Racconti

Amarcord: "la passata perfetta" - 3° classificato

Di Massimo Zelli pubblicato il 13/03/10

L’alba di questi  che suppongo i miei ultimi giorni è diversa da come lo era 80 anni  fa. Le leggi antinquinamento hanno fatto il loro corso, il cielo è terso ed oramai da tanti anni il lavorio mattutino che ascolto, mentre alle otto sto ancora nel letto nel tentativo di svegliarmi, è scandito dal flebile sibilare di auto elettriche.
 
Il rumore secco e rauco del vecchio “ciclo otto” è tra i ricordi più belli ed entusiasmanti di un’epoca tramontata nel 2050, con la fine delle riserve petrolifere.

Nelle mie orecchie rimbombano ancora i fuorigiri in staccata all’entrata delle curve, quando il mio passatempo preferito era cercare i limiti della fisica con il mio mai troppo rimpianto Lancia Delta HF: avevo 18 anni ed era ben novanta anni fa...

L’aspettativa di vita oramai di quasi 120 anni, se vogliamo, ha reso le cose più noiose.

La fine sembra non arrivare mai, e l’idea che la gente ha della terra che calpestiamo quotidianamente, in questo momento storico, è quella di una grossa, sferica, casa di riposo.

Continuo a vedere le stesse facce da tutta la vita, quasi tutte.

Nelle sere in cui vado a prendere il consueto gelato nel parco sul fiume, e mi metto nei panni dei ragazzi che oggi hanno 40 anni, mi piace immaginare l’ammirazione che hanno per noi  che abbiamo passato le cento primavere.

-Ammirazione un corno!- mi verrebbe da dirgli.

Vorrei ben spiegargli che il traguardo di una vita lunghissima  al quale miriamo da quando l’uomo è l’uomo, in quanto essere autocosciente, nel momento in cui è oramai vicino si rivela in tutto il suo essere  effimero.

Una vita, per quanto lunga, ha sempre una fine e per questa ragione, anche se riusciamo a prorogarne il termine, la paura della morte imminente e del  vuoto che potremmo trovare dopo è forte, e non possiamo liberarcene. Le emozioni sono sempre emozioni e noi siamo sempre uomini, piccoli, miseri, fragili uomini.
 
Poco importa che ieri ad 80 anni la fine fosse imminente mentre oggi a 110 e rotti anni siamo in perfetta salute: il pensiero che prima o poi dobbiamo andarcene è sempre li, diventa  l’aspetto caratterizzante della vecchiaia. Si, vecchiaia; si chiama così anche nel 2089.

Ho effettivamente paura adesso. Ho paura che tutto ciò che io sono finisca.

Guardo la mia vita indietro e la accarezzo con sguardo benevolo ed orgoglioso, come si fa ammirando una nassa traboccante di pesce alla fine di una giornata di pesca memorabile.
Nella mia giornata tutto è stato perfetto. L’inizio in sordina, fatto di poche avare abboccate non ha fatto altro che incrementare la soddisfazione dopo, quando ho trovato il modo di prenderli.

Ho pescato fino a tarda sera, fino oltre il tramonto.  Ora è venuto il tempo di riporre le canne nel fodero, non ci vedo più molto e non solo perchè è buio, rischio di lasciare in giro le mie cose sulla sponda... tutto è finito.

Questo è la mia metafora della vita e del resto ognuno ha la sua e ad ognuno piace la sua.
 
L’unico viso che mi manca, oramai da troppo tempo, è quello di mia moglie. Mi ha lasciato nel fiore degli anni, alla soglia dei 50. Credo sia stato, se non l’ultimo, almeno tra gli ultimi dieci casi di tumore sulla faccia della terra. Che smacco per un medico, morire di cancro quando oramai il male era stato debellato da quasi un decennio.

Oggi si continua a morire, ma soprattutto per cause accidentali. Purtroppo capita sempre a chi non vorresti.

