Di Massimo Zelli pubblicato il 15/05/10
Il ritmare del soffio sul viso ha perso nel tempo la percezione di fastidio, è oramai familiare. E’ parte delle cose positive, da associare ad uno stato d’animo di completa serenità. In un giorno di maestrale, a metà primavera, il profumo di iodio non è uno scherzo della mia immaginazione: il vento che soffia da nord-ovest schiaffeggia Caorle ed anche sul mio canale l’onda è formata.
E’ un processo di strana regressione quello che affronto quando impugno la “tre pezzi”: devo affilare la percezione e nel contempo rilassare la mia indole. Devo imporre quella calma che mi permette di fare bene due o tre cose: la semplicità è la chiave di questa pesca, ma lo è anche il giusto stato d’animo.
Il vento forte trasporta gli odori, li mischia e li confonde, cambia loro di posto: è così che in riva ad un canale puoi sentire ora la rugiada sul grano ancora verde, ora il sapore dolce della canna sulla riva opposta, ora... la sigaretta di un pescatore distante 50 metri. Sembra quasi un'allucinazione olfattiva ed invece eccolo lì, anche lui a contemplare la bellezza di questa mattina ventosa. Fa venire voglia anche a me di fumare; decido di fargli compagnia.
Per un attimo trascuro le sensazioni, controllo rapidamente la lenza che ho costruito nel frattempo. Il bulk di pallini stretti sulla lenza del 22 è allineato sui tagli in modo preciso, la corta coronetta di piombi nel basso di lenza sembra scalata quel tanto che basta per garantire un appoggio garbato, necessario a rallentare il fluire in corrente del gallegiante.
Getto la sigaretta e faccio ruotare il grosso waggler alle mie spalle: dopo 4 mesi dall’ultima volta che ho usato l’inglese sembra il primo lancio dopo dieci anni. A furia di riviverla nella mente, di vederla e riverderla, quella scena, nei lunghi giorni di fermata stagionale, avevo persino trasfigurato la sensazione che si prova facendo girare la canna tra le mani: il fusto si carica e si scarica, posso sentire bene quell’importante attimo in cui la lenza si allinea sopra la mia testa con l’amo ad 8 metri di altezza. Lascio partire quel dardo senza sentire nemmeno un sibilo, l’unico rumore è il ronzio del filo che esce dalla bobina dopo un lungo immobilizzo. E’ intorpidito anche il filo, pure lui ha voglia di pescare. Qualcuno mi disse che la canna inglese è come la bicicletta: non ci si dimentica mai di quel che va fatto.
Il primo pesce arriva senza pasturare. E' molto importante che questo accada: ci permette di capire dove stanno pascolando i nostri amici e dove è opportuno andarli a cercare.
Faccio il fondo un paio di metri più corto: il galleggiante, nonostante l’onda, mantiene l’assetto. Segnala perfettamente ogni movimento che avviene in prossimità dell’esca, mentre fluisce in corrente: distinguo in maniera netta le asperità del fondo da qualche timida tocca di un carassio apatico.
Le abboccate sono ancora timide e indecise, la lenza corre troppo; la recupero e le “assesto” 10 cm di fondo in più, incrementando il contatto con il fondale.
Adesso l’andatura è leggermente più lenta.
Il vento continua ad essere la mia unica compagnia, ma non è solitudine, questa. E' sentirsi a casa, con un avversario che complica il mestiere e con cui complimentarsi quando riusciamo a batterlo.
Il galleggiante sparisce, aspetto di sentire il pesce che tira sulla punta della canna prima di accompagnare la ferrata indietro. Contatto!
E’ piuttosto semplice non farsi domande. E’ semplice, in questo, caso pensare che questi pesci, in fondo, sono figli di un dio minore. Ad essere del tutto onesto, sono talmente soddisfatto di prenderli, oggi, e pescando in questo modo, che mi interessa poco di essere capito o condiviso.
La bellezza di una pesca passa attraverso la sua esecuzione eccellente; in tutto questo la semplicità delle lenze è in antitesi con la mole di varianti che passa tra prendere “dei pesci facili” e non prederli. Adesso li sto prendendo e se mi accendo una sigaretta di appagamento è perchè sto veramente bene. Forse i miei cavedani potrebbero rivoltarsi in fondo al fiume urlando al sacrilegio, io invece sono in pace con me stesso e realizzato come poche volte.
Il waggler descrive di nuovo la medesima parabola cadendo a filo del canneto: affondo la lenza e mi porto in pesca staccato di un paio di metri. La palla di pastura cade un metro indietro rispetto al waggler, come a voler mettere il punto ad una frase che vuole spiegare un concetto semplice.
Percorro mentalmente le innumerevoli volte che ho guardato il canneto di fronte a me, uguale a se stesso ogni anno che passa e pure sempre diverso, sempre da interpretare.
Il canneto fa da sfondo ai flash-back di persone che su questo canale mi hanno regalato un po’ del loro sapere: mi passano davanti i volti di amici recenti e amici che non vedo da tempo e con i quali ho diviso qualche ora, qualche birra e qualche risata su questo canale.
Ci vuole un po’ di razionalità per non guardare ai tempi passati solo con nostalgia, ma ricordandoli per il buono che ci hanno lasciato, soprattutto se ci hanno fatto crescere. E’ inevitabile , però, che un po’ di “nodo in gola” ci colga impreparati. Un carassio arriva in mio soccorso a ricordarmi che sono lì per pescare e mi distoglie da pensieri che, altrimenti, sarebbero troppo pesanti da maneggiare in una giornata in cui l’unica voglia che ho è quella di “asciugare” ogni “fonte” di stress.
Il vento che lava la mente e raffredda gli animi spira più forte , come a sottolineare il concetto. Un colpo di guadino sull’ultimo carassio scrive la fine ad un lungo momento in cui ritrovare me stesso, in quello che faccio.
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