Di Luigi Colucci pubblicato il 17/12/10
Una delle tecniche che durante il 2010 mi ha permesso di catturare molte trote e temoli in acque Italiane ed estere è stato sicuramente l’ high sticking, tecnica sempre più praticata dei pescatori a mosca di mezzo mondo per la capacità di entrare immediatamente in pesca e catturare esemplari che altrimenti non riusciremmo a portare a guadino in altro modo.
Personalmente parlo di quei periodi o orari in cui non ci sono schiuse e la pesca a secca non da i frutti sperati, ma anche dei mesi più freddi dove l’unico tentativo di prendere un pesce lo si può fare solo sotto la superficie dell’acqua. Fermo restando questi parametri conosco molti pescatori che si sono completamente abbandonati a tale tecnica tralasciando le altre, proprio perché in grado di regalare giornate epiche e brividi lungo la schiena irripetibili.
Attrezzature e aspetti principali
La tecnica ad “high sticking” letteralmente “ a canna alta” prevede l’ utilizzo di canne lunghe, dai 9 ai 10 piedi con code e mulinelli molto leggeri, dalla #2 alla #4. I terminali sono molto corti rispetto alla classica secca e hanno il compito di rendere visibile la transizione delle mosche durante la passata in corrente. Già, abbiamo detto corrente perché questa è una pesca fondamentalmente da acque veloci, rivoli e gorghi spumosi anche di una certa profondità dove insidiare i pesci raschiando il fondo o a mezz’acqua muovendo leggermente l’ esca con la punta della canna a mo di richiamo.
Il mio mix perfetto per un terminale da auto-costruirsi per questa tecnica consiste in: uno spezzone dello 0,35mm di 40 cm, poi uno di 30cm di 0,30mm, 20 cm di 0,25mm, 10cm di 0,20mm in nylon dicolore rosso, 10 cm di 0,20mm di nylon di colore giallo, 10cm di 0,20mm di filo classico poi 8 cm di 0,18mm. Le misure sono relative alla fattura dei nodi tra gli spezzoni e quindi sono da seguire in linea di massima. I nodi saranno tutti nodi di sangue o a “barilotto” come dir si voglia, fatta eccezione per l’ ultimo spezzone che terminerà con un rapala knot ovvero un’ asolina che ci permettere di cambiare il terminale in dimensione, lunghezza e tenuta in base alle acque in cui intendiamo pescare.
A questo punto è possibile eseguire diversi tipi di nodi per legare due mosche. Montatura classica ove consentito pescare con due mosche. Io personalmente in acque anche abbastanza chiare monto uno 0,16mm fluorocarbon con una distanza tra la mosca a bracciolo e quella di punta mai inferiore ai 50 cm, restando ovvio che la mia azione di pesca dovrà concentrarsi su acque dal fondalenon inferiori al mezzo metro di profondità. Il nodo a cui mi affido sempre con molta fiducia è un nodo molto semplice e veloce, ma non chiedetemi il nome poiché non lo ricordo. Vi mostro in foto i passaggi costruttivi con due fili di colori diversi in arancio il terminale fin qui costruito e in giallo quello che dovrebbe essere il finale dello 0,16mm:
Testate sempre il nodo una volta eseguito così da non aver brutte sorprese durante l’azione di pesca.
L’ utilizzo di due spezzoni dai colori diversi come il rosso e il giallo serviranno non solo a tenere d’ occhio il passaggio del terminale con le ninfe, ma anche a decidere a che profondità far lavorare iltutto. Ponendo lo spezzone giallo a pelo d’acqua e conoscendo la lunghezza del finale che abbiamo aggiunto a cui sono attaccate le ninfe, sappiamo esattamente a che profondità andremo ad agire. In tratti dove il fondale è più o meno regolare, basterà abbassare leggermente la canna e far immergere anche la parte rossa del terminale per far affondare le ninfe di ulteriori venti centimetri e far fronte ai dislivelli del fondo e viceversa.
Per quanto riguarda le ninfe ne esistono svariati modelli, colori e dimensioni, una regola semplice da seguire è quella di utilizzare ninfe con la testina o beedhead in tungsteno di diverse dimensioni, ponendo la più pesante in punta e la più leggera sul braccio. Questa però non è una regola imprescindibile, ci si può cimentare anche montando le ninfe in maniera inversa cioè con una ninfapiccola in punta e una molto pesante sul bracciolo. In questo caso lo scopo sarà quello di far raggiungere brevemente il fondo all’ artificiale più piccolo sfruttando il peso di quello più grande posto sul bracciolo. Fermo restando alcuni artificiali universali, come la “verdina” l’ orecchio di lepre, la prince, sarà l’ esperienza e la frequentazione dei luoghi prediletti di pesca che ci suggeriranno gli artificiali giusti, nel colore e nel peso, da utilizzare per portarci a catture sicure.