Da trentotto anni la pensione e altre varie forme di previdenza privata  mi danno di che vivere. Sebbene il passaggio da rispettatissimo ed ossequiato dirigente di una multinazionale ad inutile vecchio, incubo della previdenza sociale e peso per la società, non sia stato proprio indolore, non lo rimpiango.
Se non altro perchè sono passato dalle consuete e mai sufficienti 70-80 uscite di pesca annuali alle oltre 300...

Il futuro che immaginavo appena 80 anni fa, con la grande Cina del pre-rivoluzione, ha preso una piega inaspettata e se vogliamo ha ribaltato le aspettative catastrofiste del primo decennio del nuovo millennio, concretizzandosi in qualcosa di completamente estraneo ad ogni previsione.

Nel 2030 i livelli di biossido di carbonio, per la prima volta nella storia, erano più alti che durante la prima rivoluzione industriale in europa. I ghiacciai avevano cessato di esistere, e sebbene l’europa ce la mettesse tutta per ridurre al minimo l’impatto ambientale, soltanto la fine del petrolio fu il vero motore per far ripartire un’industria ecocompatibile nel senso reale del termine.

La fine del petrolio causò la più grave crisi economica da quella del 2009.

Fu proprio questa crisi che riuscì prima a mettere in ginocchio e poi a smembrare politicamente la Cina. Una manna dal cielo per l’occidente, visto che era partito con largo anticipo nello  studio di nuove tecnologie mentre l’oriente ancora una volta, come in altre occasioni nei millenni passati, ha dimostrato quanto fossero d’argilla i suoi piedi.

Oggi sono in piedi dalle 4:00. E’ strano.

Da quando sono in pensione, se decido di andare a pescare, generalmente mi sveglio tardi e con comodo, specie in inverno, per cercare il favore delle ore calde della giornata.

Alla mia età certi sforzi accorciano la vita, bisogna fare le cose con grande calma.

Preparo la mia Station Wagon elettrica quando è ancora buio come facevo da giovane,  quando la domenica mattina uscivo di casa ad orari impossibili, per andare a prendere il “posto buono”.

Per un attimo questo mi riporta indietro di diversi anni. Fa un freddo incredibile; le stagioni, qualunque cosa  abbiano detto 100 anni fa  sul fatto che sarebbero cambiate, adesso sono più uguali a loro stesse di prima L’inverno è freddo e l’estate è calda, null’altro da aggiungere.

Guardo la porta di fronte a casa mia: un tempo ci abitava una spogliarellista che non conoscevo bene, ma che vedevo spesso.

Alle 5:00 rientrava in casa mentre io puntualmente, il sabato o la domenica, stavo caricando le ultime cose macchina.

Una volta le ho anche offerto una sigaretta: una faccia pulita ma forte nei lineamenti, era una ungherese, un pezzo di gn.... da novanta, nella mia classifica delle donne più belle incontrate di persona.

Come ogni occasione ghiotta è stata gettata via, per il profondo rispetto che nutrivo e tutt’ora nutro per la persona che decise  di starmi accanto per la vita.

Ogni tanto ci penso: se non mi fossi fermato a offrirle soltanto una sigaretta? Se avessi osato di più?

Non è un  rimpianto, più che altro è: immaginare una soluzione diversa per uno dei tanti piccoli rebus a cui la vita ci mette davanti.

Il rituale che mi conduce alla sponda è rimasto il medesimo alla fin fine.

Sono decenni che faccio le stesse cose. Con la testa sono ancora ai miei 25 anni, con la vita davanti e tutto da imparare. Non mi lamento ora, perché l’entusiasmo è lo stesso.

Anche se molto è cambiato in questo mondo, non lo è il profumo che respiro al mattino mentre calpesto la sponda coperta di rugiada, lascio sempre la macchina carica mentre mi avventuro a perlustrare i miei spot prediletti, e uno scoiattolo riesce a strapparmi un sorriso col suo fare buffo e frettoloso.

Sul fiume lo spirito sanguigno, che ogni tanto si risveglia in queste stanche membra,  lascia scappare una franca, sonora bestemmia: il fiume è sporco questa mattina e molto veloce.

