubi riscaldati per infilarci le calzature, le calze e tutte le cose inumidite. Il giorno dopo è tutto asciutto e pronto per il riutilizzo. Sulle panchine dove ci si siede per cambiarci ci sono delle monete. Sono quelle che aveva seminato ieri Stefano e non aveva trovato per i suddetti problemi di vista. Proprio come da noi. Mi sa che anche qui possiamo tranquillamente prendere lezioni di civiltà. Prendiamo l’ascensore ed andiamo direttamente in stanza per riassettarci un po’. La cena come al solito è sontuosa. Oltre al solito buffet ci sono delle portate aggiuntive. L’entrecote di cervo, a cui è stato tolto violentemente il diritto di bramire, con i frutti di bosco allieta la serata conviviale.  L’hotel è pieno di avventori che indubbiamente si preparano alla festa di domani. Molti sono abbigliati con i costumi tradizionali. Le donne con i vestiti lunghi e le gonne plissettate decorate a fiori e gli uomini con le braghe di cuoio tenute su dalle bretelle. Indubbiamente è un evento alquanto sentito da queste parti. Nella sala della fischerstube invece siamo in pochi. Solo un altro paio di pescatori che dopo diverso tempo capiamo sono italiani, probabilmente della lombardia. E sì che io sono di origini longobarde ed in genere capisco bene gli idiomi. Ma questi proprio sembrano di un altro mondo, forse bergamaschi. Dopo cena andiamo a curiosare al tendone. Comincia già a piovere e dobbiamo attraversare un pantano per arrivarci. Alcuni ragazzi hanno scambiato gli angoli del momentaneo ricovero per la pubblica toilette. La scena non è della più edificante ma questa sera c’è un gruppo rock che suona ed oltre la birra devono avere ingurgitato anche qualcos’altro a giudicare dagli sguardi inebetiti.  Fortunatamente ci sono diversi taxi che aspettano di portare a casa i virgulti dopo la serata. Pare che le istituzioni non scherzino nel fare applicare la legge in modo severo.  Alziamo presto i tacchi e ce ne andiamo in branda. Stefano legge un po’ mentre io tolgo l’interno del piumone e rimango con la federa dello stesso. Non voglio mica lessarmi ancora questa notte. Adesso piove forte e continuerà così fino a domattina. Mi sveglio come al solito presto e l’alba non arriva mai. La pioggia si è tramutata in nevischio ed appena viene giorno giove pluvio si prodiga in una nevicata coi fiocchi. Ci aspettavamo brutto tempo, ma non questo. Ci mettiamo il cuore in pace, per la pesca si intende e ci apprestiamo a goderci la giornata di festa. Tanto con l’attrezzatura che abbiamo non ci spaventa certo un evento del genere. E

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