Tecniche

Spigole in scaduta

Di Roberto Ripamonti pubblicato il 19/12/12

La scaduta è il momento per eccellenza. Se poi fa anche freddo l’obbiettivo diventa la spigola

La scaduta è il momento di esaltazione del surfcaster perché la spiaggia diventa viva e si apre a mille soluzioni tecniche durante tutta la stagione. Predatori e grufolatori si succedono secondo una sorta di codice che rende, ogni singolo momento, carico di aspettative e speranze. Nella stagione fredda arriva il momento di pensare alla grande e puntare alle prede che hanno fatto grande la nostra tecnica per cui, bando a vermetti e soluzioni da pesca al colpo e sotto con le soluzioni da surfista puro per cercare  di mettere a terra qualche coda di importante, sia esso un grongo, una spigola o qualche serra residuo.

La mia personale scelta è sempre stata mirata alla regina delle onde e da qualche anno ho deciso che è assolutamente meglio vivere qualche ora da leone a rischio di non vedere un pesce piuttosto che uniformarmi e puntare alla preda sicura (che poi così sicura non è).

Ecco che davanti ad una serie di mareggiate che ho affrontato negli ultimi tre anni nelle spiagge maremmane e toscane la mia strategia di pesca è stata totalmente indirizzata a puntare alle spigole usando fondamentalmente due esche; il trancione e il vivo.

Vediamo allora come possiamo affrontare una situazione usando queste esche altamente selettive ma, quando le cose girano per il verso giusto, capaci di regalare emozioni vere.

Trancione e zatterino.

Trancione e zatterino sono nella tradizione del surf  casting di qualsiasi parte del mondo anche se oggi sono cambiati alcuni termini di riferimento. Se in passato la scelta era limitata alla sarda o al cefalo in trancia oggi si scopre la virtù di altri pesci ed una impostazione più “elastica” del concetto di trancio di pesce. Un esempio è quello suggeritomi dall’amico Andrea Municchi che mi parlava di trancetto di triglia per insidiare i gronghi scendendo nei diametri e nelle misure degli ami. Analogamente, funziona perfettamente anche la trancia di sugarello che è oleosa, resistente e certamente più affidabile della sarda (quando non è al 100% della freschezza). Con questi tipi  di innesco possiamo insidiare sia i predatori che qualche grufolatore come il sarago.

Un aspetto che non va mai sottovalutato è il giusto bilanciamento tra peso dell’esca e zatterino per evitare che il trancio sia troppo alleggerito e svolazzi in corrente mettendo in difficoltà il finale ed una delle soluzioni  ottimali è quella di usare due differenti diametri per la costruzione. Un tempo si usava un robusto 035-040 mm con il quale si costruiva tutto il finale mentre adesso mi sento di suggerire una filo annodato che parta da una base anche più robusta (040mm) magari in fluorocarbon che, grazie alla maggiore rigidezza, allontana di molto i pericoli dei grovigli. Poi mettiamo lo zatterino che si blocca su una piccola girella di giunzione o un fast clip che ci permetta di cambiare rapidamente strategia o esca (magari passando ad una mazzetto di saltarello da gettare sotto i pedi nella risacca) e che contenga il finale con il trancio.

Con una soluzione di questo tipo, anche lo zatterino diventa una scelta tecnica molto precisa che spazia dalla ricerca del predatore di taglia fino a salire a qualche preda di superficie se dovessero crearsi le condizioni adatte.

Le situazioni vincenti.

Dicevo che in questo ultimi due ani ho vissuto un paio di situazioni veramente splendide provacate da scadute di mare decise oppure, da mareggiate imperiose. Circa due anni fa, pescando in una spiaggia al confine tra Toscana e Lazio, mi imbatto in una mareggiata furiosa che si sta sviluppando. Il mare è forza 5 ma, conoscendo bene la spiaggia, so dell’esistenza di profondi canali paralleli alla battigia e , magnifici canali perpendicolari. E’ un posto che raramente tradisce e che va affrontato solo se c’è onda altrimenti si perde tempo. Decido di pescare con due bass scegliendo una tattica semplice; teleferica sul vivo e  lancio nella schiuma , per la seconda.

Le mie esche erano facili perché avevo fatto incetta di piccoli cefali che tenevo in una vasca ossigenata e con me, vi erano alcune sarde e bellissimi cannolicchi vivi.

Per la teleferica , opto per un 5 oz, con spike che lancio a distanza massimamente per l’esca ferma, mi imito ad un 4 oz. posizionato in un canalone profondo un paio di metri a circa 20 metri da riva.

Nelle nostre spiagge vi è costante presenza di corrente laterale generata dalla marea per cui, la teleferica, piombata con 60 grammi mi rimaneva perfettamente in pesca con il finale steso e il cefalo tra la superficie e mezz’ metro di profondità.

L’esca ferma invece, godeva di un piccolo zatterino ed era stata lanciata in una spianata di schiuma nel mezzo di un canalone.