Non sono cambiato per nulla, sono sempre io e me ne rallegro; -Gli anni fanno dei gran vecchi, non dei saggi- diceva Henry Fonda  ne  “Il mio nome è nessuno”, un film di circa 140 anni fa, quando ancora c’erano le televisioni a tubo catodico ed il colore era stato inventato non più di vent’anni prima.

Credo d’essere rimasto tra quei pochi “reperti bellici” ad utilizzare un simile turpiloquio, la cultura della lingua italiana correttamente parlata è uno degli aspetti tipici che caratterizzano il mio tempo, una lingua rivista e corretta, piena di inglesismi con i tempi verbali ridotti a presente, passato e qualche storpiatura di congiuntivo. In parole povere, una catastrofe linguistica e sintattica.

La mia maestra elementare si girerebbe nella tomba con un triplo salto carpiato, se sentisse come si parla ora.

I dialetti sono finiti nel dimenticatoio e con essi anche frasi più o meno colorite; il linguaggio odierno pare uscito da un tritacarne: se ne intuisce l’origine ma non ha una propria forma. 

Il fisico, oramai minato dall’antichità delle mie povere ossa, ricorda nella stazza quello di 60 anni fa, ma nella sostanza è solo un cassone grosso, inutile e pesante da portarsi dietro con fatica ad ogni passo.

Ciò mi costringe a scegliere gli angoli più comodi per pescare, sponde agevoli prive di pericoli e poco scoscese. Devo persino limitare l’uso della bolognese lunga a meno di metà delle mie uscite: è la mia schiena che ha posto una quota massima annuale a questo mio antico vezzo.

Oggi sono sulla sponda del mio Sile,  dal lato della chiesa di Casale, sono le sette e non c’è nessuno; pescherò in solitudine fino alle 11, prima dell’arrivo della solita masnada di famiglie e bambini che caratterizza questo posto durante la chiusura natalizia delle scuole.

Con gesti misurati ed allenati da migliaia di prove apro il mio reggi-canne: scivolano fuori dal fodero le oramai consunte canne bolognesi daiwa Amorphous Whisker V da 7 e 8 metri.

Cominciano a portarsi dietro i segni degli anni. Hanno qualche rattoppo ma, nella sostanza, vanno ancora bene come quando le ho comprate.

E’ stato amore a prima vista, belle leggere e potenti, fulminanti sulla ferrata come piacciono a me e fortunate al punto giusto, non si sono mai rotte ed hanno tirato fuori ogni preda catturabile con una bolognese, nei limiti del ragionevole e qualche volta dell’irragionevole.

Sono canne vecchie, buone ma pur sempre vecchie, anzi antiche come direbbero i miei allievi, che oggi non mi accompagnano.
Quando comprai quelle canne era impensabile ciò che  la tecnologia avrebbe proposto oggi: pesi e diametri che avevano abbattuto ogni limite credibile della meccanica, tutt’altro tipo di materiali; eppure non ho voglia di rimpiazzare le mie vecchie compagne.

Un po’ per l’affetto che mi lega a questi oggetti ed un po’ perchè mi sembrerebbe anche abbastanza stupido mettersi a fare acquisti a 100 e rotti anni: ogni giorno è un giorno in cui il pensiero di dover lasciare questo stupendo mondo, che solo alla fine abbiamo capito, è come la lucina della riserva sul cruscotto, che da intermittente diviene fissa con la consapevolezza che, pur andando pianissimo e consumando un nulla, dovremo fermarci.

I miei pro-nipoti, che mi adorano, sono degli ottimi pescatori, ed ho già da tempo destinato a loro la mia attrezzatura, con la consapevolezza di aver lasciato una traccia positiva nel loro animo. Un scintilla di luce eterna che è rappresentata dalle mie cose, ma che spiritualmente vive dentro di loro: la passione per la pesca.
 
So che adopereranno quegli oggetti quanto li adoperati io.