L’ azione di pesca
La tecnica non richiede particolari abilità nel lancio che dovrà essere corto o leggermente più lungo della lunghezza della canna proprio perché si pesca sotto il vettino. La canna tenuta alta mette in tensione il complesso coda-terminale-ninfa che ci permetterà di avvertire ogni minimo movimento dell’ esca durante il suo tragitto subacqueo.
Bisogna lanciare a monte della corrente in cui si intende far passare gli artificiali, accompagnarli con un movimento del braccio nella discesa a valle e cercare di avvertire il passaggio delle ninfe mantenendo la tensione del filo e facendo lavorare la coda e il terminale quasi in verticale sotto la vetta della canna.
Immaginate un orologio: supponendo che la corrente provenga dalla vostra sinistra e di fronte a voi le ore “dodici”, l’azione di pesca si svolge lanciando alle ore “dieci”, le ninfe scenderanno sul fondo davanti a voi alle ore “dodici”, lascerete che continuino la loro azione sino alle ore “due” e rilancerete ripetendo l’azione.
In questo modo gli artificiali sono in pesca ovvero a tiro del pesce dalle ore dodici alle ore due, il tutto per non più di qualche metro a patto che abbiate tenuto sempre la canna alta e abbiate ruotato il braccio da sinistra a destra seguendo il terminale con la canna in tensione.
Seguite sempre il terminale tendo d’occhio la parte colorata in modo da non esagerare con la tensione e rischiare di trattenere eccessivamente le mosche dall’ azione della corrente che dovrà trasportarle nella maniera più naturale possibile. Al termine della passata allungate il braccio verso la corrente in modo da allungare l’ azione di pesca ancora un po’ e poi, a discrezione del pescatore, è possibile effettuare una trattenuta volontaria al fine di sfruttare la corrente allo scopo di sollevare le mosche dal fondo imitando un insetto che tenta di raggiungere la superficie. Spesso questo istante in più prima di iniziare una nuova fase di pesca a monte ci permette di insidiare qualche pesce eccitato dallo sventolare delle nife richiamate dalla corrente.
Come già detto gli spot migliori per questa pesca sono le acque veloci, e nel praticare questa tecnica si ci rende conto di come molto spesso, acque che in superficie sembrano impossibili da affrontare per la loro velocità e portata, siano quasi calme immediatamente sotto, tanto che le nostre ninfe appaiono trasportate a rallentatore verso il fondo e impiegano molto più tempo di quanto non ci si aspetti a raggiungere il fine passata. Questa tecnica permette di sondare ogni sasso e ogni giro d’ acqua tanto che per affrontare bene un’ area di pesca di una decina di metri si impiega diverso tempo proprio perché dà la possibilità di setacciarla palmo a palmo.
Poniamo ad esempio di trovarci dinnanzi ad un correntone largo una decina di metri. Per prima cosa andremo a sondare la parte più vicina a noi, cioè il sottoriva, allungandoci con il braccio alto e teso in avanti sempre per mantenere la giusta tensione, poi man mano che vogliamo progredire con lanci sempre più in là, anziché allungare la coda è meglio fare un passo in avanti e avvicinarsi. Un passo una passata, un altro passo un’altra passata e così via fino a raggiungere il cuore della corrente e lanciare oltre (vedi foto). Ovviamente non lasciate mai che la vostra sicurezza personale prevalga sulla voglia di fare un lancio in più. Una volta raggiunto un punto dove è meglio non proseguire oltre, tornate a riva e ricominciate il tutto in un nuovo spot.
La ferrata deve essere repentina e senza indugi, sarà solo la pratica a migliorare la sensibilità della mano tanto da poter distinguere chiaramente quando l’esca sarà stata sfiorata da un masso del fondo e quando invece sarà stata agguantata delicatamente da una bella trota.
Personalmente, soprattutto a chi è agli inizi con questa tecnica, consiglio di ferrare sempre ad ogni minimo appesantimento avvertito sul terminale. Spesso puliremo il fondale da rametti, alghe e quant’ altro ma non rischieremo mai di perdere un pesce che magari ha mangiato furbescamente la nostra ninfa e ha sputato in tutta fretta il boccone infausto.
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