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Ledgering al Lago del Turano

Di Samuele Maffei pubblicato il 14/04/10

La mia sveglia suonò ed io, tra me e me, dissi: è il segnale!

Mi ero ricordato che dovevo andare ad affrontare una nuova sessione di pesca a ledgering  sulle magnifiche sponde del Turano.

Andai a preparare il caffè per mio padre e iniziai a vestirmi in fretta perché avevo una voglia immensa di imparare una nuova tecnica.

Dopo aver svegliato mio padre e dopo aver aspettato che si vestisse, andammo nella sala hobby ad affrontare i primi passi della nuova tecnica: le montature.  

Io lo ascoltai mentre mi spiegava la tecnica del ledgering  con una grande voglia di sapere.

Imparai subito i primi concetti e poi, pian piano, imparai alcuni segreti sulla costruzione della lenza.

Tutti i passaggi che mio papà mi aveva fatto vedere li rimisi in pratica su quella che doveva essere la mia lenza.

Dopo almeno mezz’ora di teoria volevo passare immediatamente alla pratica, così io e mio padre ci dirigemmo verso il lago del Turano.

Ci fermammo in un autogrill e facemmo una ricca colazione e poi andammo sul punto di pesca.

Mio padre si sistemò sul suo panchetto ed io su una sedia reclinabile. Misi sul mio pasturatore della pastura mischiata con bigattini e sull’amo del mais alla fragola comprato sul negozio che sta proprio sopra il lago.

Mio padre mi consigliò, prima di gettare la lenza in acqua, di lanciare un galleggiante scorrevole con un grosso peso e con una canna da surf casting che era dentro la borsa. Lo lanciò e poi mi spiegò che serviva per avere un punto fisso di pasturazione.

Così io lanciai la mia canna vicino al cosiddetto “marker”.

Mi sedetti sulla sedia ed attesi con ansia. Mio padre con un’ esclamazione mi segnalò che si trovava a combattere con un pesce e, dalla sua espressione, capii che non era di ottime dimensioni. Infatti portò a riva una piccola breme che rilascio immediatamente.

Subito dopo il cimino della mia canna si piegò tanto da farmi sobbalzare e da farmi ferrare rapidamente. Capii subito che non era, ancora una volta, di buone dimensioni. Era un’ altra breme. Catturammo diverse breme di quella taglia fino a quando venne a farci visita un temporale. Alle prime gocce io e mio padre ci rifugiammo sotto l’ombrellone che fortunatamente avevamo caricato in macchina.

Durante la tempesta le breme sembravano essere scomparse. Il temporale cessò solo dopo 15 minuti.

Spuntò l’arcobaleno e proprio mentre lo ammiravamo a testa in su, sentii il rumore della frizione del mio mulinello. Ferrai e sentii sulla canna un treno senza destinazione. Aprii completamente la frizione per evitare la rottura del filo. Mentre vivevo un combattimento emozionante mio padre mi scattava fotografie. Io cercai lentamente di fermare la sua corsa verso il centro del lago e con cautela riuscii a bloccarla ed a recuperarla. Con una mano tenevo fermamente la canna, pronto ad aprire la frizione in caso ripartisse e con l’altra ero impegnato a recuperare lentamente il mulinello. Solo quando la portai vicino al guadino immerso nell’acqua e tenuto in mano da mio padre, mi resi conto di cosa avevo in canna: una carpa di circa due chili, non un record ma con il filo 0.10 era una cattura importante che richiedeva cautela e sangue freddo nel recupero.

Riuscii a portarla tra le mie mani per farmi una foto ricordo. Liberai il pesce e subito dopo mio padre mi diede la mano dicendomi: “sono orgoglioso di te!”

A quelle parole mi commossi un po’.

Dopo aver catturato qualche altra breme ci incamminammo con calma per la via di ritorno.

 

Ragazzi ho ancora una sessione di pesca a ledgering da raccontarvi sulle rive del Tevere.

Ma questo lo farò la prossima volta

Ciao a tutti amici!

 


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