Questo è l’unico pensiero che mi fa stare bene sapendo di dover lasciare le mie cose.

La passata non è male, questa mattina, le savette rispondono bene ad una pasturazione massiccia a pane, mi sto divertendo alla grande quando, in parte per la solita distrazione (poco) ed in parte per le gambe che non tengono (molto), cado in acqua battendo le costole sulla gradinata.

Per fortuna riesco a restare aggrappato alla sponda.

Anche se non l’ho mai ammesso, dopo i novanta è stata dura per me continuare a pescare: cuore e polmoni, grazie a una regolare attività fisica, erano un orologio, nonostante qualche sigaretta di troppo e qualche birra; tuttavia con le mie gambe, anche per via del peso sempre troppo alto, non ho mai avuto un bel rapporto ed il mio passo è peggiorato di parecchio.

Spesso ho meditato di limitare le mie uscite ai soli comodi laghetti per via del mio precario deambulare, ma il richiamo del fiume non si affievolisce con gli anni: più sembra che voglia scapparti, divenendo sempre più ostico e pericoloso per le tue stanche membra, più lo vorresti accarezzare e vivere in ogni suo più recondito angolo.

Onestamente, piuttosto che passare su una poltrona il resto dei miei giorni come diversi miei amici, preferisco qualche acciacco e qualche caduta: è un piccolo prezzo da pagare che posso ancora permettermi, credo.

Sul momento, il colpo forte ed inaspettato mi toglie il respiro. La testa gira in un valzer pesante, potrei perdere i sensi in acqua, e non sarebbe l’ideale.

D’improvviso rabbia e delusione superano il dolore:  come ai bei tempi e con una forza che non sospettavo più d’avere balzo fuori dall’acqua, mi riprendo dallo spavento, recupero la canna e mi rimetto in pesca.


Gli abiti self-dryer che indosso fanno il loro lavoro egregiamente: sono un evoluzione dell’evoluzione del goretex; posseggono una micro trama che espelle acqua per capillarità con una portata di 5 litri al minuto per decimetro quadrato, non si fa quasi nemmeno in tempo a sentirsi bagnati che siamo già asciutti.
Sono stati il mio miglior acquisto degli ultimi tempi visto che in acqua ci sono caduto spesso.


Le savette sono tornate nel 2018.
Con il mondo in declino catastrofico per l’effetto serra ed il cambiamento climatico che si stava verificando in quel momento, hanno trovato le condizioni ideali per reinstallarsi nel nord italia. Con esse sono tornati i barbi nostrani, che oramai convivono con gli europei in zone separate. Si è sempre detto che i plebejus sono diversi dagli europei e questa ne è la conferma, nessuno sovrasta nessuno ma nell’ecosistema ognuno trova il suo posto.

La corrente è profonda:  la lenza è fatta come si deve e viaggia in una passata che descrivere come perfetta sarebbe quasi offensivo nei suoi confronti.

E’ piuccheperfetta: ma non posso più dirlo oramai.

E’ da tempo che non uso questo terminine in modo scherzoso, del resto il tempo verbale che questa parola identificava  non si usa più, in pratica come se non fosse mai esistito.


Il sei grammi con l’antennina rossa, sprofonda con una tirata che sento sulle mie vecchie ma ancora utili mani; la ferrata parte quasi di riflesso.

Forse, sono più veloce ora di quando ero giovane. Ora che ho rodato il mio modo di pescare da quasi un secolo di pratica non sono più soggetto alle distrazioni che riuscivano a farmi pensare quell’attimo in più, facendomi perdere il momento giusto.


Dall’altra capo della lenza c’è una reazione stizzita e rabbiosa.

Non vuole starci, lui. Forse pensava d’essere troppo vecchio per essere fregato.

Se facciamo a gara di vecchiaia perde di sicuro, da quel punto di vista non ho rivali: a 108 anni non me la racconta più nessuno la storia dell’orso. Figuriamoci se ci riesce un cavedano; per grosso e vecchio che sia, non può battermi, non può saperne più di me... concederete un po’ di sana vanità ad un povero vecchio, spero.