La strategia si era rivelata vincente perché all’approssimarsi del culmine di marea (situazione essenziale per la maggioranza dei predatori), avevo avuto due mangiate assolutamente sorprendenti che si erano trasformate in spigole da 2 e 3.5 kg  che non avevano combattuto granché, forse perché agganciate in parti delicate della gola. Impossibile quindi pensare al rilascio cosa che mi piace molto effettuare quando la pesca è generosa e non ha alcun senso portare a casa pesce che non serve allo stretto consumo.

 

Il regalo d’inizio anno.

Quest’anno si è aperto in un modo strepitoso perché mentre ero in pesca a preparare un filmato per la mia trasmissione su Caccia e Pesca (RR Surfcasting Adventures), purtroppo prima dell’arrivo della telecamera e del mio amico “Gionni Paolicchi”, mi imbatto in una mattinata strana dopo una  notte in cui il mare, da forza 4 era velocemente scaduto verso livelli imbarazzanti. Capita purtroppo di partire con un mare da paura e di ritrovarsi in una situazione differente ed assai lontana da quello che ci aspettavamo.

La notte non era stata prodiga di catture anzi; avevo avuto un paio di gronghi misura “stringa” e una bella mangiata in calata sul vivo che non aveva lasciato che qualche squama in meno alla mia esca.

Poi avevo innescato le canne e mi ero messo a dormire per un paio dì ore visto che la marea non era perfetta. Ma la calata mi faceva pensare che ci fosse un leccia amia residua da quella parti oppure, una  spigola.

Le mie congetture erano state stroncate verso le 6 del mattino (in pieno pisolino devo dire), da una mangiata che aveva messo in bando la canna con la teleferica sbloccando il leggero spike che stavo usando per avere il finale in pesca correttamente.

Il tempo di arrivare a mettere il finale a contato con la girella e mi ero reso conto che dall’altra parte vi era qualche cosa di bello, certamente più grosso del mio piccolo cefaletto vivo.

Una discreta fuga laterale , qualche testata e i dubbi venivano fugati perché non poteva essere una leccia in alcun modo; solo la spigola è un combattente così modesto…

In effetti si trattava di un gran bel pesce, stimato sui 5.5 kg che diventava subito oggetto di qualche sfottò se non altro per il discreto colpo di fortuna che una cattura del genere  certifica.

 Il vivo.

Credo di aver pescato con quasi tutti i tipi di vivo possibile partendo dal classico cefaletto (eccezionale e resistente), passando per la leccia stella, sparlotto, anguilla, boga e sugarello. Funzionano tutti e il segreto sta nel come li inneschiamo e soprattutto, nell’evitare accuratamente di lanciarli.

Esistono vari tipi di innesco ma i migliori sono essenzialmente due;

Innesco sulla schiena; ottimo se non sfioriamo la spina del pesce; lo fa muovere correttamente e ha il vantaggio (sulla spigola  e sui predatori senza denti forti), di mettere l’amo in posizione sull’attacco in testa. Mi pare meno valido sul serra.

Innesco sulla coda; all’altezza del foro anale in modo che usando la teleferica, l’esca possa nuotare liberamente distendendo  il finale. L’innesco in coda può essere problematico sulla spigola a meno non si usino pesci molto piccoli perché questo predatore raramente attacca in coda, preferendo la testa poiché non subisce il rischio dell’apertura improvvisa e difensiva, delle spine dorsali. Con questo innesco, la vitalità è garantita per lunghi periodi

Vivo e teleferica

La teleferica è un sistema fantastico perché lascia ampia possibilità di movimento alla preda e ne garantisce una vitalità maggiore perché non lanciamo ma, lasciamo scivolare. La migliore interpretazione della teleferica è quella che vede l’aggiunta di un piombo da circa 30-50 grammi all’attacco della girella di testa (vedi foto) così da accelerare la fase di discesa e l’ingresso in acqua.

L’operazione parte dal presupposto che abbiamo lanciato a distanza con un grosso piombo o uno spike che garantisca stabilità. Messa in tensione la lenza :  la prendiamo e colleghiamo il finale innescato collegandolo tramite il moschettone.

Lasciata la lenza , alziamo la canna al massimo. Qui ovviamente una 4.50 metri regala dei margini migliori anche se in certe azioni di pesca me la sono cavata benissimo anche con canne da 360 (bass). Alzando la canna agevoliamo la discesa in mare e a questo punto osserveremo come il finale si stenda in corrente con la nostra esca tenuta sotto la superficie, dal peso del piccolo piombo. Il nostro finale sarà libero di scorrere praticamente fino al primo impedimento che incontra per cui non consiglio di usare shock leader o essere consapevoli che il semplice nodo di giunzione è il limite massimo verso cui scorre il finale innescato (e così nel combattimento).

La mangiata è solitamente preceduta da un eccesso di vivacità dell’esca e quindi una  flessione della canna, tanto più lenta quanto maggiore è la quantità di lenza fuori. Noi dobbiamo solo prendere contatto recuperando lentamente fino a percepire il finale e di movimenti che sviluppa, per poi decidere di ferrare o attendere ancora. In genere , la preda è autoferrata se abbiamo innescato bene.

Questo, con la spigola; con il serra o la leccia amia tutto diventa esplosivo e spettacolare. Se poi portiamo questo sistema all’estero dove i predatori sono di casa allora, impariamo la lezione e non la dimentichiamo più.


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