Il pesce tira una decina di minuti buoni:  è fortissimo. In vita mia non ho mai visto nulla del genere attaccato alla canna, sono quasi certo sia un cavedano, anche se la stazza mi fa pensare più volte ad un altro pesce.

E’ un cavedano, lo capisco perchè quando interrompe la sua corsa percepisco le tipiche testate arrabiate che distinguono il suo modo di protestare per il “volgare ferro” piantato nel palato.

Riprende a tirare piano e regolare come una carpa, senza nessuna idea di risalire dal fondo dove resta attaccato in modo ostinato.

E’ calata una nebbia appena accennata, forse sarà per questo che alle 10:00 non si vede ancora nessuno a fare confusione sulla sponda.

Nessun bambino e nessuna mamma ad accompagnarlo; meglio così, pescherò di più oggi.

Non faccio in tempo a finire di pensarlo che s’avvicina un tale. Non lo conosco ma ha un aria familiare.

Somiglia ad un mio amico: Giorgio.
 
Sarà 40 anni che non lo vedo e sembra pure più giovane di me nonostante avesse qualche  anno più del sottoscritto già allora.


Forse non è lui, magari è suo figlio, magari gli somiglia e basta; spero soltanto che adesso non si metta ad intavolare un discorso, perchè con un pesce del genere in canna potrei diventare suscettibile.

Speranza inutile, e l’esordio è dei più irritanti:

- ragazzo come stai?...Non è molto che sei qui vero?-

Con l’età sono sono peggiorato, reagisco malaccio quando colgo il sentore di una presa in giro palese. Cosa gli fa pensare che io non sia qui da molto? Abito qui da 80 e rotti anni e per molti sono parte dell’arredamento fisso del mio fiume nel tratto cittadino. E poi... ragazzo?  A me? 

-Che fenomeno che sei-  penso tra me e me.

Nel frattempo faccio sbollire il nervoso, se non altro  perchè non vorrei perdere il cavedano più grosso di tutta la mia vita.

La mia risposta è cortese -sono qui da 3 orette- ,  ma non riesco a trattenermi del tutto ed aggiungo: -ma tu faresti bene ad andare via subito, c’è una brutta aria qui e ci si ammala con questo freddo- non glielo dico scherzando.

Lui mi guarda e sorride. La cosa mi spiazza.
Forse il mio aspetto truce con la vecchiaia ha perso mordente, una volta mi sarebbe bastato un bello sguardo assestato “sul ghigno” per mettere le cose in chiaro, ma non ho tempo di pensarci, il mio amico attaccato alle lenza  si è smosso.

Risale lento, forzo un po’ ma con garbo e sempre tenendo a mente che il finale è un 10.

Oramai dei cavedani potrei dire tutto, le reazioni di questo che ho in canna una volta che si è staccato dal fondo sono più che prevedibili.

Cercherà riparo nelle erbe del sottosponda ma la canna lunga tenuta bassa e laterale lo costringerà suo malgrado a tirare verso il centro fiume dove non ha riparo.

Se sono io a tirarlo dentro le erbe del sottosponda,  sarà difficile che tenti di andarci da solo.

Da possibile riparo le erbe ai suoi occhi si trasformeranno in pericolo, una trappola da cui dover fuggire.

Psicologia dei pesci: bassa psicologia ma sempre valida.

Non capisco cosa voglia quel tale e visto che oramai è ora di mettere in acqua il guadino me ne disinteresso completamente.

Non è solo un cavedano, questo è “IL CAVEDANO”, lo peso e segna alla bilancia 4.180 Kg. Il pesce della mia vita è servito.

Non avrei immaginato di dover vivere così a lungo per battere il mio record di cavedano, fermo oramai a 3,5 Kg da lunghi anni.


Il signore che somiglia a Giorgio sorride e annuisce: è un pescatore. Adesso capisco il perchè di tanta confidenza. Disarmo la smorfia da cattivo e sto ad ascoltare.

Intuisco dalle osservazioni che fa che è uno di quelli con diverse ore di pesca alle spalle.  -E’ pieno  il fiume di quelli, solo che non riesci mai a prenderli: sono troppo grossi e troppo furbi quando diventano così vecchi, muoiono di vecchiaia piuttosto che farsi catturare-

Rispondo:-effettivamente per uno “di primo pelo” come me, è una cattura eccezionale-

Questa volta colgo nel segno ed è lui a perdere il self control ed a farsi una sonora risata.

Una risata talmente sincera e schietta che sembra sentire un vaso di coccio che cade sul pavimento in marmo di una  sala vuota.

Questa mattina è strana: c’è nebbia, non c’è un cane in giro e non sento un rumore che sia uno. Una strana bellissima pace ideale per pescare.

Sembra di essere nel film FOG di J.Carpenther, la nebbia è arrivata improvvisa e prepotente, come per altro spesso fa in quasi ogni posto della pianura padana da che mondo e mondo. Stamattina però non me l’aspettavo: non c’erano condizioni da nebbia.


Reinnesco e rilancio con dei gesti che non riesco nemmeno più a descrivere da quanto sono miei. Non sono gesti, sono parte di me stesso. Il pensiero scorre come una “camera-car”: sono in un momento sulla punta della canna che si flette armonicamente in dietro come la frusta di un domatore. Subito dopo sono sempre io che mi tuffo in acqua con la lenza che si distende in modo perfetto. Posso persino contare a rallentatore con che sequenza i pallini cadono in acqua dal piu grande in alto all’ultimo del numero 9.

Non ha più segreti per me questa pesca, ma ogni volta è capace di emozionarmi e sorprendermi, è magia. Chiamiamola magia, potete perdonare ad un povero vecchio la presunzione di parlare di magia, no?

Ferro di nuovo!

E’ un’altro pesce e la musica non cambia: la taglia è simile.

Cavolo due in un giorno! C’è qualcosa che non va ma non mi interessa.

I pesci sono pesci, grossi o piccoli, li sto prendendo e non ho altro in testa che prenderli come dico io, qualunque cosa essi siano.

Questo, dopo altri lunghi minuti di spettacolo allo stato puro, frantuma il record appena stabilito: 4,560 Kg per lui.

La livrea è eccezionale: il giallo del cavedano quando è vecchio è più acceso. Di solito i pesci che passano i due Kg assumono quel colore intenso: oro vecchio lo chiamo io.

Schiena nera ed oro vecchio sono stati i due colori che ho cercato per tutta una vita, inseguendo cavedani d’ogni taglia in giro per tutta europa.

I pesci mi piacciono tutti e mi sono sempre piaciuti, ma i cavedani li ho sempre considerati meno pesci di altri, più umani che animali nel modo di reagire, e perchè no, di prenderci in giro a volte.

La pescata si trasforma in una carneficina: e’ un pesce al giro adesso.

I gardon superano i due Kg , i cavedani sembrano amur e le breme sono talmente grosse e scure che paiono carpe.

Una porterà alla bilancia oltre 9 Kg, altro record mandato in frantumi.

Metto giù tutta la pastura che posso, vado due volte alla macchina e prendo dal borsone tutto ciò che ho, mi restano pochi bigattini da innescare, ho finito due Kg da incollato e la ghiaia. Ho della pastura gialla da canale e la mischio con della bianca alla crisalide per fare più possibile volume.
Sono tentato di aggiungere un ultimo sacco di quella da alborella nel tentativo di buttarne il più possibile, ma il signore che  somiglia a Giorgio mi  guarda un po' di traverso, perplesso.

Ci ripenso, e tra me e me mi impongo di non fare scemenze lasciando il sacchetto nel borsone.

Oggi non me la voglio perdere una giornata così: un Kg di pastura in più potrebbe aiutare,  ma non se è quella sbagliata.


La passata rallenta, vado con un 4 grammi ora, ma basterebbe un 2.

I cavedani hanno fatto “i Cavedani”.

Sono arrivati  hanno banchettato e sono spariti quando è finita la ciccia.

Adesso la passata è di nuovo normale senza eccessi.

Ho ricominciato a prendere un pesce ogni tanto,  di taglia buona ma è uno ogni tanto.

Ad un certo punto è la volta di una tinca che passa i due Kg.
Sarà la prima di una serie da 8 pezzi.

Sarà 40 anni che non ne prendo una, pensavo esistessero oramai solo nelle riserve austriache. Qui in italia sono state dichiarate estinte.

Il signore che somiglia a ”Giorgio” è sempre lì che guarda e sorride.

Sono oramai alle pagine di epilogo di una giornata bella come un libro di Jules Verne.

Intanto che chiudo le canne, non posso credere d’aver preso tutto quel pesce e di quella taglia. Una bella nassa gonfia che è in grado di riportare calore anche nel cuore oramai quasi freddo di questo vecchio.

Il signore che somiglia a Giorgio  s’avvicina e m’aiuta a chiudere le canne.

Gli indizi che si tratti proprio di lui crescono ad ogni istante.

Adesso lo riconosco, i suoi gesti sono quelli.

Non posso quasi avere dubbi in questo momento, o è lui oppure le coincidenze della vita mi stanno facendo passare un brutto quarto d’ora. 

Demenza senile? Allucinazioni? Una somiglianza incredibile? Tutte e tre le cose insieme? Chissa.

Non ho una spiegazione, ma di cose senza spiegazione ne ho viste troppe e ho imparato che, spesso, prendere le situazioni per quello che sono e così come vengono è meglio che cercare di capirne le origini.

“Giorgio” si ricorda anche di non toccare le canne, perchè quelle preferisco metterle via da solo.

Gli ho ripetuto fino a stufarlo ogni volta che mi dava aiuto: -Se deve succedere qualcosa alla mia canne voglio poter dare la colpa solo a me stesso, non sopporterei di dover ringraziare qualcuno-.

Io sono notoriamente lento a chiudere le mie cose, ed era tradizione prendere l’aperitivo a fine pescata. Lui si offriva volentieri di velocizzare la pratica per arrivare al bar in tempi umani.

In una giornata d’agosto a mezzogiorno di tanti anni prima avevamo persino litigato, a toni scherzosi come solito,  perché lui era pronto da mezz’ora e bramava una moretti da 66 ghiacciata, mentre io ero ancora sotto il sole a cercare di prendere gli ultimi cavedani .... ed un’insolazione.
 
Ripensare alla nostra amicizia m’ha fatto scorrere una lacrima sul viso: non sapere come mai 40 anni prima all’improvviso fosse scomparso, e nessuno  più in grado di dirmi dove fosse finito, m’aveva fatto stare male non poco; ma del resto lo aveva fatto altre volte, dicevo che era come i gatti, a volte spariscono per riapparire dopo qualche tempo miracolosamente, e non sai dove sono stati: quell’ultima volta era scomparso fino ad oggi.

Che strano,  ero di nuovo in grado di piangere, credevo d’aver finito tutte le lacrime dopo mia moglie, invece...

Oppure sono solo troppo vecchio, e per questo così debole da essere di nuovo soggetto ai sentimenti.

C’è però una cosa che mi rende dubbioso e anche un po’ spaventato.

“Giorgio” è come quando l’avevo conosciuto quando avevo venticinque anni.

Mentre lo osservo, con lo sguardo  sorpreso ed interrogativo di chi realizza qualcosa che non torna, mi dice: -saliamo in macchina che strada facendo ti spiego, sono venuto a piedi oggi-

Io: - Come al solito, ti venivo sempre a prendere io o sbaglio?-

Giorgio: - E’ così... ... ... ... ... non sbagli sono proprio io-

Giorgio: - Non sei cambiato per nulla, hai sempre un fegato da leone eh? Io al posto tuo, sarei già svenuto di paura 3-4 volte in una situazione come questa. Tu invece non fai una smorfia.-

Io: -Se vuoi puoi chiederlo alle mie mutande, come sto.-

Un’altra risata rompe il silenzio.

L’atmosfera è surreale, è chiaro che lui non dovrebbe essere lì in quel momento, è più vecchio di me di almeno 20 anni e non ne dimostra più di 35 in tutto…

Non  ci sto capendo molto.

Giorgio: -Vedo che quello che ti ho insegnato non lo hai dimenticato del tutto, sei sempre in gamba-

Io: -Tutto sommato qualcosa so ancora fare, tu piuttosto mi sembri più in forma del solito-

Sorride e cambia argomento:

Giorgio: -Intanto sappi che ti aspettavamo da tempo, ma ti sei attardato un bel po’!

Non che questo mi dispiaccia, e nessuno sperava che succedesse presto, però…prima o poi  tocca a tutti, non c’è nulla di più certo.-

Lo guardo e frugo fra le mie cartezze, ma non capisco cosa voglia dirmi.

-L’unico appunto che posso farti -continua- è che potevi scegliere un modo anche meno pittoresco per andartene; ma forse  hai scelto proprio quello che ti si adatta di più.-

Un’altra risata rompe il silenzio ma questa è un po’ più quieta, Giorgio capisce che mi sta passando la voglia di scherzare.

Mi incupisco, e mi chiedo cosa vuol dire con queste parole; anche se forse basterebbe pensarci mezzo secondo per darsi una risposta.

In un momento in cui la lucidità manca, anche mettere una palla in un buco tondo diventa difficile, figuriamoci capire quello humor inglese del cazzo che ha sempre avuto il mio amico.

Io: -L’unico posto dove andrò adesso è a casa mia. Comincio a non divertirmi più troppo-

Giorgio: -andiamo a casa di certo, c’è un festa per te. Ce ne sono di cose che ci dovrai raccontare e,  come hai potuto constatare, di qua non cambia poi molto-

Continuo a restare sorpreso ma non mi esce più una parola di bocca, nella testa i dati viaggiano alla velocità della luce sulla mia vecchia stanca rete nervosa, ma continuo a non trovare il nesso.

Nel frattempo la nebbia è sparita e guardo sempre più attentamente Giorgio, lo squadro e lo risquadro. E’ lui in modo inequivocabile.

Giorgio: -Per l’esattezza, tua moglie ti ha preparato una festa a sorpresa; lo so che le odi, ma questa volta fai finta almeno. Intesi?-

Gelo totale.

Io -mia moglie? allora vuol dire che...-

Giorgio : -Esatto, ci sono passato anch’io, lo so che non ci si accorge.-

All’improvviso mi pare mancare il respiro, la sensazione è tremenda per un attimo.

Percorro le ultime ore a ritroso quando d’un tratto, la soluzione si palesa davanti a me in tutta la sua banalità.

E’ stato quel maledetto scivolone sulla sponda che mi ha ucciso.

Del resto, con un minimo di ragionamento ci sarei arrivato solo: come avrei potuto anche solo pretendere di sopravvire ad una cosa che se mi fosse successa a 30 anni  mi avrebbe ucciso sul colpo già allora? Cadere giù da una sponda in cemento in acqua battendo le costole...
 
Mentre pensavo a come fossi morto tutto sommato senza sofferenze guardavo le mie mani giunte, non erano più piene di rughe e contorte, erano tornate forti come un tempo.

Specchiandomi nei vetri della macchina mentre mi apprestavo al primo viaggio di questa mia nuova condizione, la mia sagoma non era più pesante e curva sulle gambe oramai insicure, ma era tornata retta e ben piantata.

La sensazione è stata più di sorpresa che non di tristezza come avrei potuto pensare.

Io :-guidi tu come ai vecchi tempi?-

Giorgio:-Guido io, tranquillo -

Il motore 16 Valvole della delta HF ruggisce che è un piacere, poi s'assesta sul borbottio sornione e regolare dei 700 giri al minimo... sono tornato a casa.


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